Teoria

Democrazia borghese – dittatura del proletariato – democrazia socialista

Dall’inganno borghese all’emancipazione democratica della classe lavoratrice

24 Aprile 2018
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«L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria (che cerca costantemente l’intesa con altre forze d’ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale) è rivolta a realizzare una società nuova – socialista – che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale.»

(Enrico Berlinguer, 31/10/1977)

Così si esprimeva il segretario del PCI nel 1977, scoprendo “finalmente” la democrazia quale valore universale. Naturalmente ad essere pignoli si sarebbe potuto rimproverargli l’amicizia giovanile, come quella di tutto il PCI togliattiano, con quel sincero democratico di Stalin (si veda l’epitaffio vergato il 5 marzo 1953 in occasione della morte di Stalin [1]).
Non erano, però, i principi di coerenza di pensiero in questione in quel periodo.
Infatti già da anni, dal 1973, Berlinguer professava il famigerato “compromesso storico” che altro non era, al netto di tutti gli ornamenti ideologici e pseudo-teorici, che l’assoggettamento della grande ondata di mobilitazioni di classe del biennio 1968-69 al quadro delle compatibilità del capitalismo italiano.
Tutto ciò era finalizzato all’accesso del PCI al governo della Repubblica dopo la prima esperienza del 1945-46, che aveva fruttato l’amnistia per i fascisti, il disarmo dei partigiani e l'inizio del loro calvario persecutorio, perché accusati per le loro azioni antifasciste dal vecchio apparato giudiziario ereditato dal fascismo. In nome di questa partecipazione al governo, Togliatti avvallò l'art. 7 della Costituzione, che ripristinava i Patti lateranensi, ossia il concordato tra Stato e Chiesa voluto dal Duce.
Nel 1973 la direzione del PCI chiedeva agli operai e agli studenti che riempivano le piazze di sottomettersi ad una nuova politica di sacrifici e riabilitava la DC, il principale partito della borghesia, quale grande partito popolare. Proprio il contrario di ciò che pensavano i giovani e i movimenti di tutti i settori della società italiana che invece volevano farla finita con questa sorta di partito-Stato.
Certo la burocrazia del PCI non poteva confessare questa realtà.
Così, insieme alla “democrazia cristiana”, si riscoprì il valore della democrazia tout court.
Berlinguer è soltanto un epigono. Altri prima di lui e con ben altro spessore teorico avevano riscoperto il valore della “democrazia pura”.

Una premessa, per intendersi: per Marx non esiste la democrazia “pura”, e anche la più democratica delle repubbliche borghesi rappresenta lo Stato della dittatura di classe della borghesia. Sulla base di questo principio Marx, insieme all’Associazione Internazionale dei Lavoratori di cui era uno dei fondatori, appoggiò la Comune di Parigi, primo esperimento di una repubblica democratica espressione della dittatura di classe del proletariato.
Egli contrappose così in via di principio lo Stato-comune proletario alla repubblica parlamentare borghese.
Questo insegnamento venne custodito anche dalla II Internazionale, a cui aderivano le principali organizzazioni socialiste e socialdemocratiche del movimento operaio europeo.


IL TRADIMENTO DELLA II INTERNAZIONALE

Come sappiamo, la II Internazionale socialista crollò per il tradimento dei principali partiti socialdemocratici, tra cui la grande socialdemocrazia tedesca, che il 4 agosto 1914 votò i crediti di guerra, contro tutte le deliberazioni dei congressi precedenti.
Il più grande e influente partito operaio d’Europa avvallò cosi la Prima guerra mondiale scatenata dalle potenze imperialiste del capitalismo europeo per la spartizione del mercato mondiale delle merci e delle risorse naturali. Una guerra che fu combattuta dal proletariato e dalle classi popolari, costretti ad un vero e proprio olocausto fratricida.
I capi della II Internazionale e della socialdemocrazia erano stati i custodi dei principi del marxismo contro tutti i revisionismi, come quello di Bernstein che negava la necessità della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato.
Per questo erano stati i maestri di Lenin, primo fra tutti il suo massimo esponente: Kautsky.
Di fronte a questo tradimento dell'unità del proletariato di tutte le nazioni, gli internazionalisti e i rivoluzionari conseguenti non poterono che rompere con la II Internazionale e dichiarare guerra alla guerra propagandando l’affratellamento tra i proletari in armi e la trasformazione del conflitto in una guerra civile contro i capitalisti che l’avevano voluto (Conferenza di Zimmerwald, 1915).
La fine del massacro imperialista divenne la rivendicazione dei soldati russi, ossia contadini e operai in armi, che insieme alla rivendicazione della terra e dei diritti dei lavoratori portò prima all’abbattimento dello zarismo nel febbraio del 1917, e poi alla rivoluzione dell’ottobre per l’abbattimento del governo provvisorio. Il governo provvisorio era sostenuto dal partito borghese dei Cadetti, dai menscevichi appartenenti alla II Internazionale socialista e dai Socialisti Rivoluzionari, di ideologia populista. Esso si rese responsabile del disconoscimento di tutte le rivendicazioni popolari in nome delle quali era stato portato al potere e della criminale offensiva al fronte del giugno 1917 ordinata da Kerenskij, il capo del governo, in ossequio ai patti stipulati con l’Intesa, l’alleanza degli imperialismi francese e inglese.


