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Una nuova stagione delle relazioni mondiali

23 Giugno 2018
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La crisi capitalista dell'ultimo decennio, il logoramento delle basi di consenso delle forze borghesi tradizionali, l'emergere di nuove tendenze nazionaliste populiste con basi di massa all'interno degli stessi paesi imperialisti - sia in Europa che in America - hanno avuto nel loro insieme un impatto profondo sui rapporti internazionali. Il trumpismo è la manifestazione centrale di questo impatto, ed è gravido a sua volta di ulteriori effetti.

Sotto la direzione di Donald Trump l'imperialismo USA ha inaugurato una nuova stagione delle relazioni mondiali. Siamo ben oltre l'improvvisazione iniziale della politica dei tweet, nel suo andirivieni instabile e contraddittorio. Trump persegue una linea di rottura degli organismi inter imperialisti che hanno governato i rapporti internazionali negli ultimi trent'anni. Dalla rottura degli accordi di Parigi sul tema ambientale alla svolta protezionista, sino alla guerra commerciale generalizzata, la nuova amministrazione USA reimposta i rapporti mondiali secondo il codice delle relazioni bilaterali. Da un lato l'imperialismo USA e il suo supremo interesse nazionale ("America first"), dall'altro i singoli stati concorrenti del testo del mondo, siano essi stati imperialisti, potenze regionali, paesi dipendenti.


IL BILATERALISMO USA

Naturalmente l'imperialismo USA ha sempre perseguito nella propria storia il proprio interesse nazionale. Ma lo ha perseguito all'interno di una logica di mediazione interimperialistica. Anche quando il corso militarista e unilateralista delle amministrazioni Bush forzava le relazioni interimperialiste puntando alla massima valorizzazione della politica di potenza americana (vedi l'invasione dell'Iraq nel 2003 e le contraddizioni con Germania e Francia), il fine restava, in ultima analisi, la ricomposizione negoziale degli equilibri mondiali entro le sedi internazionali comuni. Il fatto nuovo del corso politico di Donald Trump sta nell'aperta messa in discussione di quelle sedi.

Il bilateralismo del nuovo corso tende a dispiegarsi su ogni scacchiere continentale. Sul continente americano, nei rapporti con Canada e Messico. In Asia, attraverso la trattativa diretta con la Corea del Nord, scavalcando non solo la Cina ma anche lo storico alleato giapponese. In Medio Oriente, col ripristino di un proprio asse esclusivo con la potenza sionista e lo Stato saudita, sino alla rottura degli accordi con l'Iran. In Europa, con una aperta postura antitedesca, l'incoraggiamento alle forze populiste, la mancata sponda alla Gran Bretagna post-Brexit, le rappresaglie contro chi viola le sanzioni a Teheran.

L'amministrazione USA ritiene che una politica negoziale separata con ogni diverso interlocutore possa assicurare all'imperialismo americano vantaggi maggiori delle negoziazioni multilaterali. Di più. L'imperialismo USA sembra giocare allo sparigliamento degli assetti tradizionali del multilateralismo. L'affondamento americano del G7 (45% del Pil mondiale) nel nome dell'auspicio formale di una relazione diretta con la Russia è da questo punto di vista emblematico. Trump scarica il G7 perché vuole avere mani libere nelle relazioni di potenza con altre potenze, essenzialmente la Russia e la Cina. Con la prima combina la pressione sanzionatoria e il negoziato diretto: l'obiettivo è ostacolare e impedire ogni possibile asse tra Russia e Germania in funzione anti-USA, come ogni asse tra Russia e Cina. Con la Cina l'imperialismo USA gioca la propria partita strategica, in una prospettiva storica, per il dominio sull'economia mondiale: l'obiettivo è il contenimento dell'espansione cinese, in particolare nelle nuove tecnologie. In ogni caso, potremmo dire “dal G7 al G3” (USA, Cina, Russia): questo sembra rispondere oggi alla visione americana delle relazioni internazionali. Gli USA contano, con questa politica, di massimizzare la propria superiorità militare ed economica nel rapporto con le potenze rivali, liberandosi di lacci e laccioli ingombranti e costosi.

