Teoria

Una tragedia greca

Occupazione, Resistenza e guerra civile nella Grecia degli anni '40

17 Maggio 2018

Pubblichiamo la prima parte di una dettagliata ricostruzione analitica della Resistenza e della Guerra civile greche e dell'intrecciarsi della loro dinamica storico-politica con questioni essenziali della strategia del movimento operaio, greco e internazionale. Particolarmente nefasto risultò, senza eccezione rispetto al resto dello scenario europeo e mondiale, il ruolo dello stalinismo greco

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Nell'agosto del 1949, in Grecia, si concludeva la guerra civile. Con la perdita del fortilizio del monte Grammos, l'Esercito Democratico veniva definitivamente sconfitto dalle truppe monarchiche del maresciallo Papagos sostenute ed appoggiate da una missione militare americana. I combattenti ed i militanti del Partito Comunista di Grecia (KKE) si ritirarono nei paesi dell'est europeo dietro quella che all'epoca veniva chiamata “la cortina di ferro”. Si concludeva così, con una cocente disfatta, l'intero ciclo storico iniziato con la resistenza all'occupante nazifascista, che nell'arco di un decennio aveva visto l'ascesa delle masse greche. Mentre altrove quelli che avevano combattuto i nazisti venivano acclamati come eroi, in Grecia, la generazione che aveva liberato il paese veniva uccisa, esiliata e incarcerata. Questi fatti avranno profonde conseguenze nella vita politica del paese, e si rifletteranno su tutta una lunga fase della storia della Grecia. Basti pensare che, sino alla caduta del regime dei colonnelli, i comunisti verranno banditi, e non potranno più agire legalmente.

Da noi, in Italia, le vicende che hanno investito la Grecia negli anni '40 sono sempre state trattate molto superficialmente. La produzione letteraria e bibliografica è molto scarna e si conta sulle dita di una mano. Difficile trovarne traccia nei manuali scolastici. L'interesse anche di tipo accademico è molto limitato e rarefatto. In un paese che ama le ricorrenze storiche, e che ad ogni anniversario inonda il mercato librario di decine e decine di titoli, le vicende che hanno portato alla guerra civile greca, sono bistrattate. Rappresentano un buco nero. Certamente non è compito nostro rimediare a questa disattenzione degli storici. Ci preme, invece, tentare di inquadrare quegli avvenimenti - misconosciuti e rimossi - per rimettere in circolo una riflessione sulle cause che determinarono quella sconfitta così pesante per la sinistra. Una sconfitta che preme dire, è maturata grazie agli indirizzi politici della burocrazia staliniana. Nel dibattito politico e storiografico del movimento operaio italiano, la vicenda Greca è sempre stata citata a sproposito, diventando nel tempo quasi una sorta di “leggenda nera”, sulla quale nel dopoguerra, riformisti e stalinisti si sono appoggiati per giustificare le loro scelte politiche rinunciatarie e compromissorie praticate alla metà degli anni '40. Per certi versi la sconfitta del movimento partigiano greco è stata usata dal PCI come argomento principale per rintuzzare i propri critici di sinistra, che sostenevano che in Italia la Resistenza fosse stata tradita. Anche in anni recenti, tutta una schiera di dirigenti e di intellettuali provenienti dal PCI (ma non solo), hanno utilizzato quegli avvenimenti per evocare una supposta contrapposizione tra il “lucido realismo” di Togliatti e l'infantile avventurismo della direzione del Partito Comunista Greco; per contrapporre la “lungimiranza strategica” della svolta di Salerno, e del partito nuovo con le pulsioni estremistiche dei combattenti ellenici. Costoro, si sono esercitati a comparare le differenze tra la “via italiana” e quella “greca”. Come Luciano Canfora, che sostenne in suo brillante e fortunato libro che «Togliatti scelse tempestivamente e mantenne saldamente contro ogni tentazione contraria, la via democratica; Markos in Grecia scelse, con i risultati che ognuno sa, la via rivoluzionaria». Anche Luigi Vinci, intervenendo in merito alla storia del PCI, comprovò quella comparazione scrivendo su Liberazione, che opportunamente all'Italia, Togliatti aveva evitato di fare la fine della Grecia (1).


GLI ANTEFATTI DELLA GUERRA CIVILE

Dopo un lungo periodo di instabilità politica e sociale, il 4 agosto 1936, il generale Ioànnis Metaxàs d'accordo con la monarchia abolisce i diritti costituzionali e instaura la dittatura (2). Il parlamento viene sospeso e i partiti politici vengono proibiti. Fervente ammiratore dell'ordine prussiano, Metaxàs modellò il proprio regime sulla base degli altri regimi autoritari esistenti in Europa (in primis l'Italia mussoliniana) e introdusse uno stile di governo paternalistico e dispotico che lo portò ad autoproclamarsi “primo contadino” e “primo operaio” della nazione. Uno stile da “unto del signore” che intrecciando il dramma alla farsa verrà poi successivamente copiato anche in altri paesi. Proponendosi di raddrizzare la schiena all'indolente popolo greco, coniò la strampalata ideologia della “terza civiltà” che avrebbe dovuto riassumere e superare le due civiltà precedenti: quella pagana della classicità e quella cristiana di Bisanzio.

Equilibrata fu invece la politica estera del dittatore greco. Riuscì infatti, per alcuni anni a conciliare l'incremento degli scambi commerciali con la Germania, che acquistava quasi il 40% del tabacco greco, con il mantenimento della tradizionale alleanza con la Gran Bretagna. Nel suo primo proclama alla nazione, Metaxàs dichiarò: “Ho assunto il minimo dei poteri indispensabili per far fronte al pericolo comunista e non ho alcuna intenzione di spogliarmene prima di aver ripulito il paese da tutti i comunisti ed aver instaurato un ordine insovvertibile. La stampa greca e i greci tutti saranno tenuti a rispettare la disciplina nazionale. Per il momento non è opportuno che si facciano delle elezioni nazionali: coloro fra voi che in passato hanno aderito a partiti politici, sono obbligati ora a dimenticarsene; non esistono più partiti in Grecia. Il vecchio sistema parlamentare è scomparso per sempre; il governo è stabile e permanente ed applicherà questo sistema finché non sia riuscito ad operare un riordino completo”.