LA RIVOLUZIONE

Nel luglio 1917 le masse proletarie e le guarnigioni rosse di Pietrogrado, minacciate di invio al fronte, si sollevarono: volevano farla finta col governo della guerra filoimperialista, dei tentennamenti dei partiti socialisti di fronte alla rovina generale del paese, e dare tutto il potere alle loro organizzazioni: i soviet.
I bolscevichi, pur contrari alla rivolta perché prematura, presero coerentemente il proprio posto di combattimento tra le masse. La rivolta fallì, fu repressa dal “democratico” governo provvisorio, e i dirigenti del partito furono imprigionati.
Ovviamente nessun rappresentante internazionale della socialdemocrazia protestò. Tutt’altro: la repressione dei dirigenti bolscevichi era ritenuta necessaria per difendere le conquiste democratiche della rivoluzione di febbraio.
La dinamica della storia doveva però ben presto presentare il suo conto: la minaccia del colpo di stato militare del generale Kornilov costrinse già nel settembre i partiti socialisti che sostenevano il governo Kerenskij a liberare i capi bolscevichi e addirittura ad armare i suoi militanti in difesa del soviet di Pietrogrado. Ciò significava semplicemente che, come si ripeterà innumerevoli volte nella storia del movimento operaio, le ragioni della lotta di classe prevalevano su qualsiasi illusione democratica.
La Rivoluzione d’Ottobre, che si risolse vittoriosamente grazie alla meticolosa preparazione dell’insurrezione di Pietrogrado da parte del Comitato militare rivoluzionario bolscevico, rovesciò un governo ormai impopolare, mise fine alla pantomima dei fantasmi farseschi di istituzioni democratiche borghesi quale il Consiglio di Stato e la Duma, e assicurò tutto il potere ai Soviet.
Era l’esordio storico di una nuova forma di repubblica: la Repubblica dei soviet (consigli) dei lavoratori, dei contadini e dei soldati.
I partiti socialisti russi - SR e menscevico - e la socialdemocrazia internazionale che avevano appoggiato le borghesie dei propri paesi fautrici del massacro della Prima guerra mondiale, che avevano avvallato la repressione dei moti del luglio 1917, protestarono contro il colpo di mano bolscevico in un’autentica orgia di ipocrisia.
Immediatamente, mentre gli imperialismi cominciavano già a tramare per schiacciare militarmente la rivoluzione, come un pugile suonato la socialdemocrazia impugnò la bandiera della democrazia.


QUALE DEMOCRAZIA?

Meglio di qualsiasi discussione filosofica intorno ai principi della democrazia valga qui la concretezza degli accadimenti storici sui quali pensiamo sia opportuno “sbattere la testa”.
Il confronto tra le due repubbliche - borghese e dei lavoratori - tra i due modi di intendere la democrazia, quello borghese e quello socialista, si ebbe in occasione della vicenda della convocazione e del successivo scioglimento dell’Assemblea Costituente tra il novembre del 1917 e il febbraio del 1918.
La convocazione dell’Assemblea Costituente era un punto programmatico dei partiti socialisti già allo scoppio della rivoluzione di febbraio e alla deposizione dello Zar. Doveva costituire l’atto di nascita della repubblica borghese, voluta tiepidamente dai liberali del partito cadetto, che gli avrebbero preferito una sorta di monarchia costituzionale, e più convintamente soprattutto dal partito della II Internazionale, il partito socialdemocratico menscevico, e dai Socialisti Rivoluzionari.
I partiti socialisti ritenevano che i soviet, ossia i consigli dei lavoratori, dei soldati e dei contadini dovessero limitarsi alle rivendicazioni economiche ma che lasciassero loro di avvallare, in alleanza con le forze borghesi liberali, l’edificazione di una repubblica democratica borghese.
Su questa base sostennero il governo provvisorio inizialmente dominato dal partito cadetto e da notabili del ex regime zarista.
Il governo provvisorio non convocò mai l’Assemblea Costituente, perché ciò avrebbe pericolosamente chiamato le masse ad esprimersi oltre che sul carattere del nuovo Stato anche sulla guerra che i ministri borghesi si erano impegnati con gli alleati a proseguire ad ogni costo.
Insomma, come in una catena di Sant’Antonio, i cadetti erano tenuti al rispetto degli impegni (e dei debiti) di guerra con gli alleati imperialisti di Francia e Inghilterra; i partiti socialisti si sottomettevano all’accordo con la borghesia liberale nel governo provvisorio in nome della rivoluzione democratica borghese, e a farne le spese erano le più elementari rivendicazioni sociali e democratiche delle masse popolari, tra cui la convocazione delle elezioni per l’Assemblea Costituente.

La democrazia borghese nasceva già morta, uccisa dalla guerra e dal governo provvisorio.
Solo con i passaggio del potere ai soviet fu possibile indire le elezioni per l’Assemblea Costituente.
La rivoluzione d’ottobre (in realtà del 7 novembre) aveva consentito finalmente di tenere queste votazioni, ma prima che essa avesse modo di coinvolgere tutto il territorio russo.
Le liste elettorali erano rimaste quelle di prima della insurrezione, tanto che il partito Socialista Rivoluzionario, che si era già scisso in due partiti, uno contro la rivoluzione e uno a favore, presentava liste di candidati comuni.
Si votava quando già risuonavano nella Pietrogrado liberata gli echi della guerra civile in Ucraina e nei territori del sud-est, dove in ogni caso si procedeva alla consultazione elettorale.
Questi fatti produssero una distorsione dei risultati elettorali, tanto che la maggioranza dei voti andò ai Socialisti Rivoluzionari i cui maggiori dirigenti, appartenenti per la maggior parte alla sua ala destra, erano ormai detestati dalla classe operaia delle principali città industrializzate e dai contingenti militari sui fronti più caldi della guerra.
Proprio sulla scorta di questi ingannevoli risultati elettorali la bandiera dell’Assemblea Costituente venne impugnata non tanto dalla borghesia liberale ormai dedita totalmente a progettare un rovesciamento del governo sovietico manu militari, quanto dai partiti socialisti controrivoluzionari.
Come disse Lenin, si era prodotta un’assemblea di tipo parlamentare completamente in disaccordo con la dinamica rivoluzionaria e con le aspirazioni di milioni di lavoratori e contadini poveri.

