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L'ENI nella polveriera del Medio Oriente

Dietro le mosse dei governi di Israele e Turchia un regolamento dei conti sull'approvvigionamento energetico

16 Febbraio 2018

Le mire espansionistiche e imperialistiche di Israele in Siria e contro il Libano vengono sempre più a galla. La corsa alle materie prime e agli approvvigionamenti sviluppa nuovi fronti di guerra commerciale sul Bacino del Levante.
L'ENI, nella competizione con la francese Total, si infila in contenziosi storici che coinvolgono le mire imperialistiche e di potenza di Israele e Turchia, trascinando con sé il governo italiano in primis e mettendo l'uno contro l'altro i governi locali, aumentando tensioni che possono aprire nuovi scontri militari

saipem 12000


Nel sud-ovest siriano proseguono le mire espansionistiche di Israele ai danni di Siria e Libano

Nella polveriera siriana, con l'ISIS in piena ritirata, tornano a galla le conflittualità aperte e la lotta per la spartizione delle macerie dell'ex protettorato francese: la Turchia di Erdogan in aperta aggressione ai curdi della coalizione delle Forze Democratiche Siriane, Israele alla ricerca dello scontro con Hezbollah, il Libano e alla ricerca di territori in Siria oltre le alture del Golan, l'Iran in supporto all'esercito libanese in cambio di maggior agibilità militare e politica per Hezbollah, etc.
In questa baraonda infernale, uno dei fronti in maggior subbuglio è proprio quello che vede Israele in aperta proiezione espansionistica dopo aver macchinato nell'ombra o, meglio, nel silenzio.

Il crollo del regime di Assad e la sua lotta per la sopravvivenza, che con l'arrivo in scena della Russia e dell'Iran ha drasticamente cambiato direzione impedendone la disfatta, ha sempre fatto molto gola al suo primo avversario regionale, Israele.
Non per nulla quest'ultimo mantiene l'occupazione delle Alture del Golan fin dal 1967 e dalla Guerra dei sei giorni, una zona militarmente e commercialmente strategica in quell'intricato gioco di confini nel deserto. Quelle alture sono sempre state ragione di conflittualità tra la Siria, che ne rivendica la sovranità, il Libano, in supporto all'alleato siriano e poco propenso ad accettare di vedere le truppe israeliane a ridosso dei propri confini su postazioni vantaggiose, e l'usurpatore governo Israeliano.

Proprio qui si sono giocati, negli ultimi anni, i tiri al bersaglio dell'aviazione israeliana contro l'esercito libanese e le milizie di Hezbollah in supporto alle milizie islamiste ribelli legate ad al-Nusra nelle regioni a sud-ovest della Siria – Dar'a, Sweida e Quneitra – per garantirsi una zona cuscinetto in cui non possano accedere né il governo siriano né quello libanese né soprattutto i miliziani sciiti e i servizi iraniani.
Proprio in quelle zone a fine gennaio Israele ha avviato la costruzione di porzioni di muro e barriere fortificate, riproducendo lo stesso copione avviato in Cisgiordania, per annettere di fatto territori contesi e innalzare il livello di conflittualità e provocazione verso Libano e Siria. In questo caso si tratta della demarcazione ulteriore e del tentativo di forzare la linea che va dal Mediterraneo al monte Jabal Sheikh, facendo così spirare venti di guerra sempre più forti.


Il gas e i nuovi equilibri del mare: dall'Egitto alla Turchia nuove corse all'oro blu

A tutto questo infatti si aggiunge la partita energetica che, invece, si gioca tutta nel Mediterraneo.
Qui tutto risale alla scoperta lungo le coste egiziane di un enorme giacimento di gas da parte della compagnia dell'imperialismo italiano ENI, nel settembre del 2015, entro il cosiddetto Bacino del Levante, che si estende dall'Egitto, appunto, coinvolgendo le acque territoriali di Israele, Libano, Cipro e Siria.