In questo quadro la repressione colpisce duro e decapita il Partito Comunista Greco. Nel volgere di poche settimane un migliaio di militanti del KKE vengono arrestati, fra i quali lo stesso segretario generale. Il ministro degli interni Maniadàkis riesce ad introdursi nell'organizzazione clandestina del partito, assolda alcuni membri dell'ufficio politico e crea una “direzione provvisoria” formata da dirigenti del partito comprati e controllati dalla polizia. La “direzione provvisoria” controlla una serie di sezioni di base e pubblica un apocrifo organo di stampa del partito il “Rizospastis” (il "Radicale") che gli iscritti hanno difficoltà a distinguere da quello originale. Con il grosso del gruppo dirigente incarcerato, alcuni quadri intermedi sfuggiti alla repressione costituiscono una nuova struttura di direzione chiamandola “vecchio comitato centrale” in sostituzione di quello arrestato, e in contrapposizione alla “direzione provvisoria” filo-metaxista. Un'altra astuta tattica di Maniadàkis, (le cui gesta persecutorie sembrano ricordare le raffinate perfidie degli agenti dell'Ochrana, narrate nei romanzi dei grandi scrittori russi dell'ottocento) che ebbe un certo successo nel piegare l'organizzazione comunista, fu quella di concedere la libertà a quei detenuti che firmavano un'umiliante dichiarazione in cui si dissociavano dalla loro fede politica e denunciavano i loro compagni di lotta. La repressione non farà altro che aumentare le difficoltà del KKE, un partito che per tutta una fase aveva recitato un ruolo marginale nella società greca, scontando la limitatezza numerica della classe operaia (negli anni Venti vi erano circa 140.000 operai su una popolazione di poco più di cinque milioni di abitanti), e la sua cronica incapacità di radicarsi nelle masse contadine.

Come gli altri partiti comunisti dell'Europa, anche il partito greco fu piegato agli interessi della casta burocratica staliniana. Nel 1927, dopo il terzo congresso del KKE, con l'accordo del Komintern, un gruppo di militanti e di dirigenti che facevano riferimento alle posizioni dell'opposizione trotskista vengono radiati dal partito, tra loro l'ex segretario Pantelis Puliòpulos, che nel giugno del 1943 per ritorsione dopo un attentato compiuto dai partigiani, verrà fucilato dai soldati italiani. Prima che il plotone d'esecuzione faccia fuoco, Puliòpulos che era poliglotta e che aveva curato la prima traduzione del 'Capitale in Grecia, arringa i soldati denunciando la natura imperialista della guerra. I soldati profondamente scossi da quelle parole che invitavano alla solidarietà internazionalista tra i proletari, si rifiutano di sparare. Furono gli ufficiali superiori ad ucciderlo assieme ad altri centocinque prigionieri. Successivamente, nell'autunno del 1931, Mosca interverrà di imperio nelle vicende del partito greco, defenestrando la vecchia direzione ed imponendone una nuova sotto la guida di Zachariadis. Un anno e mezzo prima del VII congresso della Terza Internazionale, l’esecutivo del Komintern convocherà il VI Plenum del comitato centrale del KKE, e sottoporrà alla sua approvazione un programma politico complessivo per l’azione del partito che, cancellando anche formalmente le posizioni di classe, subordina gli interessi della classe lavoratrice alla borghesia (3). Dopo la presa del potere di Metàxas, il KKE ricercherà una politica di ampia alleanza con le forze politiche liberali che erano state marginalizzate dopo lo scioglimento del parlamento, arrivando persino ad accantonare la questione istituzionale riguardante il sovrano, per ottenere la collaborazione dei monarchici in un fronte popolare.


L'INVASIONE ITALIANA

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Metaxàs tentò in ogni modo di tenere la Grecia al riparo degli eventi bellici che investivano l'Europa. Sorvolò sull'annessione italiana dell'Albania che metteva un argine alle mire elleniche sull'Epiro albanese, facendo finta di nulla di fronte alle ripetute provocazioni italiane che culminarono, nell'agosto 1940 nel siluramento dell'incrociatore 'Elli (vanto della marina greca) ancorato nella rada dell'isola di Timos. Del resto, l'esercito greco era male armato e poco numeroso, e soprattutto disponeva di una marina e di una aeronautica militare antiquata e poco adeguata a sopportare eventi bellici come quelli che si andavano a determinare in Europa. Ma, nonostante l'affinità ideologica con Metaxàs, il 28 ottobre del 1940, anniversario della Marcia su Roma, l'Italia fascista aggredisce militarmente la Grecia e la invade. Mussolini, sullo sfondo delle sue mira coloniali, punta a ribadire il proprio prestigio rispetto all'alleato tedesco. Una sorta di compensazione dopo i successi del terzo reich in Polonia e in Francia. Lo stesso Mussolini dice a Ciano prima dell'aggressione: «Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto; questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l'equilibrio verrà ristabilito» (4). Mussolini pensava ad una incursione rapida e vincente, ad una guerra lampo della durata di una ventina di giorni che, sbaragliando sul campo l'inferiore esercito greco, lo avrebbe trionfalmente portato a giungere sotto l'Acropoli in groppa dell'immancabile cavallo bianco che era solito cavalcare nelle grandi occasioni. Ma, terminato l'impeto iniziale della forza d'urto delle truppe comandate dal generale Visconti Prasca, i greci riavutisi dalla sorpresa si riorganizzano e prima riescono a stabilizzare il fronte, e poi passano decisamente alla controffensiva. In pochi mesi, i greci riescono a respingere le truppe italiane fino a 60 km al di là del confine albanese. Saranno solo le pessime condizioni meteorologiche ad impedire all'armata greca la conquista del porto di Valona (logisticamente decisivo per l'approvvigionamento delle truppe italiane) e ad evitare così a Mussolini l'onta di vedere il maramaldo Golia italiano surclassato da un Davide greco malvestito, mal armato e denutrito. Ma cos'è successo? Di fronte alla proditoria ed inattesa aggressione straniera, la società greca, passando sopra all'avversione conclamata nei confronti di una dittatura impopolare e priva di consenso nel paese, si stringe attorno alla bandiera nazionale e accorre a difendere i propri confini violati. I sorprendenti successi dell'esercito greco (forte di solo undici divisioni contro le ventisei dell’esercito italiano) furono dovuti assai più allo spirito combattivo del popolo greco che alla preparazione strategica e all'acume tattico dello stato maggiore metaxista. L'aggressione italiana fu respinta perché l'esercito greco, insufficientemente armato, ma fortemente motivato era sostenuto dallo sforzo della popolazione civile, che si sobbarcava enormi sacrifici, trasportando a spalla i mortai, le armi e le munizioni sulle più impervie zone di montagna dell'Epiro.