Qual era stata la posizione dei bolscevichi nei confronti della Costituente?
Lenin, al suo rientro in Russia nell'aprile 1917, aveva già esplicato la sua posizione (Tesi di aprile). Essa divergeva da quella tradizionale della socialdemocrazia rivoluzionaria, corrente a cui apparteneva anche il Partito Bolscevico, che rivendicava l'Assemblea Costituente come una conquista democratica.
Il significato di questa rivendicazione tradizionale era semplice: essa rappresentava una conquista democratica, di carattere progressivo, per il movimento operaio che poteva consentire alle sue organizzazioni e ai suoi dirigenti di uscire dalla clandestinità e di fare opera di propaganda e agitazione tra le masse lavoratrici nella legalità.
Ma che sarebbe successo allorché la classe operaia tramite le proprie organizzazioni di lotta (i soviet, il partito rivoluzionario e i sindacati) avesse preso il potere? A quel punto il compito urgente (Tesi di aprile) sarebbe stato quello di organizzare lo Stato-comune e la dittatura del proletariato. La repubblica parlamentare borghese e le sue istituzioni, per quanto avanzate, sarebbero state così superate da una forma superiore di organizzazione statale e di democrazia (vedi Lenin: “Tesi sull'Assemblea Costituente” – dicembre 1917, e “La dittatura del proletariato e il rinnegato Kaustky” - novembre 1918).
La conferenza programmatica del Partito Bolscevico approvò sostanzialmente le sue posizioni.
La breve ed effimera vita stessa dell’Assemblea Costituente si incaricò di dare conferma di questa impostazione.
Subito dopo l'apertura della prima seduta dell'Assemblea, Sverdlov, il presidente del Comitato Esecutivo del Congresso panrusso dei Soviet, su mandato dello stesso, dette lettura della Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore, chiedendone l'approvazione. Non vi fu neanche dibattito. La maggioranza passò immediatamente al successivo punto in discussione, mentre la folla dei lavoratori e dei soldati rivoluzionari assiepati sulle tribune si faceva sempre più minacciosa nei confronti dei deputati. Ai deputati bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra, favorevoli alla rivoluzione e membri del governo dei soviet, non rimase altro che lasciare la seduta.
Dopo poche ore la seduta fu tolta per l'intervento di un marinaio di guardia, e pochi giorno dopo il Congresso dei soviet la sciolse definitivamente.
L'Assemblea Costituente, questo organo democratico di tipo parlamentare, volgeva così le spalle alla rivoluzione proletaria rifiutandosi di riconoscere la nuova Repubblica e le sue istituzioni, divenendo così, dopo il suo scioglimento, la bandiera della reazione e della socialdemocrazia traditrice. Una bandiera all'ombra della quale la borghesia russa e quella internazionale potevano tramare per rovesciare con la violenza il governo rivoluzionario, e imporre il terrore bianco ripetendo su scala più vasta i massacri di proletari che aveva conosciuto la Comune di Parigi nel 1871.
Tutt’altro che uno stratagemma bolscevico: il pericolo era reale.
Infatti di lì a poco la storia dovette darne un'amara conferma quando, nell'aprile del 1918, in Finlandia il parlamento a maggioranza socialista e che voleva instaurare il socialismo con il metodo della democrazia parlamentare fu rovesciato da un colpo di mano militare della borghesia, i cui corpi franchi fecero strage delle organizzazioni del pur possente proletariato finlandese instaurando un feroce periodo di terrore bianco.
Il governo dei soviet fu così costretto a sciogliere l'Assemblea, nell'indifferenza delle masse ma tra le proteste dei socialisti della II Internazionale e dei socialisti rivoluzionari di destra, che rinfacciavano a Lenin e ai bolscevichi di aver usurpato il potere rinnegando le loro stesse promesse.


DITTATURA DELLA BORGHESIA O DITTATURA DEL PROLETARIATO?

