Dalla tragedia alla farsa. Lo stalinismo ieri e oggi

Il volo di Pjatakov e il negazionismo stalinista (seconda parte)

2 Dicembre 2018

Leggi qui la prima parte.
In fondo alla pagina, in allegato, l'intero articolo

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LA CREDIBILITÀ DI PJATAKOV E RADEK

Ma qual era la credibilità dei testimoni-imputati Pjatakov e Radek?
Perché vennero prescelti questi due imputati? Quali erano i loro rapporti reali con Trotsky da un lato e con Stalin dall'altro?

I nostri autori fondano larga parte della propria cronaca poliziesca sulla rappresentazione di Pjatakov e Radek quali agenti di Trotsky a partire dal 1931-'32. Agenti in incognito, in funzione della propria azione di quinta colonna del nemico. La polemica bilaterale fra Trotsky e Radek in particolare avrebbe costituito semplicemente un depistaggio concordato a copertura della propria diabolica intesa.

Questa tesi, che impregna buona parte delle cinquecento pagine, non solo è priva del benché minimo riscontro (abbiamo già detto sulla lettera del 1932), ma è contraddetta dall'evidenza storica. L'evidenza storica è più profonda dell'indagine poliziesca, perché non si limita a correlazioni logiche ma scava nella psicologia politica delle persone, nella loro storia, nei loro caratteri, nelle loro motivazioni. Senza questi elementi nessuna ricostruzione seria può reggere, e ogni assurdità diventa plausibile.

Pjatakov e Radek non erano personaggi secondari del gruppo dirigente storico del bolscevismo. Non erano al livello preminente di Zinoviev e Kamenev, ma venivano subito dopo di loro. In particolare Pjatakov aveva fatto parte dell'Ufficio politico di Lenin. Radek si era a lungo occupato di questioni di politica estera, con particolare riferimento alla questione tedesca. Il primo era un eccellente amministratore in campo economico. Il secondo era un brillante giornalista, ma assolutamente incapace di discrezione e scarsamente affidabile. Non a caso le questioni riservate venivano sempre discusse, per volontà di Lenin, in assenza di Radek.

Pjatakov fece parte dell'Ufficio politico dei tempi di Lenin, e fu dall'inizio al fianco di Trotsky nell'Opposizione di sinistra; Radek oscillò tra l'opposizione di destra in Germania (Brandler) e quella di sinistra in Russia (Trotsky). Nel 1926-'27 si schierarono entrambi con l'Opposizione di sinistra unificata di Trotsky, Zinoviev, Kamenev. Fu il momento della più larga opposizione al corso emergente di Stalin all'interno del partito bolscevico. Ma l'opposizione unificata durò poco. Il salto della repressione staliniana nel 1927 spaventò Zinoviev e Kamenev, che capitolarono a Stalin. Pjatakov seguì Zinoviev nella capitolazione. Radek resistette all'opposizione, e fu per questo espulso dal partito e inviato in Siberia assieme ad altre centinaia di oppositori. Proprio contro Zinoviev e Pjatakov e la loro capitolazione a Stalin, Radek scrisse cose durissime: «Respingo lo zinovievismo e il pjatakovismo come il peggior Dostoevskij. Non si può servire la classe operaia attraverso la menzogna. I superstiti debbono dire la verità». E ancora: «Zinoviev e Kamenev hanno abiurato secondo loro per aiutare il partito; in realtà essi non hanno fatto altro che screditare pubblicamente l'opposizione. Tale è infatti la logica della loro condizione: il pentito deve mostrare il proprio pentimento».

Passò un solo anno e Radek negoziò coi vertici del partito la propria capitolazione a Stalin. In coerenza paradossale con l'accusa rivolta un anno prima a Zinoviev, il pentito Radek dedicò tutte le proprie energie a «mostrare il proprio pentimento». Se un anno prima, dal luogo di deportazione, rivendicava la fedeltà a Trotsky quale emblema stesso della Rivoluzione d'Ottobre, un anno dopo applaudiva alla sua espulsione dall'URSS per mano di Stalin. E non si limitò all'encomio di Stalin, tanto ossequioso da risultare imbarazzante. Per dare la prova provata del proprio pentimento, consegnò alla GPU un vecchio segretario di Trotsky, Yakov Blumkin, che era andato a trovare Trotsky a Prinkipo in Turchia e imprudentemente aveva confidato a Radek questo incontro. Blumkin fu naturalmente assassinato dalla GPU. Questo episodio segnò la rottura definitiva e irreversibile fra Radek e Trotsky. Trotsky già aveva scritto dopo il pentimento di Radek parole di fuoco: «Radek, con la sua capitolazione, non fa che cancellarsi dall'elenco dei vivi. Egli piomba nella categoria, presieduta da Zinoviev, dei semi impiccati, semi perdonati. Questi uomini hanno paura di dire anche solo una parola ad alta voce, paura di avere una opinione, e non vivono ormai che della propria ombra» (Bollettino dell'Opposizione, luglio 1929). Dopo il tradimento di Blumkin, il giudizio peggiora: «Radek non è più soltanto un rinnegato, ma anche un traditore», «il più perfido di tutti i miei nemici».