L'OCCUPAZIONE DELLA GRECIA

A questo punto, dopo gli insuccessi mussoliniani, intervengono i tedeschi. Essi sono spinti, più che dalla voglia di muovere in aiuto all'alleato in difficoltà, da un duplice obiettivo: assicurarsi il fianco balcanico prima di attaccare l'Urss; evitare l'intervento degli inglesi, che con la loro aviazione avrebbero potuto colpire, dalle nuove basi sul suolo greco, i pozzi petroliferi situati in Romania e minacciare l'esercito tedesco schierato in quella zona. Le truppe tedesche, a differenza di quelle italiane, hanno la meglio su quelle greche e dopo tre settimane di combattimenti entrano ad Atene. Ma l'intervento della Wermacht costringe Hitler a spostare di cinque settimane il piano di invasione dell'Unione Sovietica. E questo ritardo avrà il suo peso su tutto l'andamento della seconda guerra mondiale perché l'esercito tedesco, partito un mese dopo, sarà sorpreso dall'inverno russo prima di arrivare a Mosca. Viene insediato un governo fantoccio, mentre il re Giorgio II va in esilio a Londra. L'establishment greco che aveva simpatizzato per i regimi fascisti ed era stato costretto dalle condizioni date a contrastare l'invasione mussoliniana, ora, di fronte alla potenza hitleriana rinfodera le proprie velleità patriottiche e si mette prontamente al servizio del nuovo occupante. I vecchi apparati burocratici ed amministrativi metaxisti si riciclano e vengono utilizzati dall’invasore. Del resto, le strutture dello stato che avevano disciplinato la società greca, conculcando le libertà democratiche e perseguitando il movimento sindacale erano del tutto confacenti alle necessità delle forze occupanti dell’asse. Il nuovo governo collaborazionista è presieduto da Georgios Tsolakoglu, il generale dell’armata macedone che si impegna a modificare la costituzione in vigore, e a collaborare lealmente con le forze dell’Asse per instaurare un nuovo ordine in Europa.

Ma pochi giorni dopo l’entrata dei nazisti ad Atene, inizia a circolare un manifesto firmato da un gruppo di comunisti raccolti intorno alla figura di Nikos Plumbidis, che proclama la necessità della lotta senza quartiere contro l’occupazione straniera, e chiama all’alleanza con gli altri popoli balcanici schiavizzati (5). E sarà un mese dopo, che le truppe del Terzo Reich assisteranno attonite al primo simbolico, clamoroso gesto della resistenza: due studenti universitari, Manolis Glezos e Apostolos Santas, riescono a eludere la sorveglianza militare, salgono sul Partenone, e strappano via la bandiera nazista, che era il simbolo dell'occupazione. I due non furono mai scoperti dai nazisti e Glezos diventerà un militante comunista. Da subito, nelle città della Grecia occupata si muore di fame, perché migliaia di tonnellate di derrate alimentari e di generi di prima necessità vengono requisiti per sfamare le truppe dell'Asse. Solo nel terribile inverno 1941/42 saranno trecentomila i morti di inedia. Inoltre, come già ampiamente in uso nel resto dell'Europa, gli Ebrei vengono perseguitati. La numerosa comunità Sefardita di Salonicco viene letteralmente sterminata, mentre quella ateniese riesce parzialmente a salvarsi solo grazie all'aiuto fornitogli dalla rete clandestina dei partigiani dell'EAM. La Grecia viene ripartita in tre zone di occupazione, una italiana, una tedesca e una Bulgara. I nazisti non mostrano alcuna esitazione nel compiere delle efferate stragi contro la popolazione civile, come quella compiuta a Distomo. (6) Anche le truppe italiane fanno la loro parte. Il 16 febbraio del 1943 in Tessaglia, dopo un attacco a un convoglio militare italiano gli uomini della divisione Pinerolo compiono una feroce rappresaglia a Domenikon : 150 sono i civili fucilati. Secondo la storica italiana Lidia Santarelli, del centro per gli studi mediterranei ed europei della New York University, Domenikon non fu soltanto un capitolo isolato e terribile del conflitto, ma l’inizio di una nuova strategia fascista nei territori occupati: quella della “responsabilità collettiva” e delle rappresaglie contro le popolazione civile. Del resto, subito dopo la guerra il ministero greco della previdenza sociale, nel censire i danni di guerra, calcolò che quattrocento villaggi avevano subito distruzioni parziali o totali, la metà dei quali ad opera delle truppe italiane. I generali Benelli e Geloso non fecero altro che applicare scrupolosamente le linee strategiche sperimentate dal generale Roatta in Jugoslavia: uso dell’aviazione e dei lanciafiamme per distruggere i villaggi, utilizzo degli ostaggi, internamento di massa delle popolazioni. Altro che “italiani brava gente”. Tutto ciò stride con quella retorica rievocativa che celebra Cefalonia e la divisione Acqui, ed entra direttamente in conflitto con quell’humus derubricatorio tramandatoci dalle emozioni cinematografiche di “Mediterraneo” e del “Capitano Corelli”. Questo stereotipo del “marmittone” italiano, guascone ma con il cuore in mano, invalso per tutto il dopoguerra, è servito come narrazione addolcita e rassicurante, per sminuire le responsabilità del colonialismo italiano, e per celare gli orrori delle guerre di conquista compiute dalla liberal democrazia giolittiana prima, e dal fascismo mussoliniano, poi.