In realtà si trattava di scegliere: repubblica borghese, ossia la dittatura della borghesia, o dittatura del proletariato, che si incarnava nelle istituzioni della Repubblica dei Soviet.
Qualche tempo dopo, e solo grazie alle straordinarie imprese dell'Armata Rossa guidata da Trotsky su tutti i fronti di una sanguinosissima guerra civile e alla simpatia che presso strati sempre più larghi del proletariato europeo stava riscuotendo la Repubblica dei Soviet, il socialismo della II internazionale fu costretto a fare una parziale ammissione riconoscendo che la Costituente dell'inverno 1918 non rappresentasse effettivamente le aspirazioni del popolo rivoluzionario russo e delle altre repubbliche sorte dopo la caduta dell'impero zarista. Nonostante ciò, principalmente per bocca di Kautsky, raccomandava ancora al governo di Lenin di sottoporsi al vaglio dell'elezione di una nuova Costituente perché il nuovo potere potesse godere di una certificazione democratica e perché i capitalisti, accettando il risultato delle urne, acconsentissero ad essere espropriati senza opporre resistenza.
Era l'ennesimo inganno. La convocazione di una nuova Costituente non avrebbe fermato la guerra civile e l'intervento della maggiori potenze imperialiste al fianco delle armate bianche. Anzi, avrebbe costituito un'autentica quinta colonna alle spalle delle forze rivoluzionarie e della Repubblica sovietica, proprio come successe in Finlandia.
Fu in questo periodo che alle obiezioni dei bolscevichi sul carattere borghese, e dunque ingannevole, della democrazia gli ideologi socialdemocratici (mentre quelli liberali si limitavano a schiumare rabbia e ad invocare il patibolo per tutti i proletari rivoluzionari) contrapposero l'ideale della “democrazia pura”.
Una tale democrazia, così splendente e perfetta nel mondo dei sogni socialdemocratici, non esisteva da nessuna parte, né avrebbe potuto, nel mondo reale. Come il paradiso promesso rovescia nella illusione di una vita migliore dopo la morte la condizione di miseria e di sofferenza nella vita reale della maggioranza povera e proletaria dell'umanità, la democrazia pura rovesciava ipocritamente nell'astrazione dei principi - sovranità popolare, suffragio universale, libertà di espressione, libertà di stampa - la cruda realtà della democrazia borghese e dell'ordine sociale che le soggiace.
Trotsky nel giugno del 1920 avrebbe diffusamente argomentato sulla metafisica della democrazia, e a proposito dell'opportunità di convocare una nuova Assemblea Costituente alla fine della guerra civile concludeva che «In simili circostanze (ossia la vittoria nella guerra civile e l'inizio dell'edificazione socialista, ndr) non verrà in mente quasi a nessuno di sovrapporre alla trama reale della società socialista l'antiquata corona dell'Assemblea “Costituente”, la quale dovrebbe soltanto stabilire che tutto quanto è necessario fu già costituito prima di essa e senza di essa.” (Trotsky, "Terrorismo e Comunismo” - giugno 1920)

Nel 1917 la democrazia era ben lungi dal rappresentare il regno del diritto idealizzato dalla socialdemocrazia.
All’interno delle principali potenze belligeranti dell’Europa vigeva una plumbea legge marziale con arresti e censure di chi si opponeva alla guerra, in spregio ai più elementari diritti alla libertà d'espressione e di stampa. Solo per fare gli esempi più famosi, in Germania a Karl Liebknecht, deputato socialista che darà vita insieme a Rosa Luxemburg all’organizzazione marxista rivoluzionaria Lega di Spartaco, fu inflitta una condanna di due anni di carcere per essersi opposto alla guerra in Parlamento; in Inghilterra fu arrestato il filosofo Bertrand Russell; negli USA il sindacalista Eugene Victor Debs ebbe una condanna a dieci anni di carcere in ottemperanza al Sediction Act, che reprimeva anche le sole opinioni espresse contro la guerra e contro il governo degli Stati Uniti. In base a questo dispositivo fu messo fuorilegge il Partito Comunista Americano, aderente alla III Internazionale (il partito di John Reed).
La repressione violenta dei moti popolari era la regola, come era accaduto solo pochi anni prima, nel 1898 a Milano, dove i cannoni del generale Bava Beccaris avevano fatto strage di proletari. Nel 1914 l'eccidio da parte dei Carabinieri di tre militanti antimilitaristi portò alla rivolta della Settimana Rossa ad Ancona, in Romagna e in Toscana.
Negli Stati Uniti fin dalla fine dell'800 si era susseguita una lunga storia di repressione di militanti, sindacalisti e anche semplici scioperanti, con incarceramenti ed eccidi perpetrati tanto dalle forze dell'ordine quanto da guardie private (vere e proprie forze paramilitari) come i famigerati Pinkerton.
Nell'aprile del 1914, durante gli scioperi dei minatori del Colorado, avvenne uno degli episodi più sanguinosi con il massacro di 21 persone, in maggioranza donne e bambini, da parte delle guardie private dei proprietari delle miniere, guidati dalla Colorado Fuel and Iron Company della famiglia Rockefeller, spalleggiata dalla Guardia Nazionale, che si astenne dall'intervenire, assistendo sul posto alla carneficina.
Uno degli episodi più eclatanti e famosi fu poi, sempre negli USA, l'arresto e al condanna a morte mediante una mostruosa montatura giudiziaria degli anarchici Sacco e Vanzetti.
Anche sul piano legale formale la democrazia borghese era palesemente arretrata rispetto alle conquiste della Rivoluzione d'ottobre. Nel 1917 il suffragio era ristretto, di tipo censitario e maschile nel Regno Unito e negli USA, e solo maschile in Francia e in Italia (dove era stato adottato solo nel 1913) mentre in Russia la rivoluzione del febbraio 1917 e la Costituzione della RFSSR del 1918 avevano già stabilito il suffragio universale maschile e femminile.