Ora, secondo i nostri autori, tutto questo non è che un inganno. I nostri non negano che Pjatakov prima e Radek successivamente avessero rotto con l'opposizione. Del resto, la rottura era avvenuta sulla base di documenti pubblici, e l'apparato staliniano l'aveva riconosciuta e salutata altrettanto pubblicamente. Semplicemente i nostri autori affermano che Pjatakov e Radek nel 1931-'32 sarebbero silenziosamente tornati nelle fila dell'opposizione, pur fingendosi leali stalinisti.

Prima domanda: su cosa si fonderebbe questa tesi singolare? Sulla... asserita misteriosa ricevuta di una lettera di Trotsky a Radek del 1932, di cui però nessuno ha copia e nessuno sa nulla.
Seconda domanda: quale sarebbe stata la motivazione del rientro silenzioso di Pjatakov e Radek nelle fila dell'opposizione? Silenzio fitto. Eppure la questione è rilevante. La rottura nel 1928-'29 con l'opposizione si spiegava facilmente con la durezza della repressione staliniana e il tentativo di riabilitazione. Ma il rientro nell'opposizione come si spiega? Dopo che Stalin aveva sgominato l'opposizione di sinistra, dopo che Stalin aveva rotto e cacciato l'opposizione di destra, dopo che Stalin aveva concentrato nelle proprie mani di Bonaparte tutto il potere, proprio coloro che avevano cercato la propria riabilitazione presso il vincente Stalin sino a consegnare nelle sue mani i propri vecchi compagni... si riavvicinerebbero all'opposizione distrutta? Non c'è la minima logica in questa congettura. Semplicemente i nostri autori cancellano il problema.
Terza domanda: per quale ragione nel 1932 Trotsky confiderebbe le proprie “direttive terroriste” proprio all'inaffidabile Radek, per di più per lettera, dopo che questi aveva tradito Blumkin, e dopo la rottura che si era consumata? “Perchè Radek si era [misteriosamente] ravveduto”. È evidente che la spiegazione non tiene. Tanto meno regge la deposizione di Radek al processo, secondo cui proprio lui sarebbe stato il primo destinatario dell'informativa segreta di Trotsky circa i presunti negoziati con Hitler e Mikado. Rendere Radek depositario di una confidenza di questo tenore sarebbe stato suicida per Trotsky. Solo... Stalin avrebbe avuto interesse a questa incredibile imprudenza. Stalin, appunto. Ciò che volevasi dimostrare.

La credibilità degli imputati testimoni Pjatakov e Radek è pari a quella di Stalin e Vysinskij: zero.
Se, come ha ricordato Radek, le loro parole sono l'unico fondamento di tutta l'accusa, è dimostrato che quell'accusa non ha alcun fondamento.

In compenso non è affatto casuale che Pjatakov e Radek siano stati chiamati da Stalin al ruolo di imputati confessi, come già prima di loro Kamenev e Zinoviev. Stalin pescava i suoi attori da quel campo ricattabile degli ex oppositori “semi impiccati e semi perdonati” ben caratterizzato da Trotsky; il campo di coloro che già si erano prostrati, già si erano avviliti con capitolazioni e pubblici pentimenti, e dunque dovevano la propria sopravvivenza - politica e fisica - unicamente al perdono di Stalin. Stalin poteva chiedere loro qualsiasi servizio contro Trotsky, ogni volta facendo loro balenare la possibilità fosse pure remota della propria salvezza in cambio delle confessioni più degradanti. I processi di Mosca nuotano in questa immondizia morale.

Colpisce che i nostri autori non provino di fronte a questo nessun imbarazzo.


L'URSS STALINIANA “IL NEMICO PRINCIPALE”?

Il libro dei nostri autori ha una struttura singolare. Quando occorre dimostrare tesi politiche assurde si estrae dal cilindro una presunta “prova” poliziesca (la fantasmatica lettera di Trotsky a Radek). Quando le tesi poliziesche traballano si cerca il conforto di argomenti politici. Il disastro è assicurato su entrambi i versanti.

Per dare sostegno all'infame calunnia dell'accordo di Trotsky con Hitler, i nostri autori si affannano a “dimostrare” che Trotsky avrebbe caratterizzato lo stalinismo come “il nemico principale”, anche rispetto al nazismo. Prima del 1933 Trotsky avrebbe effettivamente colto la natura e il pericolo dell'avanzata nazista. Ed anzi i nostri autori cercano di rendersi obiettivi e credibili giungendo ad affermare - bontà loro - che la politica di Stalin fra il 1929 e il 1933 in Germania era stata sbagliata e che l'impostazione di Trotsky era stata corretta. Ma dopo il 1933 Trotsky muterebbe la propria impostazione generale assumendo il regime staliniano come l'ostacolo principale alla rivoluzione mondiale. Da qui le premesse del suo accordo tattico con la Gestapo.