LE OSCILLAZIONI DELLA DIREZIONE DEL KKE

L'aggressione fascista del 1940 e poi successivamente quella del terzo reich colsero di sorpresa la direzione del KKE. Dopo l'accordo tedesco sovietico dell'agosto 1939, i partiti comunisti erano stati allineati attorno ad una nuova consegna. La guerra era considerata una lotta tra imperialismi concorrenti, di cui l'Inghilterra portava le responsabilità maggiori, in quanto aveva rifiutato le “disponibilità pacifiche” della Germania nazista. Molotov arrivò a dire, davanti al Soviet supremo che «l'intraprendere una guerra per distruggere l'hitlerismo con il pretesto della lotta per la democrazia è dunque una cosa insensata e persino delittuosa» (8).

In questo quadro, secondo l’Internazionale stalinizzata, il compito primario dei comunisti greci era quello di rimanere neutrali e di lottare per la pace. La linea politica e la stessa propaganda del KKE verranno conformate intorno agli interessi politici e diplomatici della casta burocratica moscovita raccolta intorno a Stalin. Questa consegna fu rotta dal segretario Zachariadis che, pochi giorni dopo l'aggressione fascista, dal carcere indirizzò al popolo greco un appello in sostegno alla resistenza contro l'invasore, che la stampa di Atene, per disposizione del ministro degli interni, pubblicava il due novembre del 1940. “In questa guerra che il governo Metaxàs dirige, ciascuno di noi deve portare il contributo di tutte le sue forze, senza alcun riserbo” (9). Ma, successivamente con altre due lettere rettificò questa posizione pronunciandosi per una politica di “neutralità” e per “accordi di pace patrocinati dall'Unione Sovietica”. In particolare, con la seconda lettera tentò di trovare una via di mezzo nella difficile posizione in cui il KKE si era venuto a trovare dopo il criminale accordo tra Ribbentrop e Molotov. Sostenne, infatti, che nel conflitto contro Mussolini, la Grecia avrebbe dovuto tenere un atteggiamento esclusivamente difensivo, senza entrare in conflitto con le forze dell'Asse. Queste sue oscillazioni, ricordano da vicino la giravolta compiuta da un altro stalinista, il leader del PCF, Maurice Thorez che proprio in quel periodo, prima partiva per il fronte per difendere la Francia aggredita dai tedeschi e subito dopo disertava per non rendersi complice con la guerra dell'imperialismo francese contro la Germania Il “vecchio comitato centrale”, invece, fu sempre senza alcun dubbio schierato con le posizioni moscovite arrivando persino, pochi giorni prima dell'aggressione nazista alla Grecia, ad invitare i lavoratori greci a “seguire l'esempio dei nostri eroici fratelli in Bulgaria”, che solo poche settimane prima avevano dato il benvenuto alle divisioni della Wehrmacht “con fiori e manifestazioni” (10) .


LA RESISTENZA E LA COSTITUZIONE DELL'EAM-ELAS

Sarà solo l'aggressione nazista dell'Unione Sovietica nel giugno 1941 a ricomporre le divisioni interne nel KKE e a dare nuovo impulso all'attività resistenziale. Mentre il Re è a Londra e le truppe greche si trasferiscono in Egitto, i vecchi partiti liberali e conservatori sono dispersi e scompaginati. Il KKE è l'unico partito in grado di contare su una certa organizzazione nel paese (la stessa che sarà in grado di salvare gran parte degli ebrei ateniesi). Nel settembre 1941 viene fondato un “Fronte di liberazione nazionale” detto EAM, e pochi mesi dopo inizia ad operare l'ELAS, Esercito popolare di liberazione nazionale che dell'EAM costituiva il suo braccio armato. Entrambe le strutture erano controllate dai comunisti che riuscirono ad aggregare molte forze (liberali, repubblicani, ex ufficiali caduti in disgrazia) che non avevano trovato nel paese altra struttura che desse loro la certezza di poter combattere con risolutezza l'occupante nazi-fascista. Del resto le altre organizzazioni resistenziali di matrice monarchica e liberale (EDES e EKKA) erano molto esigue e dipendevano del tutto dall'aiuto britannico. La costituzione di queste due formazioni fu favorita dagli inglesi e dal governo monarchico che si trovava in esilio al Cairo, sotto protezione britannica, per tentare di controbilanciare la crescente influenza comunista nel movimento resistenziale. L’EDES (unione nazionale greca democratica) era comandata da Napolèon Zèrvas, un generale repubblicano, che dopo l’appoggio britannico diventerà un fervente monarchico; mentre L’EKKA di orientamento liberale era guidata dal colonnello Dimitros Psarros. Fra l’ELAS e le altre due piccole formazioni partigiane ci fu sempre, durante tutto il corso della lotta di liberazione, una forte rivalità, dovuta non solo da ragioni ideologiche, ma soprattutto da motivi terribilmente pratici, legati agli aiuti che i britannici paracadutavano nelle zone controllate dalla resistenza. Infatti, mentre EDES ed EKKA erano finanziate e regolarmente equipaggiate dagli inglesi; l’ELAS, riceveva invece, solo aiuti sporadici e saltuari. Per la maggiore organizzazione della resistenza ellenica, le cose muteranno radicalmente nel settembre del 1943, quando in Tessaglia, due intere divisioni italiane (Pinerolo e Aosta) si arrenderanno ai partigiani, consentendogli così di entrare in possesso di un grande quantitativo di armi automatiche, mortai e munizioni.