LA DEMOCRAZIA DI LENIN

Alla realtà della democrazia borghese e all'inganno delle illusioni socialdemocratiche, Lenin contrapponeva un altro programma [2], che prevedeva: 1) unione di tutte le masse povere e sfruttate; 2) unione della minoranza cosciente e attiva per la rieducazione di tutta la popolazione lavoratrice; 3) abolizione del parlamentarismo che separa il potere legislativo dal potere esecutivo; 4) unione delle masse e dello Stato, più stretta che nelle vecchie forme di democrazia; 5) armamento degli operai e dei contadini; 6) più democrazia, meno formalismo, più facilità di eleggere e di revocare gli eletti; 7) legame stretto tra il potere e la produzione; 8) possibilità di eliminare la burocrazia; 9) transizione dalla democrazia formale dei ricchi e dei poveri alla democrazia reale dei lavoratori; 10) partecipazione di tutti i membri dei soviet alla gestione e all'amministrazione dello Stato.
Questo programma di emancipazione democratica dei lavoratori, che ispirò la Costituzione varata nel luglio del 1918, poteva imporsi solo attraverso una rivoluzione che avesse distrutto la macchina del dominio politico della borghesia, lo Stato borghese, fosse pure nella forma più avanzata della Repubblica di tipo parlamentare. Questa macchina oppressiva doveva essere sostituita dallo Stato operaio, necessario a vincere la resistenza dei capitalisti e a porre le condizione della fine delle classi, e con essa della necessità dello Stato stesso. Erano al fondo le tesi espresse da Lenin nel suo scritto più famoso: Stato e Rivoluzione.
Il programma di Lenin fu tradito dallo stalinismo, versando il sangue di centinaia di migliaia militanti rivoluzionari del Partito Bolscevico così come della gioventù operaia russa.
Trotsky ha denunciato con grande efficacia in uno dei suoi più importanti scritti, La rivoluzione tradita, che lo stalinismo non solo abolì praticamente, per mezzo del terrore poliziesco contro l'Opposizione di sinistra, la democrazia operaia del tempo di Lenin, ma iscrisse questo sopruso controrivoluzionario anche nella Costituzione dell'URSS del 1936, che paradossalmente, dovendo certificare l'abuso della casta burocratica su diritti del proletariato sovietico, scimmiottava in molti punti le moderne costituzioni borghesi.
Ma il tradimento stalinista non giustifica l'accomodamento tra gli agi offerti dal sistema politico borghese e la sua routine.


COS’È E COME SI REGGE LA DEMOCRAZIA BORGHESE

La repubblica parlamentare, la democrazia borghese, non può reggersi se non sulla base dell'ordine sociale borghese. Non può essere disgiunta dal dominio sociale della borghesia e deve necessariamente perpetuare lo stato di subalternità della classe lavoratrice.
Trotsky, nel suo scritto Terrorismo e comunismo, richiama la testimonianza di Paul Lafargue: «Il parlamentarismo (scrisse Paul Lafargue nella rivista russa Socialdemocratico nell'anno 1888) è un sistema di governo così fatto, che in esso il popolo ha l'illusione di amministrare esso medesimo il paese, mentre in realtà il potere effettivo si concentra nelle mani della borghesia, e nemmeno di tutta la borghesia, ma di alcuni strati soltanto di questa classe... Nella società borghese, quanto più è grande la quantità della ricchezza sociale tanto è minore il numero delle persone a cui questa appartiene; la stessa cosa avviene anche del potere; quanto più cresce il numero dei cittadini che posseggono i diritti civili, e aumenta il numero dei padroni eleggibili, tanto più il vero potere si concentra e diventa monopolio di un gruppo di persone sempre più piccolo».

Un numero sempre più ristretto di capitalisti domina l'economia e muove le grandi leve finanziarie. Al tempo stesso prende le decisioni più importanti tramite le banche, la Borsa, le grandi associazioni di industriali, le megacorporazioni che riuniscono le grandi multinazionali, imponendo vincoli e leggi di bilancio ai governi delle maggiori potenze imperialiste come dei paesi dipendenti, e impiegando questi stessi governi come propri comitati d'affari (trattati internazionali, missioni militari, grandi privatizzazioni).
La politica borghese, il sistema dei partiti, al di là delle apparenze, obbedisce a determinate esigenze storiche della classe dominante. La classe borghese è a sua volta divisa, più di quella lavoratrice, in una grande borghesia - i capitalisti - e una piccola borghesia, piccoli proprietari che non sfruttano direttamente o sfruttano in minima parte lavoro altrui. Tra questi due poli esistono poi strati intermedi. La stessa classe dei capitalisti è tutt'altro che un blocco omogeneo. Non lo è sia per la relativa posizione rispetto al capitale produttivo o a quello monetario (industriali, speculatori di borsa, finanzieri, redditieri) sia per il modo attraverso il quale il proprio capitale si valorizza (mercato dei beni di lusso, dei beni durevoli, dei beni di consumo, orientamento verso il mercato interno o verso le esportazioni, interesse). Ciò determina una sua divisione politica in fazioni di volta in volta prevalenti. A tali fazioni, in lotta tra di loro, possono fare riferimento partiti diversi che possono concorrere per il governo.
La classe dei capitalisti costituisce in ogni caso un'infima minoranza della società, sempre più ristretta mano a mano che concentra nelle proprie mani una massa più grande delle ricchezze prodotte dal lavoro associato. Per questo, per governare, non potendo più contare sul diritto ereditario al comando come fu per l'aristocrazia, deve legare a sé altri strati della popolazione. I partiti borghesi orientano infatti la propria propaganda verso al massa piccolo-borghese (la cosiddetta classe media) che così si può illudere di condizionare le scelte del governo (in materia fiscale ad esempio, o sulla regolamentazione e costo del lavoro). In questo modo la classe dei capitalisti lega alle sorti del proprio dominio sociale quella dei piccoli borghesi, come una diligenza alla propria carovana.