C'è solo da chiedersi quale sia il confine tra la malafede e l'ignoranza. La cosa probabile è che siano presenti entrambe.

Il primo elemento di confusione che i nostri autori introducono riguarda la sovrapposizione dei piani. Cosa s'intende per “nemico principale”?
È vero, Trotsky ha caratterizzato lo stalinismo, sul piano mondiale, come il principale ostacolo sulla via della rivoluzione proletaria. Questa caratterizzazione non nasce col 1933: basti pensare alla denuncia della politica staliniana del comitato anglo-russo del 1926, e soprattutto della conduzione rovinosa della rivoluzione cinese del 1927. Ma certo con la disfatta del proletariato tedesco, a causa della politica criminale del socialfascismo, la caratterizzazione dello stalinismo da parte di Trotsky conosce un salto che la svolta dei fronti popolari (1935, VII congresso dell'IC, relazione Dimitrov) completerà: dallo stalinismo come “centrismo burocratico” (una oscillazione pendolare a destra e a sinistra sospinta dagli interessi burocratici mutevoli della frazione stalinista in URSS) allo stalinismo come fenomeno controrivoluzionario organico, assimilabile alla socialdemocrazia internazionale, ma per molti aspetti più insidioso perché coperto dal manto abusivo della Rivoluzione d'ottobre.
Lo stalinismo era per Trotsky il “nemico principale”? Indubbiamente, se si intende il campo del movimento operaio. Ma essere il “nemico principale” all'interno del movimento operaio non significa essere il nemico principale sul terreno della lotta di classe, al posto della borghesia, dell'imperialismo, del fascismo. È vero l'opposto. Lo stalinismo svolgeva un ruolo organicamente controrivoluzionario proprio in quanto organizzatore delle sconfitte del movimento operaio a vantaggio della borghesia, dell'imperialismo, del fascismo. Non è una sfumatura secondaria. È un punto centrale di analisi e di posizionamento di Trotsky e del suo movimento nelle convulsioni degli anni Trenta, a tutte le latitudini del mondo (a volte anche in aperta polemica con posizioni ultrasinistre e settarie).

Trotsky denunciò tra il 1929 e il 1933 la politica staliniana del socialfascismo in Germania (“socialdemocrazia e fascismo fratelli gemelli”) proprio perché corresponsabile della vittoria nazista: la più grande sconfitta del proletariato europeo successiva alla rivoluzione russa e un pericolo mortale per l'esistenza stessa dell'URSS. Per la stessa ragione denunciò la politica opposta dei fronti popolari con le borghesie liberali e gli imperialismi democratici. Attaccò la politica del fronte popolare in Francia quale copertura dell'intesa di Stalin con il militarismo francese in contrapposizione all'ascesa rivoluzionaria del movimento operaio, e previde come questa politica di collaborazione di classe avrebbe spianato la strada alla peggiore reazione (vedi lo scritto Dove va la Francia). Soprattutto, Trotsky denunciò la politica staliniana del fronte popolare in Spagna come affossatore della grande rivoluzione spagnola: laddove tutta la politica di liquidazione delle conquiste realizzate armi alla mano dagli operai e dei contadini spagnoli a tutela dell'intesa di Stalin con gli imperialismi democratici avrebbe aperto le porte alla terribile vittoria di Francisco Franco e alla prospettiva della seconda guerra imperialista.

Ma i nostri autori, al pari di Stalin, vorrebbero far credere che la caratterizzazione controrivoluzionaria dello stalinismo spingesse Trotsky a parteggiare in tutto o in parte per l'avversario di classe, e addirittura con i fascisti. È una calunnia odiosa, oltre che idiota. Trotsky si schierò senza riserve sul fronte repubblicano contro Franco per tutto il corso della guerra civile, anche quando la calunnia di Stalin armò le mani della GPU spagnola contro l'ala sinistra della rivoluzione trucidandone i migliori elementi a tutto vantaggio del fascismo franchista.
Non era l'esiliato Trotsky a “servire” i fascisti; fu la politica di Stalin che, in forme diverse, prima in Germania e poi in Spagna lastricò la loro avanzata, anche coi cadaveri dei migliori combattenti antifascisti.

La domanda va allora rivolta ai nostri autori: per quale ragione un Trotsky «alleato dei nazisti» a partire dal 1935 per la spartizione dell'URSS, si schierò con tutte le sue forze contro Francisco Franco nella guerra di Spagna? L'accordo coi nazisti nella politica internazionale non avrebbe dovuto coinvolgere il fronte spagnolo fra il 1936 e il '39? È possibile immaginare che Trotsky combattesse i franchisti in Spagna negli stessi anni in cui vendeva ai nazisti l'Unione Sovietica?

Come si vede, le menzogne, anche se riciclate, espongono sempre a brutte figure.