L'EAM-ELAS godette di un enorme sostegno popolare: per la grande maggioranza del popolo greco, piegato dalle privazioni, dalla guerra e dalla carestia, rappresentava la prospettiva di un futuro diverso e migliore. Il programma dell'EAM rifletteva le posizioni e gli interessi dell’Internazionale stalinizzata: inserimento in governi di unità nazionale, spregiudicato allargamento delle alleanze, rinuncia a perseguire una prospettiva rivoluzionaria.

In questo quadro il KKE respinse la proposta del Partito Socialista Greco di inserire nello statuto dell'EAM il riferimento al “socialismo” come prospettiva finale del movimento resistenziale, e fu ben attento a mettere la sordina alle rivendicazioni operaie. D'altro canto fece di tutto per non apparire come una presenza minacciosa per i valori profondamente presenti nella società contadina come la proprietà privata e il cristianesimo ortodosso. Tant'è che una delle prime proposte avanzate dall'EAM fu quella di aumentare gli stipendi ai preti dei villaggi. Tant'è che una delle prime proposte avanzate dall'EAM fu quella di aumentare gli stipendi ai preti dei villaggi. Tuttavia, come scrive Pierre Broué, «Questa volontà di mantenere la nazione unita contro l'invasore - quando essa nei fatti non lo è, di imbrigliare le spinte di classe dell'opposizione popolare all'occupante ed ai suoi collaboratori della borghesia greca, non riesce tuttavia ad impedire ai lavoratori ed agli strati più poveri di utilizzare istintivamente il quadro organizzativo predisposto per fare avanzare le loro rivendicazioni: l'afflusso di combattenti dà un carattere di classe a questo EAM che si sforza di rifiutarlo con altrettanta fermezza. Sono dei lavoratori a manifestare a migliaia per il primo anniversario dell'attacco italiano del 28 ottobre 1941. In dicembre, gli studenti prendono il testimone. Il 26 gennaio 1942, poi il 17 marzo, è una categoria di poveri particolarmente miserabile, i mutilati di guerra, che manifesta in piazza, aiutata dalle militanti clandestine dell'EAM vestite da infermiere. L'organizzazione si estende e si perfeziona. Il 15 marzo 1942, manifestazioni con rivendicazioni economiche in numerose città, tra cui Atene, sono seguite da scioperi: quello dei 40mila funzionari - nella direzione del quale si trovano militanti trotskisti - dal 12 al 21 aprile, poi quello di operai di una fabbrica di fertilizzanti in agosto al Pireo. Nell'intervallo, i contadini del Peloponneso hanno tenuto una serie di manifestazioni ben riuscite. Il popolo greco è rosso, le masse dei settori più oppressi si mettono in movimento, ed è perciò che il KKE si risolve ad inviare un manipolo di militanti per organizzare i partigiani, gli andartes, nel quadro dell'Armata Nazionale di Liberazione del Popolo, le unità militari dell'ELAS, braccio militare dell'EAM. Un rapporto dell'Abwehr del novembre 1942 segnala l'esistenza nel paese di intere province "in mano alle bande" che giustiziano i traditori, distribuiscono il grano che prelevano dagli ammassi obbligatori, incitano i contadini a scegliere liberamente le loro autorità politiche e a discutere democraticamente di tutti i loro problemi. La lotta degli andartes diventa, per la dinamica delle cose ed all'infuori della volontà dei loro responsabili politici, un fattore della guerra di classe nelle campagne, probabilmente più sociale che nazionale, benché anche i partigiani del celebre Aris Velouchiotis prendano parte a spettacolari operazioni di sabotaggio delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto che disorganizzano la macchina bellica tedesca». (11)
Dunque, anche nella resistenza greca, avviene un confronto – a volte aspro e conflittuale – tra due posizioni: quella di un settore operaio e contadino che istintivamente interpreta e vive la lotta di liberazione contro gli occupanti come riscatto sociale, e come preludio per una liberazione dall'oppressione capitalistica; e quella dell'apparato del Partito Comunista Greco che, ligio agli ordini di Mosca, si batte per costruire un “fronte nazionale” basato sulla collaborazione tra tutte le forze politiche. Un risultato che non riusciranno a realizzare, perché la borghesia greca si guarderà bene dal rompere il cordone ombelicale che la lega alla monarchia e ai loro protettori britannici. La stessa dialettica, in forme diverse, la ritroveremo anche, nel rapporto burrascoso tra alcuni comandanti partigiani e la direzione del KKE.


DALL'AUTOGOVERNO DELLA RESISTENZA ALLA COLLABORAZIONE DI CLASSE

Nel marzo del 1944, l'EAM-ELAS che ormai controlla ampie zone del paese, dà vita al “Comitato provvisorio di liberazione nazionale”, noto con la sigla PEEA. Ciò che divideva i rappresentanti politici del Cairo dagli Andartes della resistenza era l'idea sul futuro della Grecia. Il governo del Re era ovviamente favorevole al ripristino della monarchia. Idem per gli Inglesi. Il “governo della montagna” era invece per una repubblica e chiedeva che Giorgio II si impegnasse ad accettare un plebiscito prima di fare ritorno in patria. Naturalmente, la questione istituzionale era solo un aspetto di un contrasto più profondo, tra le istanze politiche che il comitato di liberazione esprimeva, (riflettendo in esse le domande sociali di cambiamento che le classi più povere del paese avanzavano) e gli interessi delle classi possidenti rappresentate dai vecchi e screditati partiti d'anteguerra.