Infine, il parlamentarismo borghese, con il suo gioco di maggioranze e minoranze, e la distribuzione di scranni ministeriali, sottosegretari, governatori e amministratori, nazionali o locali, è servito storicamente a corrompere il partiti nati nel seno della classe lavoratrice per trasformarli in vere e proprie agenzie della borghesia dentro il movimento operaio: l'ultima diligenza della carovana capitalista.
Tipicamente questo è stato il ruolo storico della socialdemocrazia, che da una parte ha illuso il proletariato con programmi di riforme solitamente disattese dai governi borghesi che appoggiava così come dai governi dove essa riusciva a conquistare la maggioranza. Al contrario, le uniche conquiste da parte dei lavoratori sono state possibili sulla scorta della forza delle loro grandi mobilitazioni unitarie, magari con la minaccia di un rivolgimento sociale.
Dall'altra parte, la socialdemocrazia agiva come un potente calmante delle lotte e delle rivendicazioni del proletariato, impedendone una espressione politica indipendente (il partito rivoluzionario). Nel dopoguerra questo ruolo nei paesi capitalisti occidentali (soprattutto in Italia e in Francia) è stato sostenuto anche dai partiti stalinisti, che hanno piegato il movimento operaio alle necessità della ricostruzione dell'economia capitalista dopo le distruzioni belliche sia per supportare le proprie aspirazioni di governo che per tutelare gli interessi diplomatici della burocrazia staliniana al potere in URSS e nei Paesi dell'Est (il PCI di Togliatti ne è stato un perfetto esempio).
La diligenza guidata dai capitalisti corrisponde a ciò che gli intellettuali borghesi chiamano "popolo" (dal quale i non-cittadini, come ad esempio i migranti e i loro figli, sono esclusi), in cui tutte le classi si confondono, e che, unito, deve difendere la Nazione (da cui è escluso chi lotta contro l'oppressione nazionale, come ad esempio, oggi, gli indipendentisti catalani) che a sua volta costituisce il fondamento del diritto: ossia il diritto al dominio della borghesia.
A chi non fa parte del Popolo o si rivolge contro la Nazione vengono negati i più elementari diritti democratici.


LA REALTÀ DELLA DEMOCRAZIA BORGHESE

Questa è la realtà della democrazia borghese, che i suoi corifei vogliono nascondere dietro alati principi. Andiamo dunque a scovarli, questi principi, e quale valore possano avere nelle “tasche” del proletariato.
La libertà di stampa è un clamoroso inganno quando il grandi mezzi di comunicazione di massa e i grandi gruppi editoriali sono in mano a banchieri, assicurazioni e gruppi industriali, tramite i consigli di amministrazione o i pacchetti azionari scambiati in Borsa. In realtà la stampa e tutta la comunicazione pubblica è quasi completamente e saldamente in mano alla borghesia capitalista.
La stessa industria dei mass media ha bisogno di capitali di investimento tali che ne è preclusa la proprietà, se non in una parte assolutamente marginale e priva di grandi ascolti, alle organizzazioni che fanno riferimento alla classe lavoratrice.
La libertà di espressione, di manifestazione e di riunione sono ugualmente compresse dal fatto che i palazzi, i luoghi fisici che possano consentirne l'esercizio, sono di proprietà dei capitalisti a loro uso e consumo, mentre i lavoratori devono sottostare al parere insindacabile di un funzionario del governo (ad esempio il prefetto) anche solo per riunirsi all'aperto, in una piazza o in una via, e laddove non rispettino il suo divieto devono affrontare le violenze della forza pubblica.
Se nel passato le organizzazioni della classe lavoratrice, a prezzo delle battaglie e degli enormi sacrifici dei lavoratori stessi, sono riuscite a comprare dai capitalisti rotative, tipografie, radio, sedi e palazzi, il loro tradimento degli interessi della classe operaia si è manifestato anche nell’appropriarsi di questi beni per farne tesoro in funzione di politiche antioperaie, o per rivenderli ai capitalisti stessi.
È ad esempio il caso del gruppo dirigente ex-PCI, poi DS e infine PD, e della loro gestione di giornali storici come l’Unità e delle Case del popolo. Nondimeno la burocrazia sindacale ha utilizzato le Camere del lavoro per i propri scopi di promozione sociale, magari per discutervi e approvarvi contratti bidone, piuttosto che per la lotta per i diritti dei lavoratori.

Al lavoratore che in tali condizioni di disparità decida di violare l'intimazione a rispettare il divieto di polizia (manifestazioni non autorizzate, presìdi, picchetti, ecc.) non spetta neanche il diritto ad un processo, visto che al contrario del capitalista che corrompe, inquina, molesta, non rispetta le norme sulla sicurezza sul lavoro e fallisce in modo fraudolento, non potrà comprarsi la migliore difesa legale.
Così, oltre alla condanna legale, perderà anche il lavoro, e per vivere dovrà arrangiarsi magari commettendo piccoli reati. Si aprirà cosi la strada che lo porterà a riempire le patrie galere, come altri suoi sventurati compagni di miseria.
La sovranità popolare è in larga misura sequestrata da partiti largamente finanziati dai capitalisti, e le cui direzioni pertanto ad essi rispondono.
Essi non si sono limitati a finanziare in maniera palese e occulta, anche con i proventi della criminalità organizzata, i partiti che avevano una base popolare per corromperne i dirigenti e condizionarli a favorire i propri interessi (come ad esempio la DC in passato, e oggi piuttosto il PD), ma sono stati capaci anche di far nascere dalla sera al mattino veri e propri partiti aziendali (come ad esempio Forza Italia), dotati ovviamente di grandi mezzi di stampa e di telecomunicazione, di sedi prestigiose e di uno stuolo di funzionari prezzolati.

