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Grande Guerra, grande menzogna nazionalista

4 Novembre 2018
WWI


Nel tripudio sovranista e nazionalista che segna lo scenario italiano, le peggiori destre reazionarie celebrano il 4 novembre come cemento dell'unità nazionale. CasaPound e Forza Nuova sfilano in parate militari inneggiando al "riscatto dell'Italia". Fratelli d'Italia propone di abrogare il 25 aprile a favore del 4 novembre quale simbolo della nazione. La Lega salviniana, archiviata la Padania, coltiva attentamente le relazioni con questi ambienti intestandosi la difesa dei sacri confini contro i nuovi invasori migranti.

Ma lo sciovinismo non abbraccia le sole forze reazionarie. Il liberale Corriere della Sera (2 novembre) ospita con grande evidenza una lunga intervista del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito italiano, Salvatore Farina, intrisa del più becero patriottismo. «Noi dell'Esercito andremo nelle scuole a spiegare con filmati dell'epoca cosa avvenne nella Grande Guerra... I giovani devono conoscere... i valori morali dei nostri nonni e i loro sacrifici per compiere l'ultimo atto del Risorgimento». Segue l'esaltazione di D'Annunzio (che “umiliò gli austriaci”) e l'apologia degli appelli del Generale Diaz ai soldati (“tenete bene a mente che strappando il suolo al nemico, ognuno di voi protegge la sua terra, la sua casa, la sua famiglia”).

Ma l'ingresso dell'Italia in guerra non ebbe nulla a che vedere con la difesa della terra e delle case dei contadini, e neppure col Risorgimento. L'Italia entrò nella Grande Guerra per precise mire annessionistiche e coloniali. Non è una supposizione, è un fatto incontestabile documentato dal Patto di Londra del 26 aprile 1915; il Patto stipulato tra l'Italia, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia zarista. Un patto che avrebbe dovuto rimanere segreto, e che invece fu reso pubblico dal governo di Lenin e di Trotsky dopo la vittoria della rivoluzione bolscevica. Un patto tra briganti per la spartizione di zone d'influenza, basi militari, possedimenti coloniali, all'insaputa dei popoli coinvolti nella guerra, trasformati unicamente in carne da cannone.

Il Patto assegnava ad esempio all'Italia, in caso di vittoria, il Sud Tirolo, e la sua popolazione austriaca; un terzo della Dalmazia, a vantaggio dell'egemonia italiana sull'Adriatico; le basi militari di Valona in Albania e la concessione come protettorato italiano della parte centrale dell'Albania stessa, che pure era uno Stato indipendente; il bacino carbonifero di Adalia in Turchia e il controllo sulle isole del Dodecanneso, nella logica di spartizione dell'Impero Ottomano; la conferma della sovranità italiana sulla Libia e il diritto di partecipazione italiana alla spartizione delle colonie tedesche.
Cosa ha a che vedere tutto questo col Risorgimento e l'unità d'Italia? Assolutamente nulla. Ha molto a che vedere invece con le ambizioni (poi frustrate) di un imperialismo italiano “straccione” (Lenin) che voleva conquistare il proprio posto a tavola nella spartizione del bottino di guerra. Una guerra che costò complessivamente oltre 10 milioni di morti, per lo più operai e contadini, e tra questi 650.000 soldati italiani.

Per questo il 4 novembre non abbiamo alcuna vittoria da celebrare, ma semmai un grande crimine da denunciare. Con le stesse parole di un canto di protesta - tra i tanti - che allora si levò nelle trincee: «...Traditori signori ufficiali che la guerra l'avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù».

Partito Comunista dei Lavoratori

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