Tre dunque erano in quel momento i governi che si contendevano la guida del paese, quello “collaborazionista”, che era eterodiretto dai nazisti; quello monarchico "del Cairo”, del tutto avulso dalla realtà che andava maturando in patria; e quello dell'EAM-ELAS che sempre più acquistava un peso maggioritario nella società greca. A tal punto, che persino i militari di stanza al Cairo erano favorevoli al governo del comitato di liberazione. I britannici, che intuirono immediatamente la reale posta in gioco, ordinarono il disarmo di un intero reggimento greco. Ne seguì un generale ammutinamento delle truppe, che fornirà il pretesto per deportare ventimila soldati greci nei campi di detenzione della Libia e dell'Eritrea. Le vicende relative all'ammutinamento delle truppe del Cairo, suonano come un campanello d'allarme per gli inglesi. In alcune minute vergate in quel periodo, Churchill definisce i partigiani dell'ELAS “miserabili banditi greci” e “le bestie più infide e immonde”. Egli teme per gli assetti politici del dopoguerra, è preoccupato che si interrompano i tradizionali rapporti di intesa con la corona greca, soprattutto teme come la peste che la lotta di liberazione che è sorta contro l'occupante nazifascista, possa trascendere in un movimento rivoluzionario di tipo socialista. E quindi, con grande lucidità, corre ai ripari varando una nuova strategia. Nomina primo ministro, Geòrgios Papandreu, (padre di Andreas che sarà capo del governo negli anni '80, e nonno di George, che anch’egli diverrà primo ministro del PASOK) amico dei britannici, incarcerato da Metaxàs, con un passato da repubblicano, ma ora, “dato il pericolo comunista”, schierato dalla parte della monarchia. L'obiettivo è duplice: far entrare nel governo del Cairo i rappresentanti della resistenza, in modo da evitare pericolosi dualismi di potere. Secondo: disarmare le formazioni partigiane dell'ELAS per consentire, una volta sconfitti i tedeschi, il ristabilimento dell'ordine borghese. Il primo obiettivo sarà raggiunto con una certa facilità. Dopo l'arrivo in Grecia del tenente colonnello Gegorij Popov a capo di una missione sovietica, l'EAM si dichiarerà disponibile a collaborare senza condizioni con il nuovo governo borghese di Papandreu. E il 31 agosto del 1944 sei ministri dell'EAM entreranno in un governo di unità nazionale dominato dai britannici. La capitolazione si completava con il contemporaneo scioglimento del governo provvisorio della montagna. Essa verrà accolta con entusiasmo dal primo ministro in esilio. Il secondo obiettivo, invece, verrà raggiunto più tardi e comporterà una scontro aperto con l'ELAS.


LA LIBERAZIONE COME BREVE INTERMEZZO PRIMA DELLA RESA DEI CONTI

Nel mese di ottobre del 1944 i nazisti si ritiravano dalla Grecia. La liberazione era avvenuta senza la partecipazione diretta di un solo soldato britannico o di altri paesi alleati. L'EAM-ELAS che si era conquistato sul campo uno straordinario sostegno tra le masse diseredate, controllava militarmente tutto il paese. In quel frangente vi erano quasi tutte le condizioni favorevoli per uno sbocco rivoluzionario vincente per i lavoratori e le masse elleniche. Del resto, le prime truppe britanniche che sbarcheranno in Grecia non superavano le 6.000 unità; l'ELAS che contava 70.000 combattenti avrebbe potuto neutralizzare questi “liberatori” fuori tempo massimo e rimandarli a Londra come farà Tito in Jugoslavia. Ma ciò non accadde principalmente per le responsabilità precipue di Stalin e del gruppo dirigente del KKE. Infatti, sullo sfondo dell'accordo di Mosca tra Churchill e Stalin, che stabiliva le relative sfere di influenza regionali, (con la Romania che entrava nell'orbita di Mosca, mentre la Grecia rimaneva in quella britannica) nel corso del 1944 vi erano stati una serie di negoziati (La Plaka, Libano, Caserta) tra l'EAM e il governo in esilio, in cui la direzione del KKE aveva accettato l'autorità politica del governo filomonarchico di Papandreu e quella militare del generale britannico Ronald Scobie. Una capitolazione che facilitando il revanscismo delle forze reazionarie prepara le condizioni per la tragedia successiva.

Nell'autunno del '44, mentre gli inglesi si preparano ad affrontare le forze partigiane, la direzione del KKE – a partire dai suoi rappresentanti nel governo, Siantos e Zevgos, tiene un atteggiamento moderato e del tutto conciliante. Assicura la più ampia lealtà nei confronti degli inglesi. Sollecita una intesa tra tutte le forze politiche. Ricerca una piena legittimazione come partito “nazionale” della resistenza. Respinge le richieste di Aris Velouchiotis e dei principali capi partigiani, che ritenendo inevitabile lo scontro aperto con gli inglesi, chiedono con insistenza l'approntamento di un piano di preparazione militare.


LA BATTAGLIA DI ATENE

Sul finire dell'autunno cambia completamente il quadro. Appena i tedeschi abbandonano la Grecia, si pone subito il nodo dello scioglimento delle “truppe regolari”. La questione è che l'EAM chiede lo scioglimento simultaneo sia delle forze partigiane, sia delle forze filo-monarchiche, mentre Papandreu, sostenuto dall'ambasciata britannica vuole solo lo scioglimento dell'ELAS. Le formazioni filo-monarchiche in questione si chiamano “Brigata di montagna” e “Squadrone Sacro” e le loro file sono piene di miliziani e di ex collaborazionisti. Nel mese di dicembre, avviene un teso confronto tra la direzione del KKE e il governo di Papandreu con quest'ultimo che nega ai primi la concessione di alcuni importanti dicasteri governativi, e con i comunisti che chiedono le dimissioni di Papandreu. Alla fine, sono i comunisti ad abbandonare il governo, rilanciando con forza la richiesta di un “vero governo di unità nazionale” e per protesta, il 3 dicembre del 1944 per le vie di Atene viene convocata una imponente e pacifica manifestazione (il regista Anghelopulos, con movenze brechtiane ci restituisce il clima di quella manifestazione nel film “La recita”). In Piazza della Costituzione, nel centro della città, la polizia spara sulla folla dei dimostranti facendo decine di morti e centinaia di feriti. L'indomani, diverse centinaia di migliaia di cittadini, in un clima di crescente tensione, assistono ai funerali delle vittime. Sulla via del ritorno, gruppi di militanti dell'estrema destra sparano sui manifestanti, facendo nuove vittime. Alla repressione feroce della “domenica di sangue”, la gioventù comunista della capitale, generosa ma impreparata, reagisce attaccando i commissariati.

