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L'abbraccio Di Maio-Salvini (con il benestare di Berlusconi)

11 Maggio 2018
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Giunta sull'orlo di una autentica crisi istituzionale, la crisi politica italiana registra un improvviso colpo di scena. Silvio Berlusconi dà il proprio benestare ad un governo Di Maio-Salvini.
Che il benestare passi formalmente attraverso un voto di astensione critica o di opposizione responsabile cambia poco, avendo M5S e Lega nel loro insieme una autosufficienza di numeri parlamentari, seppur risicata al Senato. Il significato è politico. Da un lato Berlusconi ha ceduto alle pressioni dei propri gruppi parlamentari terrorizzati dal bagno di sangue annunciato del ritorno al voto. Dall'altro punta a fare di necessità virtù, con obiettivi diversi e complementari: capitalizzare le prevedibili difficoltà del nuovo governo senza rompere l'alleanza col centrodestra, mantenere un potere di condizionamento sugli equilibri politici (contrattazione di ruoli nelle commissioni parlamentari e nell'alta burocrazia statale), ottenere garanzie per le proprie aziende, guadagnare tempo sull'orologio del proprio declino in attesa della famosa sentenza di Strasburgo.


LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA EVITA LA CRISI ISTITUZIONALE

Le pressioni su Berlusconi non sono venute peraltro dai soli gruppi parlamentari di Forza Italia. Sono venute anche dal PD, ugualmente impaurito dalla corsa al voto dopo la Caporetto del 4 marzo, e in una profondissima crisi interna. E sicuramente sono venute della stessa Presidenza della Repubblica, che voleva evitare l'umiliazione di un governo del Presidente bocciato dalle Camere, una precipitazione alle urne senza riforma della legge elettorale, la conseguente riproposizione dopo il voto di una impasse sostanzialmente immutata, il rischio di irruzione della speculazione finanziaria nella crisi politica. Non a caso Mattarella, nel suo discorso a conclusione dell'ultimo giro di consultazioni, pur annunciando un “governo neutro” di propria nomina, aveva lasciata aperta la finestra della possibile ricomposizione di una maggioranza politica, e per dilatare i tempi supplementari di questa possibile ricomposizione aveva fatto filtrare la propria disponibilità a rinviare lo scioglimento delle camere dopo l'annunciato voto di sfiducia verso il governo del Presidente. La preoccupazione di evitare una crisi istituzionale senza rete ha avuto dunque un ruolo decisivo nella svolta politica in atto.


LA VORACITÀ DEI GIOVANI PARVENU

I giovani gruppi dirigenti di M5S e Lega, dopo aver scalato i propri partiti, ambiscono a scalare lo Stato borghese. Dietro di loro una pletora di aspiranti ministri e sottosegretari che non vogliono perdere l'occasione della (loro) storia. La Lega porta in dote al nuovo governo l'amministrazione delle regioni del Nord e la fitta rete di relazioni coi poteri forti dei propri territori. Il M5S vi porta il proprio controllo sul blocco sociale del Meridione e la fame insaziabile di poltrone borghesi. La spartizione tra Lega e M5S di quasi tutte le cariche istituzionali al piede di partenza della legislatura dava subito la misura della voracità dei parvenu. La svolta in corso la conferma nel modo più clamoroso: Di Maio e Salvini hanno scelto di sacrificare il proprio annunciato successo in nuove elezioni, a luglio o settembre, sull'altare del proprio accesso immediato al governo del capitale. Meglio l'uovo oggi, dice il vecchio adagio popolare. La soddisfazione delle ambizioni ministeriali ha prevalso su ogni altro calcolo.


LE CONTRADDIZIONI DEL NUOVO GOVERNO E LA MINACCIA REAZIONARIA

Il negoziato tra M5S e Lega è in pieno corso. Sia in fatto di premiership, ministeri, sottosegretariati, sia sul programma e la sua gestione. La contraddizione è evidente. I blocchi sociali di riferimento di M5S e Lega sono diversi, e diversamente dislocati. Flat Tax al Nord e reddito di cittadinanza al Sud ne sono state le bandiere, assieme all'abolizione della legge Fornero come richiamo trasversale di entrambi. Al tempo stesso sia la Lega, sia soprattutto il M5S, si sono presentati al capitale finanziario italiano ed europeo come garanti dei patti siglati sulle politiche di bilancio pubblico, una garanzia offerta allo stesso Mattarella in cambio di una legittimazione istituzionale. Quale punto d'equilibrio potranno trovare tra la vecchia demagogia casereccia e il nuovo abito istituzionale?