TROTSKY E LA DIFESA DELL'URSS

Ma c'è di più. I nostri autori rimuovono lungo l'intero arco di cinquecento pagine un aspetto centrale della posizione di Trotsky negli anni '20 e '30: la difesa incondizionata dell'URSS quale Stato operaio (burocraticamente degenerato) contro il capitalismo e l'imperialismo. È una rimozione davvero clamorosa, che basterebbe da sola a inficiare l'intero lavoro in esame.

A partire dal 1933-'34, Trotsky (e il marxismo rivoluzionario internazionale) avanzò la prospettiva della rivoluzione politica in URSS contro la casta burocratica staliniana, ma parallelamente rivendicò sempre la difesa incondizionata dell'URSS, come difesa dei rapporti non capitalistici di proprietà (economia pianificata, proprietà nazionalizzata dei mezzi di produzione, monopolio statale del commercio con l'estero). Questi rapporti di proprietà erano il prodotto storico della rivoluzione d'ottobre, e distinguevano la natura sociale dell'URSS da quella dei paesi capitalisti. Essi avevano consentito nonostante tutto un enorme sviluppo dell'economia e della società sovietica. La casta burocratica, con il peso dei suoi privilegi e con i metodi amministrativi del bonapartismo, rappresentava un fattore di logoramento dei rapporti di proprietà scaturiti dall'Ottobre, e avrebbe potuto trasformarsi in strumento di restaurazione capitalista. Anche per questo occorreva battersi per il rovesciamento rivoluzionario della burocrazia. Ma sino a che quella restava la struttura economica e sociale dell'URSS, occorreva difendere l'URSS da ogni minaccia capitalista e imperialista. “Incondizionatamente”: cioè indipendentemente dalla presenza del regime stalinista e dalle sue politiche controrivoluzionarie.

Questa posizione fu ampiamente discussa nel movimento trotskista internazionale; per molti aspetti fu negli anni Trenta la posizione più dibattuta nelle fila del movimento rivoluzionario, con aperti contrasti e differenziazioni. “Come si può difendere l'URSS, mentre Stalin manda al patibolo i dirigenti della rivoluzione d'ottobre?” Oppure: “Come si fa a difendere l'URSS mentre Stalin pugnala alla schiena la rivoluzione spagnola?” Le obiezioni attraversarono diverse sezioni del movimento e investirono il suo quadro dirigente centrale. Ma Trotsky fu irremovibile nella propria argomentazione. Si trattava di distinguere l'odioso regime burocratico dalle basi economico-sociali sulle quali nonostante tutto continuava a reggersi.

Fu la polemica di Trotsky con Yvan Craipeau, dirigente trotskista francese, che criticava l'”equivoco” della posizione difensista:

«Compagno Craipeau, l'equivoco è tutto dalla vostra parte [...] So per certo che nei vostri errori siete guidato dall'odio per l'oppressione che si incarna nella burocrazia termidoriana. Ma il sentimento, per quanto legittimo, non può da solo sostituire una politica corretta, basata sui fatti oggettivi. Il proletariato ha motivi sufficienti per rovesciare e cacciare la burocrazia staliniana corrotta sino al midollo. Ma, proprio per questo motivo, non può, né direttamente né indirettamente, lasciarne l'incarico a Hitler o al Mikado. Stalin rovesciato dai lavoratori è un grande passo avanti verso il socialismo. Stalin eliminato dagli imperialisti è la controrivoluzione che trionfa. È questo il senso preciso della nostra difesa dell'URSS su scala mondiale. Si tratta di un orientamento analogo alla nostra difesa della democrazia su scala nazionale.» (Trotsky, Ancora una volta: l'URSS e la sua difesa, 4 novembre 1937)

Fu la polemica contro le posizioni di una minoranza importante del SWP americano, guidata da Burnham e Carter:

«[...] Stalin difende la proprietà nazionalizzata contro l'imperialismo e contro gli strati troppo impazienti e troppo avidi della burocrazia. Tuttavia opera questa difesa utilizzando mezzi che minacciano il crollo generale della società sovietica. Questa è precisamente la ragione per cui occorre rovesciare la cricca staliniana. Ma è il proletariato rivoluzionario che la deve abbattere. Non può subaffittare questo lavoro agli imperialisti. Il proletariato difende l'URSS contro l'imperialismo, malgrado Stalin. [...] Riconoscere L'URSS come Stato operaio, non il modello di questo Stato ma una deformazione di questo modello, non significa assolutamente accordare alla burocrazia sovietica una amnistia teorica o politica; al contrario il suo carattere reazionario appare chiaramente alla luce della contraddizione tra la sua politica antiproletaria e i bisogni dello Stato operaio. Solo questo modo di porre i problemi dà tutta la sua forte motivazione alla nostra denuncia dei crimini dello stalinismo. Difendere l'URSS non è solo lottare contro l'imperialismo, ma preparare il rovesciamento della burocrazia bonapartista.» (Trotsky, Uno stato non operaio né borghese?, 25 novembre 1937)

La posizione di difesa incondizionata dell'URSS fu preservata da Trotsky anche dopo l'inizio della seconda guerra mondiale e il famigerato patto russo-tedesco.

