Interventi

Sulla parola d’ordine della Repubblica socialista di Catalogna

13 Ottobre 2017
CATALONIA


LA RIVOLUZIONE CONCRETA

Il reale, l’effettivo non è ciò che immediatamente si dà ai nostri sensi, ma non è neppure la sua semplificazione intellettualistica. Questi due approcci al reale portano a disorientamenti politici che se non corretti hanno conseguenze negative. Per esempio molti si scandalizzano perché settori di salariati votarono Berlusconi, la Lega oppure lo scorso anno Donald Trump. Da questi e da altri casi del passato, come il supposto sostegno della classe operaia industriale americana all’aggressione al Vietnam, molti disconobbero il ruolo oggettivamente rivoluzionario di quest'ultima. Purtroppo per coloro che non vanno oltre l’osservazione empirica e per chi cade nell’errore opposto, l’intellettualismo astratto, la classe operaia non è l’insieme dei suoi comportamenti né, tantomeno, “una rude razza pagana senza miti né dei”. La classe operaia, come tutto ciò di cui si compone la realtà sociale e naturale, è concreta, cioè una molteplicità di determinazioni in continuo movimento e interagenti permanentemente. La classe operaia nel capitalismo è una classe subalterna, se in essa non si diffonde organicamente il comunismo rivoluzionario; le sue idee sono quella della classe dominante. La classe operaia afferma la sua indipendenza nel giudizio e nella lotta su tutti i fatti, i movimenti e le crisi sociali e politiche. Per questa ragione nessuna crisi è estranea ai comunisti e al proletariato rivoluzionario.

Proprio perché il reale, l’effettivo è solo il concreto - cioè la “sintesi di molteplici determinazioni” - anche la rivoluzione è concreta, cioè determinata dalla storia reale. Perciò per i marxisti «la rivoluzione socialista non è un atto isolato, una battaglia isolata su un solo fronte, ma tutta un’epoca di acuti conflitti di classe, una lunga serie di battaglie su tutti i fronti, cioè su tutte le questioni dell’economia e della politica, battaglie che possono terminare soltanto con l’espropriazione della borghesia. Sarebbe radicalmente errato pensare che la lotta per la democrazia possa distogliere il proletariato dalla rivoluzione socialista, oppure farla dimenticare, oscurarla ecc. Al contrario, come il socialismo non può essere vittorioso senza attuare una piena democrazia, così il proletariato non può prepararsi alla vittoria sulla borghesia senza condurre in tutti i modi una lotta conseguente e rivoluzionaria per la democrazia» (Lenin, La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione - tesi del gennaio-marzo 1916). Le Tesi di Lenin furono verificate nell’insurrezione irlandese del 1916. Il capo della Rivoluzione d’ottobre non ebbe problemi a criticare gli scolastici di Zimmerwald che definirono l’insurrezione irlandese un “colpo di stato” e il movimento nazionale irlandese “nonostante il gran rumore che faceva, non valeva un granché". Il giudizio di Lenin sugli scolastici fu tagliente:
«chi chiama colpo di stato una simile insurrezione o è uno dei peggiori reazionari oppure è un dottrinario irrimediabilmente incapace d’immaginare la rivoluzione sociale come un fenomeno reale. Poiché credere che la rivoluzione sociale sia immaginabile senza l’insurrezione delle piccole nazioni e in Europa, senza le esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia, con tutti i suoi pregiudizi, senza il movimento delle masse proletarie e semiproletarie arretrate contro il giogo dei grandi proprietari terrieri, della Chiesa, contro il giogo monarchico, nazionale ecc. significa rinnegare la rivoluzione sociale… Colui che attende una rivoluzione “pura” non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parola che non capisce la vera rivoluzione» (L’insurrezione irlandese, in Risultati della discussione sull’autodecisione, luglio 1916).
Il principio generale del socialismo scientifico sulle questioni della lotta delle nazioni oppresse a cui si attiene Lenin è: se la lotta della nazione oppressa contro la nazione dominante indebolisce lo Stato capitalista e rafforza il proletariato rivoluzionario di entrambe le nazioni, allora il proletariato sostiene la lotta fino in fondo (come fu fatto nel ’17 e dopo la guerra civile vittoriosa nell’ex impero zarista). La questione nazionale - contrariamente a quanto dicono molti – è stata sempre al centro del socialismo scientifico nella teoria e nella pratica: «La fondazione della I Internazionale fu annunziata in un comizio a Saint James’ Hall a Londra, indetto per celebrare l’insurrezione polacca, nel luglio del 1863, e la proclamazione venne fatta in un altro comizio in favore della Polonia, tenuto a Saint Martin’s Hall, a Londra nel settembre del 1864» (Storia del marxismo Einaudi, vol. II, pag. 798).


