Prima pagina

Sale la marea in Algeria

Per una soluzione anticapitalista della crisi

5 Marzo 2019
algeria


L'Algeria è segnata da un'importante ascesa di massa che scuote alle fondamenta il potere di Bouteflika.

La crisi capitalistica internazionale ha avuto ricadute profonde in Algeria. Il capitalismo algerino si è fondato sull'esportazione di gas e di petrolio. La rendita petrolifera ha ingrassato per decenni il regime nazionalista, nato dal ceppo del vecchio Fronte di Liberazione Nazionale. Ha nutrito le sue ramificazioni clientelari e il suo apparato statale, in particolare i privilegi delle gerarchie militari, ed ha anche assicurato per lungo tempo al regime il sostegno della classe media urbana, grazie a elargizioni e sussidi. Un sostegno decisivo nello scontro frontale, politico e militare, con le forze dell'integralismo islamico negli anni '90. Per la stessa ragione, la caduta del prezzo del petrolio, connesso alla crisi internazionale, ha tagliato l'erba sotto i piedi del regime; spesa sociale e assistenza sono state tagliate. Corruzione, nepotismo, militarismo, per lungo tempo accettati con malcelata rassegnazione in cambio della stabilità sociale, sono diventati sempre più insopportabili agli occhi di ampi settori di massa della popolazione urbana.

L'ascesa della rivoluzione araba nel 2010-2011, che travolse Ben Alì e Mubarak, risparmiò Bouteflika. La controrivoluzione in Egitto, prima per mano dei Fratelli Musulmani e poi dell'esercito, spense rapidamente le potenzialità di contagio di Piazza Tahrir in Algeria. La tragica deriva confessionale e reazionaria della rivoluzione siriana, dopo il 2014, contribuì alla tenuta del regime laico algerino: nulla di più comprensibile in un paese segnato negli anni '90 dal terrorismo islamista. Da qui un commentario borghese internazionale che lodava la stabilità algerina come esempio virtuoso nella nazione araba. Ma questa stabilità veniva celebrata nel momento stesso in cui deperivano le basi materiali su cui si reggeva. L'esplosione sociale di massa dell'ultima settimana è la risultante di questa dinamica.

È ancora prematuro avanzare una previsione certa sulla dinamica in corso, ma i suoi caratteri sono ben delineati. La mobilitazione non è stata espressione di un processo graduale di ascesa. Ha avuto i caratteri di una brusca svolta, di una esplosione sociale concentrata e radicale. L'annuncio della presentazione alle elezioni di un presidente decrepito, simbolo provocatorio della conservazione, ha costituito il suo fattore di innesco. Le manifestazioni di massa hanno assunto in pochi giorni grandi proporzioni, nonostante la censura delle televisioni del regime. Ottocentomila persone sono scese in strada, secondo i dati ufficiali della polizia algerina, un numero imponente. Le rivendicazioni centrali sono di carattere democratico (giustizia, dignità, democrazia), com'è naturale in un contesto simile nella fase di ascesa. La mobilitazione è stata trainata dagli studenti e dall'intellighenzia delle libere professioni (avvocati, giornalisti...), ma si è allargata rapidamente agli strati popolari delle città. La massa dei giovani laureati disoccupati, in un paese in cui il grosso della popolazione è giovanisssima, segna le manifestazioni con la propria presenza centrale. Altrettanto importante la presenza femminile: la prima manifestazione contro Bouteflika si è tenuta a Orano, seconda città del paese, promossa da un gruppo di donne. La classe lavoratrice algerina non ha ancora fatto un ingresso significativo sulla scena, a differenza di quanto accadde in Tunisia ed Egitto, ma il varco aperto dalle manifestazioni di massa potrebbe trascinarla nello scontro, come mostra l'adesione alle proteste di alcuni settori del sindacato UGTA. Di certo una sua irruzione allargherebbe in modo decisivo la crisi del regime.

Le elezioni presidenziali sono indette. Le forze dell'opposizione islamista sono ai margini. Altre opposizioni di sua maestà, cuscinetto protettivo del regime, sono ridicolizzate dall'esplosione dell'opposizione di massa a Bouteflika. Il regime non sa bene che fare. Il muro della censura mediatica non ha retto, la repressione militare è un'arma a doppio taglio: può contare sulla fedeltà degli alti ufficiali, compromessi e corrotti, ma non necessariamente sulla truppa. Bouteflika ha cercato di guadagnare tempo annunciando che dopo le elezioni presidenziali terrà a distanza di un anno elezioni politiche in cui non si candiderà, ma la domanda del movimento di massa è “Boutef vattene!”. Non domani, ora.

Analizzeremo lo sviluppo degli avvenimenti in Algeria. A differenza delle scuole campiste e staliniste già schieratesi dall'inizio con i Ben Alì, i Mubarak, e gli Assad, nel nome del loro presunto antimperialismo e progressismo, il nostro posto è al fianco delle mobilitazioni di massa contro regimi reazionari e filoimperialisti, e dunque oggi contro il regime reazionario di Bouteflika. Un regime che ha servito gli interessi imperialisti in Algeria, a partire da quelli francesi. Al tempo stesso, a differenza di tutte le scuole movimentiste che si affidano alla dinamica spontanea dei movimenti, diciamo che la sollevazione algerina, come ogni sollevazione popolare, pone la questione decisiva della direzione e del programma. Senza una direzione di classe, anticapitalista e rivoluzionaria, nessuna ribellione di massa può portare a successo reale e duraturo le proprie ragioni progressive, ed anzi è esposta a derive controrivoluzionarie, siano esse laiche o confessionali. È accaduto in Egitto, è accaduto in Siria, può nuovamente accadere in Algeria. È la grande lezione delle rivoluzioni arabe del 2010-2011.

Non è sufficiente rovesciare Bouteflika, come non fu sufficiente rovesciare Ben Alì e Mubarak. È necessario legare le rivendicazioni democratiche della ribellione di massa a un programma di rottura con l'imperialismo e la borghesia algerina che lo serve: ripudiare il debito algerino verso le potenze imperialiste, nazionalizzare le compagnie imperialiste in Algeria, nazionalizzare le banche e il commercio con l'estero. Senza queste misure non vi può essere svolta reale per i lavoratori e le masse popolari algerine. Solo un governo operaio e popolare può realizzare queste misure. Lavorare all'irruzione della classe operaia sulla scena, raccogliere le sua forze attorno a questo programma, portare nel movimento di massa la battaglia per l'egemonia di questo progetto anticapitalista è la ragione dei marxisti rivoluzionari in Algeria.

Partito Comunista dei Lavoratori

CONDIVIDI

FONTE