Non è affatto scontato il successo strategico della nuova linea. Il nuovo blocco tra Cina, Russia, India, Iran attorno all'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai misura i rischi dell'azzardo Trump. Ma il nuovo corso ha messo sul conto i rischi. E in ogni caso... il bottino elettorale nelle elezioni americane di medio termine il prossimo novembre sembra troppo ghiotto per essere sacrificato a quella che Trump definisce “la viltà immobile della vecchia politica”. La relazione diretta del Presidente col proprio blocco sociale in funzione della raccolta del consenso non è solo un fattore costitutivo della politica interna del trumpismo; diventa anche un fattore determinante della politica estera americana, non senza contraddizioni importanti nell'apparato statale USA.


LA GUERRA COMMERCIALE E LA CRISI DELL'ASSE ATLANTICO

La guerra dei dazi è il portato dirompente del nuovo corso americano. Pannelli solari, acciaio, alluminio, prodotti hi tech, sono i primi terreni di uno scontro inedito senza risparmio di colpi. Gli USA muovono simultaneamente la guerra commerciale alla Cina, programmando dazi complessivi in prospettiva per 300 miliardi sulle importazioni cinesi, e la guerra commerciale all'Europa, in particolare all'economia tedesca super esportatrice. Le ritorsioni inevitabili di Cina e UE (dazi europei per 2,8 miliardi di importazioni USA a fronte di 6,4 miliardi di importazioni europee colpite dai dazi americani) trascinano la minaccia di ulteriori rilanci USA, in una possibile dinamica a spirale.

Sotto il profilo economico gli USA contano sul fatto che la propria natura importatrice a fronte della prevalenza esportatrice delle potenze concorrenti esponga le potenze rivali a maggiori conseguenze e possa dunque portarle a concessioni (la Cina importa solo 130 miliardi dagli USA a fronte di 376 miliardi di importazioni americane). Il fine è anche riequilibrare la bilancia commerciale americana come leva di contenimento della crescita impetuosa del proprio debito pubblico (16 trilioni di dollari oggi, si calcola 28 tra dieci anni), e soprattutto coltivare lo specifico interesse di Trump nel consolidamento della propria base sociale attorno alla bandiera protezionista.

In ogni caso, la guerra dei dazi ha una valenza enorme sul piano politico: segna la clamorosa rottura dell'asse atlantico tra USA e UE. Naturalmente sopravvive la NATO, cui gli imperialismi europei non possono rinunciare e che l'imperialismo USA ha interesse a preservare in funzione di bilanciamento antirusso (con la significativa richiesta USA agli alleati europei di incrementare la propria spesa militare sul Pil, a tutto vantaggio delle casse americane). Ma l'asse atlantico non era solo un'alleanza militare. Era un'alleanza politica ed economica che, pur nel quadro fisiologico delle contraddizioni imperialiste, le conteneva entro un quadro negoziale privilegiato e la ricerca preventiva di un comune posizionamento internazionale. Oggi questo asse atlantico è in crisi profonda. Ciò che riverbera effetti pesanti in Europa.


LA CRISI PROFONDA DELL'UNIONE EUROPEA

La guerra commerciale con gli USA trova l'Unione Europea in aperta crisi. Non è una crisi ordinaria, e neppure la semplice continuità di una lunga impasse. È una dinamica di disarticolazione, non definitiva, non irreversibile, ma di portata inedita.

Il punto centrale della crisi dell'Unione sta nella crisi dell'egemonia tedesca sull'architettura continentale. L'imperialismo tedesco ha rappresentato negli ultimi vent'anni, in condominio con l'imperialismo francese, la locomotiva dell'Unione Europea, il suo baricentro e asse di comando. Questo baricentro è oggi in dissoluzione, per effetto combinato di fattori diversi, senza che si delinei una egemonia alternativa.

Ad Est e in Centro Europa la Germania perde la sua tradizionale egemonia: il blocco nazionalista di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) rivendica una rifondazione della UE in chiave anti-tedesca. I paesi del Nord Europa, a partire dall'Olanda, non vogliono più accollarsi i “costi” delle mediazioni tedesche coi paesi del Sud, e rilanciano un'opzione intransigente sul rigore delle politiche di bilancio. I paesi imperialisti del Sud Europa conoscono ribaltamenti o rovesci politici (caduta del governo Rajoy in Spagna, svolta giallo-verde in Italia) che privano la Germania di relazioni consolidate. Nella stessa Germania l'emersione populista di AFD logora le basi di consenso della CDU e dello stesso governo di coalizione con la SPD, mentre sospinge la radicalizzazione a destra della CSU di Baviera, scuotendo il governo Merkel ed esponendolo a rischi inediti.

