Teoria

Amore e rivoluzione

Ripensare la relazione fra i sessi con una prospettiva marxista

11 Novembre 2018

Riflessioni a partire da Aleksandra Kollontaj

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Il voto del 4 marzo ha aperto una nuova fase in Italia e l'insediamento del nuovo governo l'ha ribadita con forza. La destra razzista e quella cattolica sono ampiamente rappresentate dai nuovi ministri. Una nuova stagione di oscurantismo dunque si sta delineando sulle nostre vite. La scelta, ad esempio, del leghista Lorenzo Fontana come ministro della 'Famiglia e disabilità' – già la sola definizione del ministero che integra la questione delle disabilità all'interno delle politiche familiari ci pare molto discutibile – è un segnale forte e inequivocabile della dura battaglia controcorrente che dovremo affrontare nell'imminente futuro. Infatti, mentre in tutta Italia i consultori e gli spazi di autodeterminazione delle donne vengono aggrediti, stanno prendendo sempre più terreno le istanze antiabortiste, nonché quelle visioni conservatrici che vorrebbero sancire la vittoria definitiva della famiglia “tradizionale” eteronormata, ossia di quell'istituzione all'interno della quale la donna possa “realizzarsi” come moglie e madre (e ovviamente sopperire con le proprie energie ai pesanti tagli allo stato sociale che da anni tutti i governi portano avanti).

È importante sottolineare che le politiche di subordinazione femminile non nascono certo con questa nuova legislatura. Basti ricordare la narrazione machista sulle donne promossa negli anni da Silvio Berlusconi per costruire la propria rappresentazione simbolica di potere e anche il proprio consenso mediatico; il che significa che tale rappresentazione era propria già di una parte di società. Le dichiarazioni di Berlusconi sono tristemente significative perché hanno contribuito a promuovere l'immagine neocoloniale della Donna immigrata come oggetto sessuale, basti pensare ad esempio quando nel 2010 affermò che «Sugli sbarchi dall’Albania faremo un’eccezione per chi porta belle ragazze». Oppure è importante non dimenticare le politiche antiabortiste e antiemancipazioniste della ministra cattolica Beatrice Lorenzin, che ha fatto dell'esaltazione della fertilità in chiave eteronormata e nazionalista uno dei suoi cavalli di battaglia. Così come è utile non dimenticare quanto le donne siano state anche oggetto di strumentalizzazioni mediatiche e strategie retoriche utilizzate dal precedente governo Renzi per promuovere e legittimare le politiche securitarie e xenofobe del ministro Minniti. Dunque il nuovo governo, il più reazionario e antipopolare che le donne abbiano mai conosciuto, è certamente anche il frutto di scelte e logiche precedenti.

In uno scenario dunque tanto difficile – soprattutto per le lavoratrici – è fondamentale non lasciarsi schiacciare dai modelli che la destra cattolica, misogina e omofoba, sta promuovendo contro di noi. In questo senso, a cento anni dalla rivoluzione d'Ottobre e a cinquanta dal '68, è doverosa una riflessione politica sulla condizione femminile e sulla sessualità che rilanci una prospettiva differente, marxista e rivoluzionaria.
A questo proposito è stata pubblicata recentemente dalla Redstar Press una raccolta di scritti di Aleksandra Kollontaj, che comprende la sua autobiografia e alcuni suoi articoli divenuti ormai classici del pensiero marxista rivoluzionario, come Largo all'eros alato!, nel quale ripensa all'amore non come un sentimento astratto, eterno e sempre uguale a se stesso, ma come prodotto storico sociale della dialettica fra le classi sociali, o Il comunismo e la famiglia. Il titolo del volume è Amore e rivoluzione. Idee di una comunista sessualmente emancipata. Contro ogni operazione autoconsolatoria o nostalgica, la riscoperta degli attori e protagonisti della rivoluzione d'Ottobre non vuole essere una occasione per rifuggire dal presente e dalla sua inadeguatezza. Al contrario, il confronto con il dibattito e le riflessioni di un'epoca straordinaria ha oggi un valore tanto maggiore proprio perché ci ricorda che un'altra storia e un'altra umanità sono possibili; ossia è possibile battersi per un'altra società dove le relazioni politiche, economiche o intime non implichino più l'esproprio dell'altro, la sua subordinazione, il suo annullamento.

