Rassegna stampa

Congresso nazionale PCL

da La Stampa

5 Gennaio 2008

Certo, teoricamente anche un grande manager è un lavoratore dipendente e precario - ammette uno dei capi - ma non è esattamente a quelli come lui che ci rivolgiamo». Anche se, nel nome, il richiamo generico è al lavoro: Partito Comunista dei Lavoratori, Pcl. Lo hanno preparato per un anno e mezzo: da quando, era maggio-giugno 2006, in uno striminzito gruppetto sono usciti da Rifondazione Comunista. «L'avevamo detto anni prima che se il Prc fosse entrato nel governo Prodi saremmo usciti: abbiamo mantenuto», ricorda l'anima della nuova formazione, Marco Ferrando. Poi ci fu pure che lui doveva essere candidato al Senato ma gli scappò qualche frase sul «diritto alla sollevazione popolare irachena contro le nostre truppe»: ma, garantiscono all'unisono, non avrebbero mai barattato il voto favorevole sulle missioni militari o sul protocollo del Welfare «con qualche sottosegretariato e un ministero». Da giovedì sono barricati nell'albergo Royal Plaza di Rimini, fino a domani dura il congresso che consacra la nascita in Italia del terzo partito con falce e martello nel simbolo, dopo quella rifondata di Bertinotti e quella classica di Diliberto e Cossutta. L'ennesima variante del brand politico più famoso del mondo: per il trotzkista Pcl, rossa su pianeta azzurro, «un richiamo all'internazionalismo comunista», spiega Michele Terra. Impiegato pubblico bolognese, 36 anni e venti di attività politica alle spalle, è stato il primo consigliere comunale di Rifondazione a Marzabotto. Fa parte del ristretto gruppo dirigente. «Uscente», precisano tutti: perché oggi si vota lo Statuto, domani si eleggono i nuovi organi dirigenti. A votare saranno i 150 delegati: non sembrino pochi, «noi non siamo il partito delle tessere - tuona il leader Ferrando - consideri che a eleggere i delegati sono quelli che votano ai congressi locali, e sono circa 10 votanti per ognuno». E sui possibili risultati elettorali, prudente, «non faccio previsioni». Tra ieri e ieri l'altro s'è conclusa la fase di discussione: «Vogliamo essere una sinistra vera, che non tradisca come ha fatto la Sinistra Arcobaleno. Vogliamo fare opposizione al governo Prodi, un comitato d'affari delle banche e delle imprese», spiega Ferrando. E ce n'è anche per la Chiesa: che «le sue sontuose proprietà vadano a centinaia di migliaia di indigenti». «Aumento dei salari, sicurezza sul posto di lavoro, riduzione dell'orario a parità di stipendio», elenca Terra. Il lavoro, prima di tutto. Un pallino già quando i promotori del partito erano una corrente di minoranza del Prc: «Nel '97 Rifondazione votò sì al pacchetto Treu, fummo contrari solo in 7», riassume un altro dirigente, Franco Grisolia, genovese 55enne, impiegato in un'assicurazione e sindacalista Cgil. Bertinotti lo conosce da una vita: «Nel sindacato prima ancora che nel partito. Sul tema del precariato gli abbiamo chiesto spesso un bilancio: col suo modo gentile e preciso ha sempre evitato di toccare il problema, di dare una risposta reale». Il Pd lo definiscono la nuova Dc, e loro si sentono ancora orgogliosamente comunisti. «La rivoluzione dei lavoratori? Prima o poi succederà», è certo Luca Scacchi, ricercatore universitario milanese, 38 anni, altro esponente del neonato partito. I neo-trotzisky si stanno già preparando.

Francesca Schianchi

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FONTE

  • luca.prini@libero.it