Antipatriarcali, anticapitalist*, antifascist*, anticlericali: femminist* rivoluzionar*

#3 La donna non è un servizio pubblico dello Stato borghese

Basta sfruttamento domestico e lavoro non pagato!

22 Febbraio 2019

Verso l'8 marzo!

welfare


Nella società borghese lo status sociale, l'essere donne borghesi, concede facili soluzioni per sfuggire al destino di oppressione che invece è garantito per le donne della classe lavoratrice.
Non tutte condividono lo stesso destino, né sul fronte del lavoro esterno alla casa, né su quello domestico. Le condizioni economiche decidono per le donne: l’eventuale libertà dal lavoro domestico dipende dalla possibilità di pagare manodopera (anch'essa femminile per lo più).
Una lotta femminista coerente non può che avere come prospettiva la sovversione dell’ordine sociale e quindi, di conseguenza, l’ordine economico da cui deriva questa società oppressiva, perché da questa derivano le condizioni di vita in cui prospera il paradigma dell'oppressione e dello sfruttamento.
Le donne lavoratrici e disoccupate stanno pagando il prezzo più alto delle politiche economiche degli ultimi 30 anni su più piani: mentre su quello del lavoro aumentano precarietà, disoccupazione e si riducono i salari, le riforme allo stato sociale obbligano a colpi di legge gli anziani ad essere accuditi a casa, riducendo l’assistenza pubblica domiciliare e le strutture pubbliche a favore di finanziamenti ai privati, così come si riducono gli orari o i posti disponibili negli asili pubblici e si tagliano le mense scolastiche. In questo modo lo stato borghese scarica i costi del lavoro di cura sulle famiglie ed in particolare sulle donne meno abbienti, le quali non hanno i mezzi economici per pagare servizi o strutture private.
Un esempio? La “tutela e valorizzazione delle persone anziane”, Legge Regionale 5 del 1994 e la “promozione della cittadinanza sociale” Legge Regionale 2 del 2003 (in Emilia Romagna) che sanciscono che il luogo deputato alla cura degli anziani e delle persone non autosufficienti è la casa (che deve essere per legge “prediletta” prima del ricovero in una struttura). La presa in carico dell’ammalato da parte della società, invece di rendere più umana l'esperienza della vecchiaia e di rimandare l'ospedalizzazione, si è rivelata un pretesto per scaricare il peso economico e delle responsabilità da parte dello Stato sulle spalle delle famiglie e quindi principalmente delle donne. L'esperienza della cura diviene così essenzialmente sacrificio e rinuncia a se stesse.
Lo stesso avviene per gli asili. Le strutture sono insufficienti e non soddisfano la domanda sul territorio, e ancora, gli orari non soddisfano le esigenze delle donne che lavorano, almeno delle operaie il cui orario di lavoro è stato dilatato sempre più dalle leggi europee e nazionali sul lavoro in nome di un sempre maggiore profitto per le aziende. Certamente per le donne lavoratrici, che non possono permettersi il part time o baby-sitter e asili privati (a rischio di impoverimento della famiglia) il costo in termini di vita e di autonomia è molto più alto. Un altro problema è rappresentato dalle rette spesso troppo alte per una famiglia operaia: quando una retta rappresenta la metà di un salario a conti fatti si va a lavorare quasi gratis, a molte donne conviene economicamente starsene a casa, con buona pace dell’asilo come diritto di tutti i bambini in quanto ambito di sviluppo psicopedagogico e socializzazione e con buona pace anche dell’indipendenza e libertà delle donne che ancora una volta vengono usate come strumenti di riproduzione e principale soggetto sociale di educazione e crescita della prole.
Così, mentre si tagliano milioni di euro alla scuola pubblica, alla sanità e allo stato sociale in generale per poter finanziare la detassazione dei padroni e coprire il debito delle banche, la legge di bilancio prevede che alle famiglie che generano il terzo figlio venga regalato un pezzo di terra. È evidentemente un ritorno grottesco al premio di maternità di stampo fascista, orpello ideologico al fatto che è proprio la donna in ultima istanza a essere chiamata – e costretta – a fare da supplente di quel welfare pubblico che lo Stato non intende più garantire. Dall'altro lato però, insieme alla santificazione della maternità, un ulteriore attacco di questo governo reazionario è particolarmente evidente sul versante del lavoro: la modifica del congedo di maternità con cui avremo la mirabolante possibilità di rimanere sul posto di lavoro fino al nono mese di gravidanza. Non è che un ulteriore regalo ai datori di lavoro, che imporranno alle donne di rimanere ai propri posti fino alla fine, un ostacolo a poter costruire un percorso di vita indipendente. I padri poi, potranno astenersi dal lavoro, 4 ricchi giorni.