In questo contesto la questione dell'immigrazione diventa un fattore di precipitazione della crisi dell'Unione. Ogni paese imperialista scarica il “fardello” dei migranti sui propri “alleati” nel nome dei patrii confini. Le bandiere nazionali degli Stati imperialisti sventolano l'una contro l'altra in Europa (Francia e Italia in primis), come mai nella storia dell'Unione Europea; mentre la ricerca di un punto di equilibrio sulle politiche di bilancio, le normative bancarie, il bilancio comunitario, si arena nel groviglio di interessi nazionali divaricati.

La guerra commerciale e il nuovo corso di Trump irrompono in questo contesto con effetti contraddittori. Da un lato spingono le maggiori potenze europee ad una risposta comune alla sfida americana: le ritorsioni sui dazi possono essere efficaci solo se concordate unitariamente in sede UE. Ma dall'altro lato forniscono nuove munizioni alle campagne di massa delle forze nazionaliste che in ogni paese mimano il richiamo trumpista alla superiorità dell'interesse nazionale. Tanto più a fronte di un pubblico sostegno da parte di Trump ai nazionalismi populisti (dichiarazioni dell'ambasciatore americano in Germania a favore delle forze sovraniste in Europa, civettamento di Trump con il governo Conte e con Salvini in Italia).

Il fatto nuovo è l'indifferenza degli USA alla tenuta stessa dell'Unione Europea. Anche qui si delinea un cambio della politica USA. L'imperialismo USA ha sempre contrastato l'emersione di un imperialismo continentale europeo, ma lo ha fatto attraverso l'incoraggiamento dell'allargamento economico dell'Unione a scapito della sua potenza politica e militare. Oggi sembra delinearsi un salto di qualità: l'imperialismo USA sembra giocare al disfacimento dell'Unione Europea, e in ogni caso non contrasta questa possibile dinamica. Questo significa che per la prima volta l'Unione Europea non dispone di un fattore di tenuta esterno in America. Paradossalmente la potenza maggiormente interessata alla tenuta della UE è la Cina, che avrebbe tutto da perdere dalla disgregazione del mercato unico europeo; mentre la Russia di Putin gioca a inserirsi nel nuovo varco tra USA e UE, alternando pressioni diplomatiche per la cancellazione delle sanzioni da parte europea e proprie relazioni dirette con le forze nazionaliste e xenofobe.

Vedremo se la UE reggerà l'effetto congiunto di queste spinte centrifughe.


IL FALLIMENTO DELLE ANALISI SOVRANISTE DI SINISTRA.
LE RAGIONI DELL'INTERNAZIONALISMO CLASSISTA

Di certo questo scenario mondiale smentisce una volta di più tutte le analisi sovraniste di sinistra. Sia la visione di una "élite mondialista” guidata dalla mano segreta del Bilderberg che plasmerebbe il mondo a immagine e somiglianza della propria onnipotenza (visione Diego Fusaro), sia la visione di una UE tedesca sotto il comando di Berlino che ridurrebbe gli altri e deposito paracoloniale (visione Eurostop).

Queste visioni non sono solo scioviniste nei loro risvolti politici, perché subordinano la classe lavoratrice al proprio imperialismo nel nome della lotta al nemico esterno, sino a scivolare talvolta nel sostegno “critico” a governi xenofobi (ciò che è scandaloso). Ma sono demenziali tanto più oggi sul piano dell'analisi, perché rimuovono il dato più clamorosamente evidente dell'attuale scenario mondiale: l'esplosione di tutte le contraddizioni tra le potenze imperialiste vecchie e nuove, nel segno della crisi e scomposizione dei vecchi equilibri internazionali.

È una ragione in più per contrastare il sovranismo e rilanciare l'internazionalismo. Quanto più si dispiega la lotta tra vecchie e nuove potenze imperialiste, in Europa e nel mondo, tanto più è necessario assumere a riferimento l'interesse internazionale del movimento operaio. L'interesse indipendente di due miliardi di salariati che non hanno patria e che hanno un mondo da guadagnare, come scriveva Marx. Offrire un'unica bandiera a questo immenso esercito, liberarlo dai veleni nazionalisti, sviluppare controcorrente la sua coscienza, dare ad esso una prospettiva di rivoluzione e una direzione internazionale, è il compito dei marxisti rivoluzionari. Oggi più ancora di ieri.

Marco Ferrando

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