Dalle sezioni del PCL

Gela, i lavoratori della Turco in lotta contro i licenziamenti

26 Marzo 2018
turco_gela


Arriva da Gela una nuova e triste vicenda riguardante nuovi licenziamenti e stipendi arretrati da versare. Le vittime in questione sono i lavoratori edili della ditta «Turco costruzioni». Vista la difficile situazione in cui loro malgrado versano, i 36 lavoratori licenziati hanno iniziato da oltre un mese una protesta proprio contro i licenziamenti e il mancato pagamento di stipendi arretrati, riscontrando la solidarietà da parte dei loro colleghi, che hanno partecipato all'iniziativa davanti gli ingressi della raffineria ENI, bloccandoli di fatto. A seguito di ciò, i sindacati locali si sono attivati per far cessare la protesta (come invocato da Sicindustria e Legacoop, le cui aziende facenti parte dell’indotto ENI si dicevano ormai vicini al fallimento e sollecitato dal prefetto di Caltanissetta) e cercare una ricollocazione per i lavoratori per i quali la Turco ha deciso che non c'è più posto in ditta. Si è così aperto un tavolo di trattativa tra i rappresentanti sindacali e i vertici di imprese, impegnatesi a garantire l’assorbimento dei lavoratori licenziati, che ha portato alla sospensione delle proteste.

La tregua ha permesso il rientro in fabbrica dei dipendenti dello stabilimento di Piana del signore e delle imprese appaltatrici, con la conseguente ripresa dei lavori di riconversione della raffineria in bioraffineria. Ma le imprese non hanno mantenuto le promesse fatte al tavolo del negoziato, e i lavoratori non hanno ricevuto alcuna chiamata in vista di una loro ricollocazione, né si sono visti corrispondere gli stipendi arretrati, così nei giorni scorsi sono tornati a protestare davanti ai cancelli del petrolchimico, impedendo l'ingresso ai lavoratori delle aziende dell’indotto. Se non ci saranno soluzioni alla vicenda, la protesta potrebbe assumere nuovamente i toni iniziali. I lavoratori, fatti fuori con un colpo di spugna, non ci stanno a diventare nuova carne da macello di padroni che dopo averli spremuti vogliono liberarsi di loro perché non servono più. Questo è d'altronde il modus operandi di imprese (piccole e grandi che siano) che mirano solo al profitto, a qualsiasi costo, e per le quali i lavoratori sono solo un mezzo per raggiungerlo, infischiandosene della solidarietà umana, delle vicende personali e quant'altro. Ben venga quindi la lotta di questi lavoratori che non abbassano la testa contro queste ingiustizie e prevaricazioni padronali. Non possiamo che sostenerli ed esprimere solo massima solidarietà, oltre che monitorare costantemente la vicenda.

Gela vive una grave crisi economica e sociale da quando i vertici ENI hanno decretato la chiusura della succitata raffineria cittadina. L'ENI per decenni si è servita della città per i suoi profitti, inquinandola a tutto spiano, devastando il suo territorio (in particolare le acque marine) e provocando gravi danni alla salute dei cittadini, soprattutto ai nascituri che spesso nascono con gravi malformazioni congenite, nell'impunità generale. Per non parlare del tasso di mortalità, altissimo nella città nissena, dovuto principalmente ai tumori. Qualche suo dirigente è sotto processo, ma anche stavolta è scontato non pagherà nessuno, al di là di qualche milione di compensazione che il colosso degli idrocarburi verserà al Comune come forma di compensazione per i gravi danni ambientali. Ad un certo punto l'ENI ha deciso di chiudere i battenti, a Gela come in altre città, gettando in mezzo alla strada o trasferendo altrove i lavoratori. È chiaro che molte imprese che lavoravano intorno a quell'indotto, private delle commesse, hanno dovuto chiudere, lasciando senza lavoro e futuro i loro lavoratori che non trovano ricollocazione. Ciò a dimostrazione che persino una grande azienda, pubblica al 33%, (con lo Stato italiano che quindi ne detiene la golden share) persegue solo la ricerca del saggio di profitto e non il bene comune, se come nel caso dell'Italia, lo Stato è borghese e il sistema economico che lo guida è quello capitalista. È anche vero che dal 1992 (anno delle privatizzazioni selvagge per poter entrare nell'unione dei capitalisti europei) la situazione è precipitata sempre di più, ma anche quando ENI era del tutto pubblica le cose non sono andate tanto diversamente, pur in un quadro di grande sviluppo capitalistico. Se lo Stato agisce da capitalista collettivo è chiaro che a beneficiarne non possano esserne i lavoratori delle sue imprese, ma chi gestisce le sue leve.

Da qualche tempo ENI ha poi deciso di riconvertire la raffineria cittadina in bioraffineria, e i lavori a tal fine sono ancora in corso. È sicuramente un palliativo che non ridarà i posti di lavoro ai tanti lavoratori che l'hanno perso, ma raffinerie meno inquinanti possono essere un buon viatico per il futuro. Anche in questo caso i lavoratori della raffineria e dell'indotto hanno dato luogo a forti proteste, e se ENI ha deciso di non scappare del tutto, è frutto di tutto ciò, a dimostrazione che se i lavoratori si organizzano e decidono di lottare, possono ancora prendere in mano le sorti del proprio destino. La strada della lotta - una lotta ben organizzata e guidata dalla avanguardie sindacali e politiche - è la strada che tutti i lavoratori devono seguire, anche perché nessun posto di lavoro può essere più al sicuro, in un regime come quello capitalista in crisi.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Ragusa

CONDIVIDI

FONTE