Dalle sezioni del PCL

Potenza: presentazione del libro "Cento anni" di Marco Ferrando

Relazione introduttiva del compagno Florenzo Doino

11 Aprile 2018
potnza


"Cento anni" è una bella opera, scritta in modo scorrevole, per lavoratori per giovani e per chiunque voglia confrontarsi e conoscere. È altresì un libro rigoroso che si compone di nove capitoli, arricchito di una notevole bibliografia e con note fondamentali che ci aiutano a districarci nella rigogliosa storia del movimento operaio.

È un testo, oseremmo dire, originale perché è un contributo attualissimo alla lotta di classe che, nonostante i funerei proclami del riformismo, arde sotto le macerie del capitalismo nella sua fase di putrescenza; il Kurdistan come l'India, l'Argentina come il Sudafrica e tutti i cinque continenti sono percorsi da movimenti di ripresa dell'iniziativa proletaria e di classe.

Nella trascorsa campagna elettorale un giornalista ci ha posto, a bruciapelo, la domanda: ha senso essere comunisti oggi? Nel 2018? Dopo aver assistito al crollo dei regimi dell'est? Dinanzi al fallimento del Venezuela, di Cuba? Ovviamente voi già immaginate la nostra risposta.
Certo che sì. Oggi più di ieri alla luce del clamoroso fallimento del capitalismo che, all'indomani del 1989, ci veniva presentato come l 'unica possibilità data all'umanità di svilupparsi nella pace e nel benessere. Qualche giorno fa un compagno malizioso, a commento dei pessimi risultati elettorali per i partiti antagonisti e della vittoriosa affermazione dei populismi reazionari, ha sancito, bontà sua, la fine del movimento comunista. Abbiamo rivolto a entrambi l'invito alla lettura del libro del nostro compagno Marco Ferrando se animati dall' interesse per la ricerca della verità che è sempre rivoluzionaria.

L'opera di Ferrando è una risposta alle principali domande che nel movimento dei lavoratori si pongono da sempre, domande su cui è un continuo interrogarsi anche alla luce dei mutati rapporti di classe, alla luce delle inimmaginabili scoperte scientifiche, come l’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, presentata come un cambiamento epocale paragonabile alla rivoluzione industriale.

In questo, come in altri casi, si tratta di dar atto a quanto sosteneva Marx nel Manifesto: “la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione”. Ieri il vapore oggi il software di autoapprendimento che riesce a svolgere anche i cosiddetti lavori “intellettuali”, prevalentemente impiegatizi. Se un tempo era impensabile sostituire un analista finanziario, un addetto del call center, perfino medici e giornalisti, grazie allo sviluppo tecnologico dei software oggi è possibile. Solo qualche esempio: Vodafone sta già sviluppando un’intelligenza artificiale che sostituisca gli operatori che rispondono ai call center. Nel Regno Unito stanno testando un software che leggendo analisi del sangue e rilevando i battiti cardiaci è in grado diagnosticare problemi e salvare il paziente nell 80% dei casi. E di altri esempi ne potremmo fare a iosa come alla Fiat di Melfi.

Ma queste scoperte inimmaginabili, queste nuove forme di produzione non modificano i rapporti sociali che sono sempre gli stessi: una piccola minoranza vive del lavoro di due miliardi di produttori-salariati. In definitiva non aboliscono il cosiddetto capitale variabile che sappiamo essere il proletariato, produttore di profitti. Alcune domande poste sono giuste e doverose, molte obiezioni invece sono il frutto di un' assordante propaganda tesa alla dimostrazione che non vi è alternativa allo stato di cose presenti. Cento anni è un vero e proprio excursus di storia sociale che parte dalla data  più importante per il movimento operaio perché segna l'inizio della prima e forse unica rivoluzione comunista (se si eccettua la comune di Parigi del 1870): la rivoluzione bolscevica del 1917 che l'autore definisce, a ragione, una rivoluzione contro la guerra, proiettata sul mondo, che rigetta apertamente la vecchia teoria meccanicista impostasi nella II internazionale secondo la quale i paesi arretrati sarebbero dovuti passare attraverso il capitalismo prima di porsi il problema del socialismo. Ci si chiedeva: se la rivoluzione aveva trionfato nella Russia arretrata, contro ogni previsione, dopo la sconfitta della rivoluzione russa del 1905, guidata da un piccolo partito rivoluzionario, spesso bistrattato dai circoli dominanti del movimento operaio internazionale del suo tempo,perché un'analoga rivoluzione non avrebbe potuto dispiegarsi nell'Oriente arretrato?