Infine facciamo i conti con il totem del suffragio universale: come capita al proletario, libero da vincoli servili ma costretto a vendere la sua forza lavoro per vivere, di essere solo davanti alla potenza sociale del capitalista e di cui dunque deve accettare le condizioni di sfruttamento inscritte in un qualsiasi contratto di lavoro, così allo stesso proletario capita di essere solo nell'espressione del suo voto di fronte alla potenza della organizzazione politica e culturale della borghesia, che seppur divisa al suo interno è sempre capace di fare fronte comune quando si tratta di sfruttare e opprimere i lavoratori.
Il lavoratore, senza organizzazione, senza sindacato, è incapace di difendersi dalle condizioni di sempre maggior sfruttamento e asservimento che gli impone il padrone. Lo stesso lavoratore, senza il partito che ne esprima gli interessi indipendenti di fronte alla classe dei capitalisti, è incapace di esprimere un voto che ne promuova effettivamente i diritti e le condizioni di vita. Il suffragio universale potrà essergli utile solo come scuola di lotta di classe e a dar forza al proprio partito, difendendone gli spazi democratici e l'agibilità politica, in funzione della rivoluzione sociale e politica che abolisca il modo di produzione capitalista, lo Stato borghese ed i suoi istituti. La classe lavoratrice si porrà così alla testa della conquista di diritti per tutte le classi oppresse e contro ogni forma di discriminazione.
In caso contrario, il suo voto servirà solamente ad eleggere invariabilmente i propri oppressori o i loro agenti.
Trotsky definisce il suffragio universale come una domanda, un appello con il quale i rappresentanti della classe operaia chiedono che il potere diventi lo strumento della classe operaia per l'annientamento di tutte le forme di oppressione e sfruttamento, mentre i rappresentanti della borghesia pretendono che il potere rimanga nelle mani della classe borghese [3]. In mezzo rimangono i partiti riformisti, che si girano una volta a sinistra e una a destra finendo in ogni caso per difendere il capitalismo contro il suo possibile rovesciamento, e dunque assumendo il ruolo di agenzia della borghesia dentro il movimento operaio. Anche nell'ipotesi che il voto dei lavoratori rafforzi un partito operaio riformista, quest'ultimo non gli potrà garantire avanzamenti e conquiste progressive se non entro i limiti delle disponibilità o margini della congiuntura dell'economia capitalista, e quale sottoprodotto delle grandi mobilitazioni della classe lavoratrice e del rischio reale di un loro sviluppo rivoluzionario. In ogni caso i riformisti si sforzeranno di preservare l'ordine sociale capitalista. Tutte le conquiste dei lavoratori avranno così, immancabilmente, un carattere effimero e saranno destinate, in seguito al riflusso delle loro lotte e alle nuove esigenze di profitto del capitale, ad essere messe in discussione e cancellate in una fase successiva (come ad esempio l'articolo 18 nel nostro paese).