«[...] Supponiamo che Hitler rivolga le sue armi all'Est e invada territori occupati dall'Armata Rossa. In queste condizioni i sostenitori della Quarta Internazionale, senza cambiare affatto il loro atteggiamento verso l'oligarchia del Cremlino, metteranno in primo piano, come compito più urgente, la resistenza militare contro Hitler. Gli operai diranno: “Non possiamo lasciare ad Hitler la responsabilità di rovesciare Stalin, tocca a noi farlo. [...] Nel corso della lotta armata contro Hitler, gli operai rivoluzionari si sforzeranno di allacciare contatti fraterni più stretti possibili coi soldati semplici dell'Armata Rossa. Mentre, armi alla mano, essi porteranno dei colpi ad Hitler, i bolscevico-leninisti condurranno nello stesso tempo una propaganda rivoluzionaria contro Stalin, allo scopo di preparare il suo abbattimento nella tappa successiva. [...] Non dobbiamo perdere di vista un solo istante il fatto che la questione del rovesciamento della burocrazia sovietica è subordinata per noi alla questione della preservazione della proprietà statale dei mezzi di produzione in URSS, e che la preservazione della proprietà statale dei mezzi di produzione in URSS è subordinata per noi alla questione della rivoluzione proletaria internazionale.» (Trotsky, L'URSS in guerra, 25 settembre 1939)

La posizione di difesa incondizionata dell'URSS dall'imperialismo, e innanzitutto dal nazismo, a partire dalla caratterizzazione della sua natura sociale fu a lungo argomentata da Trotsky sia nella Rivoluzione tradita sia in In difesa del marxismo. Il mantenimento corretto di questa posizione non fu indolore: costò a Trotsky la scissione della minoranza interna alla sezione americana della Quarta Internazionale, la più consistente del suo movimento, e innumerevoli incomprensioni. E tuttavia Trotsky la difese sino in fondo.
Come è facile capire, la difesa dell'URSS da parte di Trotsky non aveva nulla di sentimentale. Il sentimento di ostilità verso una burocrazia che l'aveva espulso, esiliato, calunniato, che aveva sterminato i suoi figli e migliaia di comunisti rivoluzionari avrebbe potuto trascinare ben altre posizioni. Ma Trotsky era un marxista rivoluzionario, determinava le proprie posizioni nell'arena mondiale non in base ai propri sentimenti personali ma ai principi e alle necessità della rivoluzione internazionale. La difesa delle trasformazioni sociali dell'Ottobre e del loro contenuto storico progressivo era parte di questa prospettiva generale.

Domanda: come si possono conciliare la difesa dell'URSS dai nazisti e l'accordo coi nazisti per lo smembramento dell'URSS? Qualunque persona di normale intelligenza e soprattutto intellettualmente onesta non avrebbe dubbi: in nessun modo. Ma i nostri autori si sono preoccupati di aggirare la domanda stessa nel modo più semplice: tacendo ai propri lettori la posizione di Trotsky di difesa incondizionata dell'URSS.

Era l'unico modo di difendere la calunnia volgare posta a fondamento del proprio scritto.


LA TEORIA DELLA SIMULAZIONE

Cosa resta a questo punto della leggenda nera dell'accordo di Trotsky coi nazisti e del relativo volo di Pjatakov? Nulla, letteralmente nulla.

I nostri autori hanno intrapreso l'avventura di un romanzo poliziesco costruito sulla fantomatica ricevuta di una lettera di Trotsky a Radek di cui nessuno sa nulla, quando migliaia di lettere riservate e pubbliche, centinaia di scritti, decine di libri, l'intera vita di un movimento internazionale documentano in forma inequivocabile e concorde la totale falsità della calunnia staliniana.
Come venir fuori da questo disastro?

I nostri autori hanno pensato di ovviare al proprio infortunio nell'unico modo possibile: invertendo i ruoli tra realtà e finzione. La fantomatica lettera di Trotsky a Radek di cui nessuno sa nulla, e le deposizioni di due imputati testimoni ricattati (Pjatakov e Radek) diventano la realtà. Mentre la realtà della vita politica pubblica di Trotsky e del suo movimento internazionale diventano una finzione scenica, una recita cinica, un'astuta simulazione finalizzata a nascondere la verità al mondo intero.

L'intero libro è attraversato dalla rappresentazione di questa commedia dell'inganno. La grande menzogna di Trotsky. Trotsky campione di disinformazione e spionaggio. Trotsky cinico doppiogiochista che nasconde ai suoi stessi compagni rivoluzionari la trama segreta dei propri accordi inconfessabili col nemico. Trotsky intelligente e astuto manipolatore di tante ingenue coscienze sedotte dalle sue suggestioni...

Anche in questo caso i nostri autori non inventano nulla. Ancora una volta riprendono per filo e per segno la rappresentazione di Trotsky curata dai suoi boia, sotto la regia di Stalin.