India, Cina, Turchia, Persia ect. Insomma la rivoluzione bolscevica come premessa della rivoluzione mondiale. Tutto ciò non significava negare la priorità delle rivoluzioni democratiche
Ferrando tocca acutamente tutte le principali questioni  che da cento anni e più sono oggetto di dispute, scelte politiche e di campo a volte catastrofiche. Ciclicamente il movimento operaio, dopo gli arretramenti o le sconfitte, si pone l' interrogativo del "che fare", con incredibili fughe in avanti o all'indietro. L'idea che il capitalismo sia riformabile affiora puntuale a ogni arretramento. Noi la pensiamo come il Moro di Treviri: "il riformismo di ogni tempo si riduce a chiedere un capitalismo senza i vizi del capitale". La riprova di tutto ciò? 

Senz'altro le esperienze catastrofiche di Syriza, Podemos e della stessa sinistra italiana che dall'alternativa al capitalismo oggi predicano l'alternativa al liberismo. Il tramonto dell' economia pianificata "capitalismo in Russia conseguente al crollo dell Urss per mano dello stalinismo fece esultare la borghesia che sancì l'illusoria eternità del capitalismo. Quell'evento indusse la sinistra internazionale a cambiare analisi, profili e prospettive. Ogni riferimento alla liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato fu soppiantato dalla esaltazione della democrazia in nome della quale si compiono tutt'ora sanguinose guerre imperialiste.
Ai molti ex, impazienti, dissociati e redivivi, oggi "detrattori della dottrina delle condizioni di liberazione del proletariato internazionale" rispondiamo che l'importante non è avere l'illusione di vincere sempre e comunque. L'importante è non arrendersi mai all'ignoranza e alla menzogna dispensate a piene mani dalle caste al servizio del capitalismo che, è bene ricordarlo, fonda la sua esistenza sul più grande scandalo mai esistito: lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la dittatura di una piccola minoranza che stravolge ogni rapporto tra gli uomini e dell'uomo con la natura. La fame, la sete, la desertificazione, le guerre, la mercificazione dei corpi di uomini e donne sono il risultato di una lotta cannibale tra capitalisti concorrenti, protesi ad arginare la caduta tendenziale del saggio di profitto. Ciò significa per il proletariato anche disoccupazione e precarizzazione del lavoro.

Il problema ambientale e del riscaldamento climatico è un altro metro rilevatore di ciò che il nostro compagno definisce l'irrazionalità del capitalismo e che drammaticamente interroga più direttamente il futuro della specie umana.  La produzione capitalistica basata sull'uso dei carboni fossili ha provocato nel lungo periodo un progressivo riscaldamento del pianeta con previsioni catastrofiche che vanno dalle migrazioni climatiche al crollo dei sistemi sanitari, ect.
La logica vorrebbe che di fronte a questa prospettiva catastrofica si riorganizzasse il sistema produttivo in modo di riconvertire il sistema energetico verso le rinnovabili che sarebbe, secondo studiosi diversi, superiore di sei otto volte a quelle attuali. Sarebbe da aspettarselo. Ma ciò non accade perché nella logica capitalistica capovolta non interessano i valori d uso bensì quelli di scambio. Il primo interrogativo che il capitalista si pone: questa scoperta scientifica quanti profitti mi procurerà?

Soffia perciò un'aria di smobilitazione e disarmo ulteriore del proletariato quando la "sinistra più o meno antagonista e antiliberista" confonde il proprio fallimento collettivo con una sconfitta storica del proletariato, il quale, secondo costoro, dovrebbe "inventarsi" altre forme di lotte e di rappresentanze. Ma noi sappiamo bene che le sconfitte storiche di una classe sono quelle che derivano dal confronto in armi foriero della presa del potere dell' una o dell' altra classe.
A dispetto dei fuggiaschi "Cento anni" affronta la necessità della rivoluzione sociale che è una necessità per salvare l'umanità dalla catastrofe immanente del capitalismo putrescente. La rivoluzione non come un accadimento statico, bensì come un processo a cui i comunisti partecipano e per dirla con Leon Trotsky con "il compito di sviluppare la coscienza dei lavoratori".
È una risposta di metodo profonda che insegna a non adattarsi in nome del "realismo", in nome dell'unica "cosa possibile" alla coscienza arretrata delle grandi masse, obnubilate dal riformismo quando non dai populisti reazionari.

Il compagno Marco Ferrando nel suo indagare il cammino e l’evoluzione della lotta di classe, riflettendo sulle sue conquiste come sulle sue sconfitte non tralascia l' aberrazione della controrivoluzione stalinista usata oggi come clava  per attaccare la necessità del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà  dove l'umanità  viene restituita alla sua umanità. Non è un caso che il nostro portavoce conclude con Antonio Gramsci: "Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio". E noi così proviamo a fare.

Florenzo Doino; Partito Comunista dei Lavoratori - Basilicata

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