IL DECLINO DELLA DEMOCRAZIA BORGHESE

Come ogni regime politico, la democrazia borghese segue una parabola storica, e dopo la fase di apogeo corrispondente al cosiddetto trentennio d'oro del capitalismo del secondo dopoguerra, ha iniziato un declino che prosegue e si aggrava ai nostri giorni.
Dopo il boom postbellico trainato soprattutto dalla locomotiva statunitense, il capitalismo nei paesi imperialisti ha imboccato una fase di rallentamento. Si annuncia la crisi da sovrapproduzione dilazionata nel tempo dalla cosiddetta finanziarizzazione dell’economia, ossia dall’aumento esponenziale del capitale finanziario rispetto a quello produttivo. La crisi esploderà poi nel 2008 contro ogni previsione degli economisti liberisti ma esattamente quale risultato della dinamica distorta del capitalismo nella fase imperialista.
Così, pochi anni dopo il trionfo retorico degli Stati imperialisti e dei loro ordinamenti politici in seguito alla caduta del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, comincia una fase di restrizione e di progressivo annullamento dei margini redistributivi di ricchezze (le “briciole” che cadevano dalla tavola imbandita dei grandi capitalisti della ricostruzione postbellica) verso le classi popolari. È l’annuncio della crisi di consenso popolare nei confronti del sistema politico borghese tradizionale, che sfocia a sua volta in una crisi di governabilità da parte della classe dominante tanto manifesta ai giorni nostri, soprattutto in Europa e in Italia.
Mentre la globalizzazione capitalista, ormai senza più freni, che secondo i suoi apologeti doveva portare anche ad una globalizzazione dei diritti e all’esportazione della democrazia, si avvita in una dinamica di nuovi confronti tra potenze imperialistiche su scala globale con il portato di guerre regionali e continentali (Medioriente) e corsa agli armamenti, la democrazia borghese subisce una involuzione, soprattutto nel Vecchio continente che ne è stata la culla.
Questa involuzione si manifesta sotto due aspetti fondamentali: quello giuridico e funzionale, e quello di sistema.
Per quanto riguarda il primo aspetto, assistiamo negli ultimi decenni ad un aumento abusivo del potere esecutivo rispetto a quello legislativo.
Esso si manifesta principalmente con un abuso del potere di decretazione (per evitare le “lungaggini” del dibattito parlamentare); con la progressiva sottrazione delle politiche di bilancio al controllo democratico tramite vincoli inscritti in accordi sovranazionali (Maastricht, Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, tutti alla base della costruzione della UE) e addirittura immessi direttamente in Costituzione; con la distorsione della rappresentanza democratica tramite leggi elettorali maggioritarie, sbarramenti e premi di maggioranza cosicché si ottenga un governo purchessia anche se sostenuto da una minoranza degli elettori (contro il principio democratico del rispetto della maggioranza).
L'altro aspetto riguarda il declino del sistema politico tradizionale borghese manifestato dalla crisi dei principali partiti di riferimento.
La socialdemocrazia conosce oggi una crisi esiziale, con il ridimensionamento fin quasi alla scomparsa di alcuni partiti storici come il Pasok in Grecia e il PS francese. Costretta, in un certo senso, proprio dall'esaurirsi dei margini di riformismo dell'economia capitalista, ad abbracciare il liberalismo tanto sul terreno politico che su quello economico con l'abbandono definitivo della lotta di classe, essa sta perdendo la sua stessa ragion d'essere e conseguentemente l'elettorato di riferimento, la classe lavoratrice e le classi popolari.
Anche i partiti conservatori tradizionali, la cui azione di governo non può né dissociarsi né attenuare le politiche di sacrificio imposte dalla congiuntura storica del capitalismo alle masse popolari, vedono un progressivo smottamento del proprio elettorato verso le forze populiste reazionarie di destra e anche di estrema destra.
Queste ultime fanno presa sia sul rancore delle masse impoverite contro le politiche di austerità sia sul sempre maggiore sentimento xenofobo delle stesse nei confronti dei migranti, usati da pressoché tutto l'arco delle maggiori forze politiche e dai mass media come un capro espiatorio per sviare la rabbia popolare nei confronti del padronato e della classe dirigente.
La decadenza del sistema politico borghese è ben rappresentata dal rigurgito razzista che attraversa le masse popolari, vero e proprio alimento per la crescita organizzativa, militante e di consenso delle forze neofasciste (Alba Dorata, Jobbik), così come dall'impetuoso sviluppo di larghi movimenti di stampo populista reazionario (M5S, Front National, Alternative für Deutschland - AFD) che in nome della lotta alla casta e alla vecchia politica preparano invece un ulteriore attacco alla classe lavoratrice e alle sue organizzazioni.
In questo quadro, in luogo della normale dialettica parlamentare si introducono nella consuetudine politica e infine anche nell'impianto normativo forme sempre più autoritarie di bonapartismo (ad esempio Orban in Ungheria), le cui apparenti capacità decisionali, al di sopra degli interessi di classe, conquistano sempre più consensi in un'opinione pubblica passivizzata.
La crisi senile della democrazia borghese si avvita, e rischia di trascinare conquiste secolari del movimento operaio e delle masse popolari.
Avanzano autoritarismo e razzismo, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori vengono compressi.
Anche sul terreno dei diritti e delle libertà democratiche si manifesta l'incompatibilità tra l'ordinamento sociale capitalista e una loro evoluzione progressiva. L’affermazione di Berlinguer riportata nell'incipit di questo articolo, ossia che la democrazia sia il valore universale su cui fondare il socialismo, si rovescia nella realtà nel suo contrario.
L'unico possibile rinnovamento democratico può allora scaturire dalla rottura rivoluzionaria dell’ordinamento sociale capitalista con l'instaurazione di una repubblica socialista con le sue istituzioni di tipo nuovo, le sole che possano ereditare i principi democratici disattesi da ogni sorta di repubblica borghese: è il socialismo il valore alla base di ogni possibile sviluppo democratico della società.



Note:

[1] http://files.spazioweb.it/1b/22/1b227611-71b2-4eb6-85d6-5129df69f1e8.pdf

[2] progetto di programma presentato al VII congresso del Partito Comunista (bolscevico) di tutta la Russia marzo 1918. Vedi: "L'anno primo della rivoluzione russa", Victor Serge

[3] "I compiti interni ed esteri del potere sovietico" - Conferenza tenuta a Mosca il 21 aprile 1918



Fonti bibliografiche:


“Tesi sull'Assemblea Costituente” – Lenin, dicembre 1917

“La dittatura del Proletariato e il rinnegato Kaustky” – Lenin, novembre 1918

“Terrorismo e Comunismo” - Trotsky, giugno 1920

“L'anno primo della rivoluzione russa” – Serge

“La rivoluzione tradita” – Trotsky

“I compiti interni ed esteri del potere sovietico - Trotsky , Conferenza tenuta a Mosca il 21 aprile 1918

https://en.wikipedia.org/wiki/Sedition_Act_of_1918

https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_guerra_mondiale#La_propaganda_e_la_censura

https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Comunista_degli_Stati_Uniti_d%27America

https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Milano

https://it.wikipedia.org/wiki/Sacco_e_Vanzetti

https://it.wikipedia.org/wiki/Suffragio_universale

Federico Bacchiocchi

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