Dal 2009 in poi la gara all'apertura di nuovi blocchi di estrazione vede il continuo schianto delle aspirazioni israeliane di svolgere un ruolo dominante nella definizione di prezzi e accordi commerciali attraverso i propri giacimenti Leviatano, Tamar e Dalit.
Con il giacimento egiziano, il governo della valle del Nilo si è assicurato la fornitura di 5,5 miliardi di barili di gas, con circa 64 accordi per circa 270 pozzi di gas e petrolio con svariate compagnie petrolifere nazionali ed estere, per un totale di 14,3 miliardi di dollari. L'Egitto si è reso autonomo e, anzi, minaccia le aspirazioni egemoniche israeliane sul versante dell'approvvigionamento energetico.
Israele è così costretto alla ricerca di nuovi acquirenti, nonostante le proteste delle opposizioni interne per la scelta di fornire una posizione monopolistica alla compagnia statunitense Noble Energy.

Allo stesso tempo, però, si apre una nuova linea di scontro, e di nuovo finiscono nelle mire espansionistiche e imperialistiche israeliane il territorio e i mari di riferimento del Libano.
Qui, di nuovo, gli squali Netanyahu e Lieberman si scagliano contro il Paese dei cedri, avviando un contenzioso territoriale rispetto alla sovranità su un ricco e pregiato giacimento, che coinvolge una fascia di mare di circa 860 km quadrati che scorre lungo il bordo di ben tre blocchi del Bacino del Levante.
Il Libano, infatti, con un coro unitario che coinvolge il capo di Stato Aoun, il premier Hariri e il movimento sciita Hezbollah in sostegno a questa operazione, ha assegnato i lavori di esplorazione del blocco 4 e del blocco 9 ad una compagnia estera composta per il 40% da ENI (Italia), il 40% da Total (Francia) e al 20% da Novatek (Russia).
In risposta, i due squali israeliani hanno denunciato l'atto come una provocazione, sono arrivati a minacciare operazioni militari e addirittura lasciato intendere la possibilità di un'invasione via mare rispetto alla quale invitano a non contrapporre la popolazione: «Non consentiremo scene come nel 2006, quando abbiamo visto i cittadini di Beirut sulla spiaggia mentre gli israeliani a Tel Aviv si trovavano nei rifugi». In poche parole: se noi vi invadiamo, la popolazione non può reagire, altrimenti ne pagherebbe le conseguenze e i responsabili sarebbero solo ed esclusivamente Iran, Hezbollah e il governo libanese.

È in questo quadro che si può leggere una generale escalation del coinvolgimento aperto di Israele nel conflitto siriano, che per cercare più spazio e peso nelle trattative tra i big e per lanciare avvertimenti ai protetti dell'Iran ha intensificato i propri raid negli ultimi giorni contro il governo di Assad, spingendosi fino a bombardare i dintorni di Damasco; operazione che ha portato all'abbattimento di un caccia israeliano dai sistemi contraerei siriani.
La conclusione di questo accordo ha sicuramente spiazzato il governo italiano, che avrebbe voluto occuparsi di tutto fuorché di una questione internazionale di questa portata, che potrebbe scoppiare da un momento all'altro finendo in mezzo ad un braccio di ferro tra Russia, Iran, Libano e la storica padrona di casa, la Francia, da una parte, e Israele e USA dall'altra.

Non solo. L'ENI sta giocando a mettere il piede in più scarpe, e vantando una tradizione di rapporti speciali con i paesi arabi tendenzialmente ostili a Israele, cerca di ramificare il proprio intervento all'Egitto e al Libano, come abbiamo visto, e non solo. È notizie delle ultime ore, infatti, l'esplosione dell'altro fronte aperto, quello che vede in scena Cipro e la Turchia, e sempre in riferimento ai blocchi del giacimento del Bacino del Levante.
In questo contesto la dinamica è ancora più complessa, perché la gara all'accaparramento delle riserve contenute nel Bacino del Levante è spietata, e sia Total che ENI si contendono, in un rapporto tra concorrenti ologopolisti, il primato sui giacimenti.
La contesa qui riguarda il blocco 6 e il blocco 3 del giacimento di Calypso, al largo della costa di Cipro e nelle acque economiche che internazionalmente sono riconosciute al governo di Nicosia. La Turchia però occupa la parte nord di Cipro e si contende con il governo di Nicosia proprio la sovranità su porzioni di mare e sulle riserve di risorse naturali, e non è escluso che sia una sorta di ritorsione nei confronti di ENI e Total e del loro affronto alle aspirazioni egemoniche di Israele andate in fumo grazie alla scoperta e allo sfruttamento di questi giacimenti (Zohr in Egitto, i blocchi 9 e 4 del Libano e i blocchi 6 e 3 di Calypso a Cipro).
Da qui, dopo gli avvertimenti di Erdogan rivolti direttamente a Mattarella e Gentiloni nella sua visita in Italia, il “sultano” si è spinto al blocco della nave-piattaforma Saipem 12000 di ENI attraverso la Marina turca generando l'attuale impasse diplomatica tra Italia e Turchia.