Rivendichiamo:

- Effettiva tutela della maternità. La tutela della maternità va estesa a tutte le donne che lavorano (e anche in questo caso) è di fondamentale importanza l’effettiva cancellazione di qualsiasi forma di lavoro precario, che non offre tutela alle madri. È necessario inoltre creare una rete di sostegno anche in seguito alla maternità, con servizi pubblici in supporto alla madre e alla famiglia del nascituro. Occorre potenziare e ampliare il congedo parentale maschile.

- Nazionalizzare sotto controllo sociale i servizi legati alla cura di anziani e bambini, (aumento delle strutture di degenza e cura). La cura di bambini, anziani e disabili non deve essere di esclusiva responsabilità della famiglia (e quindi spesso delle donne). Occorre inoltre eliminare totalmente i finanziamenti pubblici a enti privati e confessionali che operano in questi settori, privilegiando l’ampliamento e la costruzione di un programma di welfare pubblico e di una rete di strutture statali deputate all’assistenza gratuita di bambini, anziani e malati.

- Tutela e ampliamento della legge 104 sotto attacco. La legge 104, che garantisce i permessi per l’assistenza a famigliari disabili, deve essere ampliata ed estesa a tutte le tipologie di lavoro, e deve essere garantita la più ampia flessibilità al lavoratore o alla lavoratrice con famigliari non autosufficienti a carico. Attualmente la 104 è oggetto di pesanti attacchi da parte del padronato che, complice il solito silenzio delle burocrazie sindacali, tenta di svuotarla dall’interno come tante altre conquiste sociali. Un esempio? Il CCNL dei metalmeccanici della triade sindacale prevede che “il lavoratore presenti un piano di programmazione mensile degli stessi con un anticipo di 10 giorni rispetto al mese di fruizione”. Un’ulteriore beffa e danno alle famiglie proletarie.

- Ampliamento dell’offerta scolastica (tempo pieno, mense pubbliche e gratuite). La scuola deve essere pubblica, laica e gratuita. Non un euro deve essere elargito a scuole confessionali e private di alcun genere. Le donne hanno bisogno per i propri figli di scuole attrezzate, moderne e funzionali, possibilmente che non crollino sotto deboli scosse di terremoto e che garantiscano orari in grado di coprire il fabbisogno delle lavoratrici, con mense pubbliche gratuite e per tutti, con cibi sani e di qualità. Devono essere inoltre gratuitamente accessibili i servizi di accompagnamento e doposcuola attualmente in mano a cooperative, ovviamente a pagamento.

- Queste rivendicazioni hanno in comune come prospettiva ultima quella della socializzazione del lavoro domestico. Si tratta di una rivendicazione importante, senza la quale la schiavitù domestica delle donne non potrà mai essere abbattuta. Non si potrà mai parlare di libertà e parità se il lavoro di cura non viene socializzato e reso produttivo nel quadro di un nuovo sistema economico, dove non esisterà più alcuna forma di sfruttamento. Per far questo è necessaria una rivoluzione anticapitalista, che abbatta lo sfruttamento e la divisione in classi della società. In una società in cui i lavoratori e le lavoratrici hanno la proprietà dei mezzi di produzione, il lavoro domestico sarà un lavoro che potrà essere socializzato. In un quadro di un carico di lavoro minore per tutti, data la sua eguale distribuzione, con salari adeguati, il tempo per la vita personale e gli affetti sarà finalmente centrale.

Partito Comunista dei Lavoratori - commissione oppressioni

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