Trotsky stesso ridicolizzò all'epoca con amare e ironiche considerazioni questa rappresentazione grottesca:

«[...] È possibile a scopi simulatori scrivere cinque, dieci, cento lettere. Ma non è possibile mantenere per anni e anni un'assidua corrispondenza con innumerevoli persone, vicine e lontane, al solo scopo di ingannare l'umanità, cui aggiungere poi gli articoli e i libri. [...] Un lavoro interamente pervaso dallo spirito di proselitismo deve necessariamente rivelare il vero volto dell'autore e non la maschera di un momento. [...] Appelliamoci infine all'imparzialità matematica. Risulta dai due processi di Mosca che la mia attività criminale si riduce a due incontri a Copenaghen, due lettere a Mrackovskij e compagni, tre lettere a Radek, una lettera a Pjatakov, una lettera a Muralov, una conversazione di venti-venticinque minuti con Romm, un colloquio di due ore con Pjatakov. Questo è tutto. In conclusione le conversazioni e corrispondenze con i presunti congiurati, secondo le loro stesse dichiarazioni, avranno richiesto tutt'al più dodici o tredici ore del mio tempo. Tutto qui. Ignoro la durata attribuita ai miei “colloqui” con Hess e con i diplomatici giapponesi, ma aggiungiamo in linea di massima altre dodici ore. Otterremmo un totale di tre giorni al massimo. Ora gli ultimi otto anni del mio esilio comprendono circa 2920 giorni di lavoro. I libri, gli articoli che ho pubblicato, le mie lettere [...] dimostrano che non ho sprecato questo tempo: avrei impiegato 2917 giorni di lavoro a scrivere libri, lettere e articoli dedicati alla difesa del socialismo, della rivoluzione proletaria, alla lotta contro il fascismo e contro ogni altra specie di reazione; [...] e invece avrei dedicato tre giorni - dico tre giorni! - a cospirare nell'interesse del fascismo. [...] Vi è dunque una certa sproporzione tra i miei due campi di attività, quello pubblico e quello segreto. La mia attività pubblica, vale a dire quella ipocrita, destinata unicamente a camuffare quell'altra, sarebbe quantitativamente e oso pensarlo qualitativamente mille volte superiore alla mia attività segreta, vale a dire quella “vera”. Avrei costruito un grattacielo per nascondere un topo morto. Non è davvero molto convincente.» (Trotsky, I crimini di Stalin)

Non lo è, in effetti.

E tuttavia in questa rappresentazione dell'assurdo finalizzata alla difesa della più inverosimile delle calunnie non c'è solo una macroscopica irrazionalità. C'è qualcosa di più, e di più profondo. C'è la cultura dello stalinismo e il suo riflesso capovolto nella rappresentazione delle proprie vittime.

Una burocrazia parassitaria che doveva il proprio potere alla rivoluzione che aveva tradito incarnava per definizione un inganno vivente. La celebrazione rituale della rivoluzione d'ottobre era ridotta a coreografia di regime, retorica vuota di frasi ripetute in occasione, in cui le parole avevano perso ogni legame con la realtà, in cui chi parlava non credeva a nulla di ciò che affermava. La psicologia sociale di questa casta, che incarnava una realtà dissociata dalla propria autorappresentazione, percepiva i marxisti rivoluzionari e le loro idee come un autentico incubo. Come la memoria del passato rivoluzionario che si era cancellato e che tuttavia minacciava il proprio ritorno. Trotsky era l'impersonificazione di questo incubo. Nella sua demonizzazione ossessiva non c'era solo la macchinazione poliziesca e criminale, ma anche il riflesso di una paura autentica, la paura delle masse e della rivoluzione. Occorreva esorcizzare questa paura, occorreva vestire l'incubo della rivoluzione con l'abito della congiura, della trama col nemico, della menzogna, per darle una immagine respingente agli occhi dei lavoratori. E nulla era più consono allo spirito gretto dei funzionari d'apparato e di polizia che l'architettura fantastica di trame poliziesche nelle quali il nemico rivoluzionario, cioè Trotsky, finiva col vestire gli stessi panni del burocrate: doppiogiochista, mentitore seriale, orditore di sabotaggi e terrore. In poche parole, un criminale.

I processi di Mosca si nutrirono di questa cultura, e di questa cultura è impregnato sino al midollo il libro dei nostri autori. Nelle pagine del libro non c'è solo il riciclaggio delle veline staliniane degli anni '30; c'è il riflesso, purtroppo, di una psicologia politica formatasi alla lunga scuola dello stalinismo. Una psicologia politica estranea alle questioni di principio, che fatica a pensare che i comunisti rivoluzionari pensino realmente ciò che dicono, e agiscano in coerenza con ciò che pensano; che è portata con spontanea naturalezza a leggere la storia come intrigo, sotterfugio, doppiezza. Anche la storia di chi come Trotsky ha sacrificato ogni cosa, a partire dalla propria vita, ai principi delle proprie idee.

In questo senso il libro, attraverso le sue falsità e persino al di là di esse, rappresenta a suo modo un manifesto autentico del neostalinismo.