I capitali imperialistici determinano le politiche dei governi. Per questo è necessaria una rivoluzione comunista

Capitali imperialistici italiani, francesi e russi tutti in gioco e competizione tra loro, ma tendenzialmente in una stessa cordata, si stanno muovendo tra le instabilità della polveriera del Medio Oriente, perché quella polveriera poggia su un letto di ricchezze strategiche.
Il possesso, l'utilizzo e il profitto di quelle risorse modifica confini, alleanze politiche, diplomatiche e commerciali. Mette in moto gli eserciti e mette sull'altare dei sacrifici milioni e milioni di persone e intere città. I governi si piegano quindi alla battaglia commerciale per garantirsi l'approvvigionamento energetico e il consenso delle cordate di capitali che rappresentano o che vogliono attrarre.

In sostanza la politica estera del governo Gentiloni, per quanto riguarda tutto ciò che passa dalla Turchia alla Siria, fino alla Grecia e all'Egitto, è determinata in larga parte dalle scelte dell'ENI nella corsa ai giacimenti e nella competizione con tutte le altre holding legate agli idrocarburi.
Così vale per tutti i governi e gli eserciti, che stanno radendo al suolo un'intera porzione di mondo e di umanità. Mentre viene presentato al pubblico pagante la narrazione dello scontro di civiltà, con due campi nettamente distinti in buoni e cattivi, non conta se non sia poi del tutto chiaro chi faccia parte di un campo o dell'altro. Così ci si dimentica che nel campo dei “ribelli” e dei “democratici” ci sono fondamentalisti islamici di ogni risma, governi che praticano apartheid e genocidi, mercenari di ogni tipo. Ci si dimentica che dall'altra parte ci siano altrettanti criminali, massacratori, despoti e fondamentalisti.
Chi paga il reale prezzo di tutto questo è l'enorme massa di proletari e sottoproletari invischiati in queste lotte settarie e di potere di burocrazie, borghesie, caste religiose e così via. Masse condannate a condizioni di vita disumane, di privazione, di stenti, di fame e di miseria per garantire il libero scontro per il libero profitto di altri.

L'unica speranza per quelle popolazioni, come per il mondo intero, è la rivoluzione contro tutto questo, contro il perenne stato di guerra, contro le divisioni etniche, religiose, sociali e nazionali – la maggior parte delle quali artificialmente imposte da un secolo a questa parte, contro la miseria e la fame.
Una rivoluzione che permetta una ricostruzione basata sui bisogni delle masse e dei lavoratori, all'interno di una federazione socialista di tutte le nazionalità arabe in rispetto all'autodeterminazione di tutte le identità e le minoranze. Una rivoluzione che ponga sotto il controllo diretto dei lavoratori in quanto tali i settori dell'economia strategici, nell'ambito di un'economia centralizzata e pianificata che permetta un utilizzo razionale delle risorse e della produzione, in funzione dei bisogni delle masse e della classe lavoratrice.

La necessità per il proletariato in Italia è proprio quella di lottare contro le stesse borghesie che qui sfruttano e aggrediscono le condizioni di lavoro, e che utilizzano lo Stato, i governi e gli eserciti per le proprie mire e per i propri profitti, provocando guerre, miseria, fame, distruzione, fughe disperate di massa e un enorme dispendio di risorse pubbliche per la "distruzione creativa" del capitale, che dove rade al suolo ricostruisce per costruire nuovi imperi ed equilibri di sfruttamento.
La necessità del proletariato in Italia è proprio la stessa di tutto il proletariato mondiale: la lotta per il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, per il comunismo. Lo strumento per questo obiettivo è la costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria della classe, la leva con cui sollevare il mondo, il partito comunista classista, internazionalista e rivoluzionario.

In questo solco sta il nostro impegno “per una sinistra rivoluzionaria”. Su questo tracciato sta la costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori.

Cristian Briozzo

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