Aleksandra Kollontaj è stata una importante dirigente comunista, attiva fin dai primi anni del '900 sul fronte dei diritti delle lavoratrici, così come negli anni bui del tradimento della Seconda Internazionale è stata un'instancabile internazionalista e antimilitarista, in prima linea nel denunciare le derive scioviniste e opportuniste della socialdemocrazia. Lei stessa ricorda: «La guerra in se stessa mi appariva un orrore, una pazzia, un delitto: sin dal primo momento – e più per impulso che per ragionamento – non ne ho mai voluto riconoscere l’utilità, non sono ancora riuscita ad abituarmici. L’ebbrezza degli ardori patriottici mi è stata sempre estranea, al contrario sentivo sempre una certa repulsione per tutto quello che era dichiaratamente patriottico. nemmeno i miei stessi compagni di Partito che pure vivevano in Germania a quel tempo avevano alcuna comprensione per il mio atteggiamento “anti-patriottico”. Solo Karl Liebknecht e sua moglie Sofie Liebknecht e pochi altri compagni tedeschi condividevano con me lo stesso punto di vista, erano dell’idea che il dovere di un socialista è quello di combattere contro la guerra» [p.29].

Con la rivoluzione d'Ottobre fu nominata Commissario del popolo all'assistenza sociale, divenendo la prima donna al mondo a ricoprire una carica di governo. Nella fase progressiva postrivoluzionaria, grazie anche al contributo di Kollontaj, il governo sovietico iniziò un cammino di riforme importanti volti alla socializzazione del lavoro di cura e alla liberazione delle donne dal giogo dei compiti domestici, come l’apertura di asili nido pubblici, di lavanderie pubbliche, di focolari e mense comuni.
Il governo dei soviet, dunque, si prefiggeva programmaticamente la liberazione delle donne, ossia che ciascuna cittadina potesse diventare proprietaria di se stessa e non più proprietà di qualcun altro. Una delle sfide più difficili con cui il governo rivoluzionario si dovette confrontare, oltre alla povertà e alle macerie lasciate dal conflitto mondiale, fu lo scontro con la Chiesa ortodossa, decisa a non rinunciare a nessuno dei propri privilegi materiali, così come a non fare un passo indietro nel proprio ruolo di dominio ideologico, soprattutto per quanto concerneva l'educazione femminile. Fu così che in Unione Sovietica venne sancita la separazione fra Stato e Chiesa, venne abolito l'insegnamento religioso nella scuola pubblica e vennero espropriate le proprietà della Chiesa per essere messe sotto controllo sociale. Allo stesso tempo venne garantito il diritto di culto, mettendo così fine a secoli di persecuzione e repressione di tutte le minoranze religiose.
All'interno di questo orizzonte di laicità, Alexandra Kollontaj si batté affinché la maternità non fosse più solo un ambito dominato dalla famiglia o tanto meno della Chiesa, ma un problema politico di cui lo Stato doveva occuparsi in modo scientifico, avendo come prospettiva sia l'interesse della donna e della sua emancipazione, che quello del bambino e della sua protezione: «I miei tentativi di statalizzare l’assistenza alle madri e la protezione al neonato diedero origine a nuovi infuriati attacchi contro di me. Dappertutto si sentivano menzogne sulla “nazionalizzazione delle donne”, si raccontavano fandonie sulle leggi approvate per cui ragazze dodicenni diventavano madri per costrizione e altre follie simili. Una particolare rabbia s’impossessò di coloro che professavano la dedizione al vecchio regime, quando trasformammo il noto convento di Alexander Newsky in una casa per invalidi di guerra. I monaci opposero resistenza al punto da organizzare una sommossa armata. Di nuovo la stampa sollevò un grosso putiferio contro la nostra azione. La Chiesa organizzò una dimostrazione di piazza e dalla Chiesa mi fu lanciato persino un anatema» [p.40].

Storie e riflessioni politiche come quella di Aleksandra Kollontaj oggi sono più che mai necessarie perché ci ricordano che i vari Silvio Berlusconi, Beatrice Lorenzin, Lorenzo Fontana, Simone Pillon e la loro miseria non rappresentano il nostro destino ma nemici da sconfiggere per riaffermare un'altra Storia, che sia nostra.

Chiara Mazzanti

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