IL VERO ACCORDO COI NAZISTI: IL PATTO D'AMICIZIA MOLOTOV-VON RIBBENTROP

E infine. L'aspetto più tragico e comico del Volo di Pjatakov non sta in ciò che "rivela" ma in ciò che nasconde. La presunta rivelazione dell'accordo tattico fra Trotsky e i nazisti nasconde l'accordo tra Stalin e Hitler, attraverso Molotov e Von Ribbentrop, del 1939. Il capovolgimento di ruolo tra finzione e realtà non può essere più clamoroso. Ma non si può mettere a carico dei nostri poveri autori il peso drammatico della storia reale, così diverso da quella immaginaria.

È un fatto: lo stesso regime staliniano che dal 1934 al 1939 aveva infangato Trotsky come agente di Hitler, che aveva promosso in tutto il mondo, a partire da Mosca, il processo ai trotskisti come «belve della Gestapo», realizzava nel 1939 l'accordo con Hitler e con la Gestapo. Prima un patto di non aggressione (23 agosto 1939), poi un trattato di amicizia (28 settembre 1939).

Non fu un amore platonico. Hitler ottenne da Stalin la fine del negoziato con la Gran Bretagna, la revoca del patto di assistenza con la Francia (siglato nel 1935), le spalle coperte ad Est, il via libera all'invasione della Polonia, l'apertura della seconda guerra imperialista. Stalin ottenne da Hitler la spartizione della Polonia e la promessa di un'area di influenza sovietica nei Balcani, nell'Europa sud-orientale (Romania, Bulgaria) e in Medio Oriente (Turchia e Persia). I protocolli segreti allegati all'accordo erano al riguardo inequivocabili. Il Patto avrebbe dovuto durare «dieci anni» (art. 6), e in caso di mancata disdetta dopo la prima scadenza doveva considerarsi automaticamente rinnovato. Fu Stalin in persona ad assicurare Hitler: «Il governo sovietico prende il patto molto sul serio. Posso garantire con la mia parola d'onore che l'Unione Sovietica non ingannerà il suo contraente».

Stalin fu di parola.
Per due anni l'URSS collaborò col militarismo nazista e la sua guerra. I porti russi offrirono un punto d'appoggio alla marina tedesca per la riparazione delle navi da guerra e il loro equipaggiamento (come a Murmansk). Fu concessa agli incrociatori tedeschi la rotta del Mare Artico per raggiungere il Pacifico. Fu ufficialmente appoggiata la Germania nella sua lotta contro il blocco britannico (Molotov, 31 ottobre 1939). Fu chiuso il passaggio attraverso i Dardanelli alle navi francesi e inglesi a tutela della Germania.
Inoltre per due anni il regime staliniano sostenne il militarismo nazista sul piano economico, persino al di là delle clausole del Patto di amicizia siglato. Nei primi dodici mesi l'URSS fornì alla Germania 500 milioni di marchi in termini di materie prime (quasi il triplo dei 180 milioni previsti). I tempi di fornitura alla Germania furono accorciati per sostenere il suo sforzo bellico. 900.000 tonnellate di petrolio russo entrarono nella macchina da guerra nazista, ben il 30% del fabbisogno annuale tedesco. Il sostegno del regime staliniano fu vitale per la prima espansione militare hitleriana in Europa. Stalin giunse a dire che «[...] l'URSS non può dichiararsi d'accordo con le potenze occidentali qualora esse creino condizioni tali da indebolire la Germania e metterla in una situazione difficile. In ciò consiste la comunità di interessi tra Germania e Unione Sovietica.» (18 ottobre 1939).

Nel nome di questa "comunità di interessi” lo stalinismo usò il Comintern in funzione del proprio patto con Hitler. Nel pieno dell'offensiva militare nazista e della progressiva occupazione nazista dell'occidente europeo, la propaganda del Comintern, su scala mondiale e nei diversi paesi, si indirizzò principalmente contro le democrazie imperialiste di Gran Bretagna e Francia, presentate come le prime responsabili della guerra. La campagna "per la pace" finiva così per coprire gli interessi dell'imperialismo tedesco. In Francia, il gruppo parlamentare comunista propose al Presidente della Camera Herriot l'accettazione delle “offerte” tedesche nel nome della pace (1 ottobre), e i capi del PCF giungeranno a salutare festosi l'ingresso delle truppe tedesche a Parigi offrendo ad esse la propria collaborazione nel nome del Patto di amicizia tra URSS e Germania.
In Gran Bretagna il deputato comunista Gallacher alla Camera dei Comuni dichiarò pubblicamente il proprio sostegno alla Germania, con analoghi argomenti (3 ottobre). In Belgio il partito comunista appoggiò Degrelle, capo del movimento reazionario filotedesco dei rexisti, contro ogni politica di resistenza all'invasione nazista.
Intanto a Mosca il dirigente del Partito Comunista Tedesco in esilio Walter Ulbricht, tra i pochi scampati alle purghe staliniane, invitò pubblicamente i lavoratori tedeschi a rimanere leali ad Hitler nel nome di “una buona causa”. Mentre nel nome di questa buona causa Stalin consegnò direttamente ad Hitler e alla Gestapo il grosso dei comunisti tedeschi esuli a Mosca.