Una mediazione in termini di sommatoria dei due programmi elettorali è facile da un punto di vista letterario, ma è incompatibile coi parametri di bilancio che M5S e Lega si sono impegnati a onorare. Mentre una mediazione costruita per elisione bilanciata delle rispettive promesse li esporrebbe al rischio di un rapido crollo di credibilità presso i rispettivi elettorati.

Il nuovo governo cercherà di affrontare il problema in due modi. In primo luogo con la diluizione delle promesse e della loro attuazione lungo l'arco della legislatura. In secondo luogo scaricando le contraddizioni sul lato più reazionario della propria politica. Non potendo dare al proprio popolo soddisfazioni sociali, si può offrirgli soddisfazioni morali: massimizzare le politiche di respingimento esemplare degli immigrati; indurire il regime carcerario; inasprire le normative sulla sicurezza e il “decoro” (sulla scia di Minniti-Orlando); liberalizzare la legittima difesa; e naturalmente sbandierare l'immancabile trofeo dell'abolizione dei vitalizi (15 milioni di risparmio annuo).
Dirottare la rabbia sociale su falsi bersagli sarà una tecnica di occultamento delle difficoltà. Anche per questo un Salvini ministro degli Interni segnerebbe una nuova frontiera della deriva reazionaria in Italia.


MATTARELLA VIGILA PER CONTO DEL CAPITALE

Il nuovo governo Di Maio-Salvini non è la soluzione preferita dal grande capitale. Il grande capitale puntava ad un governo M5S-PD, col primo che portava in dote il consenso e il secondo con una funzione di garanzia e di controllo. Il quel quadro il M5S avrebbe potuto sacrificare più agevolmente le proprie promesse sociali attribuendone la responsabilità al PD, e il PD avrebbe potuto incoraggiare la costituzionalizzazione del M5S, portandola a compimento. Ma questo disegno non aveva i numeri parlamentari sufficienti, e in ogni caso è stato silurato da Renzi, per la sua partita interna al PD. Ora il nuovo governo ha una matrice interamente estranea alle tradizioni politiche delle famiglie borghesi europee, e nessuno dei due sodali può evocare facilmente il proprio alleato come alibi delle promesse mancate.

Per questo la Presidenza della Repubblica già si ritaglia il ruolo di supervisore esterno a garanzia dell'interesse superiore del capitale. Annuncia che vorrà avere voce sulle nomine dei ministeri chiave in Economia, Esteri, Giustizia. In un certo senso svolgerà quel ruolo di controllo politico sull'esecutivo “populista” che la borghesia voleva assegnare al PD. Sicuramente cercherà di spingere il nuovo governo verso una riforma della legge elettorale, in funzione della governabilità di sistema. Ma con questo non potrà certo risolvere le contraddizioni profonde che il nuovo quadro politico porta con sé.


RIPARTIRE DALL'OPPOSIZIONE DI CLASSE

Prematuro pensare, in questo contesto, a un governo di legislatura.
Ma nessuna contraddizione del nuovo governo potrà precipitare a sinistra senza una ripresa dell'opposizione sociale, di classe e di massa.
L'opposizione del PD muoverà dalla difesa dei conti pubblici e dalle preoccupazioni dell'establishment, nazionale ed europeo. Le truppe disperse di Liberi e Uguali, che avevano sperato di riciclarsi in un governo M5S-PD, si attesteranno su un'opposizione “democratica”.
Ma non vi sarà una linea di resistenza efficace sullo stesso terreno democratico senza ricondurla alla centralità dello scontro tra capitale e lavoro: l'unica linea di scontro che può scomporre i blocchi reazionari e aprire dal basso uno scenario nuovo. Una linea di scontro che richiede non solo l'autonomia dal PD, ma l'aperta contrapposizione al M5S, fuori da ogni ambiguità e illusione.

Milioni di elettori avevano cercato nel M5S una nuova sinistra, e lo ritrovano a braccetto del lepenista Salvini. Milioni di lavoratori avevano cercato nel M5S uno strumento di difesa e cambiamento sociale, e lo ritrovano a braccetto di Confindustria e alla ricerca della sua benedizione. Tutte le illusioni sul M5S - purtroppo avallate per anni dagli ambienti più diversi della sinistra politica e sindacale - sono e saranno sottoposte alla doccia gelida della realtà, mentre ciò che rimane del popolo disperso della sinistra è privo più che mai di un riferimento politico e di una proposta chiara.

Ricostruire una coscienza classista e anticapitalista tra gli sfruttati, radicarsi nelle loro organizzazioni, battersi per l'unificazione delle loro lotte, è il lavoro quotidiano, tanto più oggi, del Partito Comunista dei Lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

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