Entrano in azione anche alcuni reparti dell'ELAS che assediano la sede centrale dell'Organizzazione “X”. I membri di questa milizia fascistoide si salvano in extremis, grazie all'intervento dei carri armati inglesi. Combattimenti accaniti si propagano per tutta la città. Il generale Scobie decreta la legge marziale e ingiunge all'ELAS di abbandonare Atene entro 48 ore. La prova di forza che Churchill cercava da tempo ora si materializza. Inizia una battaglia che coinvolgerà le truppe inglesi e che durerà per tutto il mese. Da una parte c'è il Fronte di liberazione nazionale e la grande maggioranza della popolazione attiva. Dall'altra c'è un governo borghese, debole e screditato, ma che ha dietro di sé l'appoggio dell'imperialismo britannico che a sua volta, ha la garanzia della benevola neutralità sovietica. Dietro l'EAM c'è il KKE e dietro Papandreu c'è la forza dell'esercito inglese deciso a sbarrare la strada ad una sollevazione popolare. Disorientata è la base comunista e l'insieme dei lavoratori greci. La propaganda del partito aveva evitato accuratamente di criticare gli inglesi. Nelle manifestazioni dell'autunno del 1944 (compresa quella del 3 dicembre, quando i dimostranti sono stati falciati dalle mitragliatrici dei gendarmi) assieme alle bandiere rosse, i comunisti avevano fatto garrire al vento anche le bandiere degli alleati.

Confidando nella tenuta della grande alleanza antifascista tra l'Unione sovietica e le potenze occidentali, il KKE si era illuso di consolidare le proprie posizioni nella società greca, convincendosi di neutralizzare le forze reazionarie attraverso l'affidamento ad una consultazione elettorale che presumeva li avrebbe visti prevalenti. In questo quadro, per tutto il 1944, il Partito Comunista Greco aveva sperato di evitare lo scontro aperto con gli inglesi e con i monarchici facendo tutta una serie di importanti concessioni: dalla partecipazione al governo di unità nazionale alla subordinazione politica e militare ai britannici e ai monarchici. L'obbiettivo perseguito non era la presa del potere ma la contrattazione di alcuni ministeri nel quadro di una duratura collaborazione di classe. Altro che avventurismo. L'indirizzo politico seguito dal KKE in questo cruciale periodo, ricorda da vicino la strategia politica dell'unità nazionale sancita da Togliatti con la svolta di Salerno. Ed ora che lo scontro risultava inevitabile, avveniva su un terreno sfavorevole. Uno scontro voluto dalle forze reazionarie e dagli Inglesi. Lo stesso Churchill lo aveva scritto un mese prima: «Sono convinto che ci scontreremo con l'EAM e che non dobbiamo cercare di evitare lo scontro, a condizione di scegliere bene il terreno». La direzione del KKE è costretta a battersi, ma non è assolutamente disposta a condurre la lotta fino in fondo. Presenta a Scobie proposte di pace molto concilianti che si scontrano però con richieste di capitolazione pura e semplice. Respinge la proposta di Aris Velouchiotis di procedere al disarmo dei piccoli reparti britannici nel resto della Grecia. Soprattutto, evita di far convergere su Atene, le ben armate e preparate divisioni partigiane dislocate nel centro nord della Grecia, che vengono invece dirottate in Epiro, per sbaragliare le formazioni dell'EDES. Comunque, grazie al sacrificio e allo spirito combattivo dei partigiani ateniesi, nelle prime settimane della battaglia l'ELAS riesce ad avere in mano la situazione, confinando i britannici in uno spazio ridotto che comprende la piazza della costituzione e il quartiere alto borghese di Kolonaki.

In Inghilterra, i sanguinosi avvenimenti di Atene non passano sotto silenzio. Il turbamento è grande. Il “Times” esprime il suo biasimo per quella che definisce “una politica reazionaria”; la grande maggioranza dei delegati della conferenza dei sindacati condanna l'intervento dell'esercito britannico; mentre a Londra alla camera dei comuni si leva forte la dura protesta dei rappresentanti laburisti, e alla fine del dibattito solo una piccola parte dei deputati approvano l'interventismo di Churchill. In quella sede, un deputato del Partito Laburista Seymour Cocks dichiara «che preferisce farsi incenerire la mano destra piuttosto che sottoscrivere l'ordine dell'esercito britannico di sparare sui lavoratori greci» (12).



Note

(1) Liberazione del 18 febbraio 2009.

(2) Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, la Grecia visse un periodo di profonda instabilità politica. All’inizio del 1924 la monarchia venne abolita e sostituita da un regime repubblicano che esiliò Giorgio II. La repubblica però non riuscì ad affermarsi a causa di un clima politico sempre più deteriorato. Nel novembre del 1935 un plebiscito sancì il ritorno alla monarchia, e il Re si reinsediò ad Atene. La situazione politica, tuttavia non migliorò. Le elezioni dell’anno successivo non portarono alla definizione di una maggioranza parlamentare in grado di governare il paese. Sin dal primo decennio del Novecento, il sistema politico greco si incentrava attorno a due attori politici principali: il Partito Popolare Monarchico e il Partito Liberale. Quest’ultimo fondato da Eleutherios Venizelos, lo statista greco di maggior spicco della prima metà del ventesimo secolo, si proponeva di realizzare delle riforme che, intaccando i privilegi della vecchia oligarchia dei latifondisti, avrebbe favorito il consolidarsi di una moderna borghesia che anelava a riproporre i modelli dell’occidente liberale. Il Partito Liberale rappresentava gli interessi di quella classe media che al tempo si stava sviluppando ad Atene e Salonicco, composta da armatori, banchieri e commercianti. L’assetto costituzionale, con l’irrisolta questione tra monarchia e repubblica, rappresentava il principale motivo dell’aspra competizione tra i due principali partiti.