Ai nostri autori chiediamo: questa politica staliniana ha qualche parentela, fosse pure remota, non diciamo col comunismo, ma anche solo con le ragioni della democrazia e gli interessi internazionali della classe lavoratrice? Il Comintern che per due anni (e quali anni!) si piega agli interessi di un regime nazista che aveva trucidato la classe operaia tedesca ha qualche relazione con l'Internazionale Comunista di Lenin e di Trotsky che investiva ogni sforzo nella rivoluzione in Germania? Un apparato burocratico che ha prostituito sino a tal punto il nome stesso del comunismo non è lo stesso che ha portato al patibolo tutti i dirigenti della Rivoluzione d'ottobre con l'accusa di... complicità coi nazisti?

Non si risponda buttando la palla in tribuna con la tradizionale evocazione della grande guerra patriottica condotta dall'URSS contro i nazisti dopo il 1941 e la vittoria di Stalingrado, perché così ci si infila in un altro vicolo cieco. Nel nome della difesa dell'URSS il movimento rivoluzionario internazionale sostenne la resistenza sovietica al nazismo e salutò la vittoria dell'Armata Rossa contro la belva hitleriana. Non è di questo che si sta discutendo. Le domande sono altre: fu Stalin a rompere con Hitler o fu Hitler a rompere con Stalin? Perché la Germania attaccò l'URSS e in che condizioni si trovò l'URSS di fronte all'attacco tedesco? È a Stalin o al grande popolo sovietico che va attribuito il merito storico della disfatta nazista?

Le nostre risposte sono basate sui fatti.

Hitler ruppe il patto d'Amicizia che Stalin gli aveva regalato per diverse ragioni. Non solo per il mancato accordo sul petrolio rumeno, che pur giocò un ruolo; ma anche e soprattutto perché pensava di poter annientare rapidamente la resistenza dell'URSS. E pensava di poter annientare rapidamente l'URSS anche perché Stalin aveva sterminato tre anni prima tutto lo Stato Maggiore più prestigioso dell'Armata Rossa - a partire da Tuchacevskij per finire con decine di migliaia di ufficiali, nella preoccupazione che potesse ostacolare il suo potere assoluto. Con quale accusa si sterminarono gli ufficiali dell'Armata Rossa? Naturalmente con l'accusa di... collaborazione con Hitler. L'indebolimento dell'Armata Rossa fu tale da incoraggiare l'ambizione di Hitler. E lo sfondamento iniziale su tutta la linea da parte delle armate tedesche, col rischio di una tragica disfatta sovietica, ha dimostrato materialmente che l'ambizione aveva un fondamento, tanto più a fronte di uno Stalin talmente sorpreso dall'attacco dell'amico hitleriano che non credeva ai primi dispacci militari e chiedeva all'Armata Rossa di non rispondere per “non cadere nella provocazione”.
Poi la storia della guerra ha preso un altro corso, imprevisto da Hitler. L'immensa profondità del territorio russo e la straordinaria resistenza di un popolo intero all'invasione nazista hanno posto le premesse dell'inversione progressiva dei rapporti di forza e della sconfitta finale tedesca. Non grazie a Stalin, ma nonostante Stalin, lo stalinismo e i suoi crimini.


IN CONCLUSIONE

Dopo aver infamato per cinquecento pagine la figura di Trotsky a difesa di Stalin, i nostri autori hanno avuto il buon gusto di concludere così il proprio testo, unendo il macabro e il ridicolo:

«La pena che vorremmo infliggere a Trotsky per il suo accordo con il diavolo nazista? Anche se la storia è andata diversamente avremmo preferito che Trotsky fosse sopravvissuto nell'agosto del 1940 all'attentato compiuto ai suoi danni da Ramon Mercader, potendo quindi assistere in seguito all'arrivo dell'Armata Rossa stalinista a Berlino [...]

Evidentemente i nostri autori pensano che la sconfitta di Hitler sarebbe stata «una pena» (!!?) per Trotsky. Addirittura una pena più grave del piccone assassino che nel 1940 si abbatté sul suo capo su mandato di Stalin, già da un anno "amico" di Hitler.

Noi comunisti non abbiamo invece alcuna pena da chiedere per i nostri poveri autori, perché non li facciamo responsabili delle menzogne che hanno ricopiato. E perché, francamente, non abbiamo né la speranza né la volontà di redimerli. Abbiamo invece un augurio sincero da rivolgere a quei giovani sinceramente rivoluzionari che hanno realmente creduto a Stalin come simbolo della rivoluzione, magari ingannati da qualche cattivo maestro: studiate con spirito libero la storia vera del movimento operaio e comunista. Perché la verità della storia non guarda solo al passato ma al futuro, e la rivoluzione non avrà futuro se non sa rileggere il proprio passato.

Marco Ferrando

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