(3) «Il 21 gennaio 1934 il Rizospàstis, organo centrale del Partito Comunista di Grecia (KKE), pubblicò le decisioni prese dal VI Plenum del comitato centrale. A questa riunione erano presenti 17 membri, e in essa furono approvate delle scelte molto importanti per la politica del partito; scelte che poi furono confermate all’unanimità dei 30 delegati del V congresso, convocato frettolosamente e tenuto nel mese di marzo dello stesso anno. Su questa svolta si è basata tutta la successiva linea del KKE. Con questa svolta si abdicò anche formalmente alle posizioni di classe, e si iniziò a sostenere che la lotta per il socialismo doveva passare dal completamento della rivoluzione democratica e da un indefinito stadio intermedio prima di arrivare ad una lontana ed ipotetica “fase socialista”, che avrebbe dovuto tener conto delle peculiarità greche. Il socialismo avrebbe avuto quindi un carattere nazionale “greco”. “Spartakos”, l’organizzazione greca legata all’opposizione trotzkista, comprese immediatamente dove sarebbe andata a parare questa svolta e incaricò Pantelis Puliòpulos di rispondere passo su passo in maniera argomentata alle “storiche decisioni del VI Plenum stalinista”. “Storiche decisioni” che sancivano la subordinazione del proletariato greco alla borghesia, in un paese arretrato come era allora la Grecia». (da "Rivoluzione democratica e socialista in Grecia” di Pantelis Puliòpulos – edizione L’Internazionale)

(4) Gian Galeazzo Ciano, Diario 1939-1943, Rizzoli 1971

(5) Nikòlaos Plumbidis membro del comitato centrale del KKE. Gravemente malato di tubercolosi, nel 1939 durante la dittatura di Metàxas fu l’ultimo componente dell’ufficio politico del partito ad essere arrestato. Rimasto ad Atene per tutta la durata della guerra civile fu poi sconfessato e tradito dai dirigenti in esilio. Nel 1953, fu uno degli ultimi fucilati dalla “normalizzazione” seguita dalla guerra civile. Della sua fine ne parla Antonio Solaro nella sua “Storia del Partito Comunista Greco” (Teti editore 1973) : “Dell’emittente che era stata messa a loro disposizione, Zachariadis e il gruppo dei suoi collaboratori (Bartzotas, Vlandas) si servivano per intervenire nelle attività dell’EDA e imporre alla sua direzione di seguire la sua linea. Se ne servivano anche per eliminare i loro avversari nel partito stesso. Così la loro radio denunciò alla polizia la presenza ad Atene del membro dell’ufficio politico, N.Plumbidis. Plumbidis, l’unico membro della direzione rimasto nella capitale durante la guerra civile, godeva di grande prestigio tra i comunisti, per ciò, trovandosi ad Atene, era considerato da Zachariadis un possibile pericoloso rivale, il quale sarebbe riuscito a ricostruire le organizzazioni di partito, assumendone anche la direzione. Del tutto falsamente l’emittente accusò Plumbidis di essere una spia e gli addossò la responsabilità dell’arresto di Beloiannis. Plumbidis si trovò subito nel più totale isolamento e in brevissimo tempo fu scoperto e arrestato. Durante l’interrogatorio e il processo, Plumbidis ebbe un atteggiamento da vero comunista, difese il partito sino all’estremo e fu condannato a morte e ucciso”.

(6) Distomo è un paese sulle pendici del Parnaso, mitologica sede delle Muse, sulla strada tra Atene e la non lontana Delfi. Il 10 giugno del 1944 una colonna tedesca era stata attaccata dai partigiani nelle vicinanze. La colonna subì delle perdite e si dovette ritirare. I granatieri della quarta divisione di polizia delle SS si vendicarono sul villaggio indifeso uccidendo soprattutto anziani, donne, 34 bambini di età tra uno e dici anni, 4 lattanti da due a sei mesi d’età. Tutte le case del villaggio furono incendiate.

(7) Antonio Solaro, “Storia del Partito Comunista Greco”, Teti editore 1973. Solo la prima delle lettere del segretario generale del KKE fu pubblicata per disposizione del ministro Manadiakis. La seconda lettera del 26 novembre 1940 fu resa pubblica dai servizi di pubblica sicurezza solo nel 1947, per evidenziare come il KKE fosse stato contrario alla guerra contro il fascismo italiano prima dell’avvenuta invasione nazista dell’Unione sovietica. La terza lettera, invece, inviata all’organizzazione degli studenti comunisti, non fu mai pubblicata. Essa recitava: “I popoli e i soldati della Grecia e dell’Italia non sono nemici, ma fratelli e la loro fratellanza al fronte porrà fine alla guerra condotta dai loro sfruttatori, i capitalisti. Perché tutto ciò avvenga è necessario che il popolo e l’esercito rovescino la dittatura monarco-fascista di Metàxas, il loro nemico principale, e instaurino un governo popolare antifascista”.

(8) Giorgio Vaccarino, “Storia della Resistenza in Europa”, Feltrinelli editore 1981.

(9) Antonio Solaro, op.cit.

(10) Giorgio Vaccarino, “La Grecia tra resistenza e guerra civile”, Franco Angeli 1988.

(11) Pierre Brouè, “Di fronte alla seconda guerra mondiale (www.marxismo.net)

(12) Giorgio Vaccarino, “La Grecia tra resistenza e guerra civile” op cit.

Piero Nobili

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