LA CRISI CATASTROFICA INARRESTABILE DEL CAPITALISMO E LA CRISI CATALANA

La questione delle nazioni storiche oppresse in Europa non presenta più la questione contadina centrale nei primi del Novecento, e neppure una borghesia nazionale interessata allo sviluppo di una propria industria, per difendere il proprio mercato nazionale, e neanche una borghesia compradora. Le loro borghesie sono profondamente integrate gerarchicamente nel capitalismo delle nazioni dominanti. Le nazioni storiche oppresse in Europa sono state trasformate dai processi d’industrializzazione capitalistica e di deindustrializzazione. Il proletariato, la classe salariata, costituisce la maggioranza sociale delle nazioni storiche in Europa (fa eccezione la Sardegna, data la presenza di un settore agro-zootecnico, i pastori, nei confronti dei quali si pone il problema della direzione politica). Da quanto detto sopra, il problema delle nazioni storiche in Europa non si pone nei termini della rivoluzione permanente o della trascrescenza della rivoluzione democratica e borghese in rivoluzione socialista ma nei termini di una rivoluzione socialista nei paesi imperialisti dominanti. Allora come mai la classe operaia salariata della Catalogna in questa crisi catastrofica mondiale non ha una coscienza rivoluzionaria, formata dal socialismo scientifico all’altezza della situazione? Le condizioni indicate - maggioranza sociale salariata e crisi del capitalismo - avrebbero dovuto produrre la coscienza socialista rivoluzionaria, eppure manca!

L’assenza di coscienza socialista rivoluzionaria non vuol dire che non manchino lotte e guerre contro la classe dominante. Questo è il problema da risolvere. A questa condizione ci ha portato la crisi di direzione del proletariato rivoluzionario internazionale.
Forse che il Partito Laburista inglese ha mai lavorato per far saltare il Regno Unito facendo diventare l’indipendenza dell’Irlanda parte del suo programma e della sua azione? - come fecero invece i Livellatori che mobilitarono nell’estate del 1647 alcuni reggimenti contro Cromwell che si preparava a invadere l’Irlanda: compito di ogni democratico in Inghilterra era quello di battersi per la libertà dell’Irlanda. Marx ed Engels sono gli eredi dei Livellatori inglesi sulla questione. Il Partito Comunista britannico, quello spagnolo, quello francese, quello italiano hanno fatto di tutto per seppellire la politica leninista sull’autodeterminazione dei popoli; non potevano dirigere la lotta delle nazioni oppresse in europa. Non c’era bisogno del crollo del muro di Berlino per ridurre la coscienza socialista rivoluzionaria a un lumicino nella classe salariata delle nazioni oppresse in Europa!
Eppure nell’Ulster, nei Paesi Baschi dalla fine degli anni Sessanta sino ad una decina di anni fa, si è combattuto con lo stesso eroismo con cui combatterono “gli eroi della Narodnaja Volia”. Ma quella linea politica non ha portato alla liberazione dell’Ulster dall’imperialismo britannico né i Paesi Baschi a liberarsi dalla monarchia borbonica a servizio del grande capitale.

La crisi catastrofica inarrestabile iniziata con il crollo della borsa di Shanghai nei primi mesi del 2007 ha acutizzato la lotta la classe operaia internazionale: ricordiamo le battaglie dei minatori asturiani nel luglio del 2012, i battaglioni dei minatori del Donbass contro il governo fantoccio di Kiev, gli scioperi nel settore petrolifero degli USA nel 2015, le lotte del proletariato, i grandi movimenti di sciopero in Francia. In tutte queste lotte l’idolo del legalismo non era più venerato e temuto. Le organizzazioni indipendentiste di sinistra irlandese e basca, al contrario, precipitavano in una crisi profonda con la capitolazione all’imperialismo inglese del Sinn Feinn di Adams e McGuinness. Capitolazione avvenuta in una crisi profonda dello Stato inglese.
Nella Dichiarazione di Istanbul del CRQI del luglio 2007 venne fissato un punto che ha costituito la stella polare per i marxisti in questi anni: la crisi catastrofica avrebbe prodotto crisi politiche esplosive e posto le condizioni di una nuova tappa della rivoluzione socialista mondiale:
«Il capitalismo mondiale è scosso da convulsioni che, in modo costante, lacerano violentemente tutte relazioni tra le classi e tra gli Stati, rompendo tutti gli equilibri sociali, politici ed economici. [...] La convulsione del mondo contemporaneo segna chiaramente una transizione dal periodo precedente, dominato dagli effetti del crollo dell'Unione Sovietica e dello stalinismo, verso una nuova ascesa internazionale delle lotte nazionali e sociali negli ultimi anni del Novecento e nei primi anni del XXI secolo, verso una polarizzazione delle forze sociali che avanzano verso grandi scontri storici in tutto il mondo. [...] Nel novantesimo anniversario della Rivoluzione socialista di ottobre, primo atto della rivoluzione socialista mondiale, come precisarono Lenin, Trotsky e i bolscevichi, il mondo entra in una nuova fase della rivoluzione socialista mondiale» (luglio 2007).

Allora non c’è niente di straordinario se le masse combattive catalane marciano sotto la bandiera della Repubblica catalana.
Nel 2011 i partiti borghesi repubblicani catalani, imprudentemente, si sono lanciati in una lotta contro il centralismo madrileno: era il loro modo per rispondere alla loro crisi e per deviare la lotta delle grandi masse. Nel luglio 2012 sull’Espresso la situazione sociale spagnola veniva riassunta così: «Madrid e Barcellona, sta esplodendo la rabbia sociale di un intero Paese. Lo si vede il 19 luglio con i centomila che a Madrid calano alla Puerta del Sol e fino a notte la occupano scontrandosi con la polizia: ceto medio, impiegati, statali di un'amministrazione non mal funzionante ma elefantiaca, disoccupati ormai tra i giovani al 50 per cento, medici e infermieri con gli ospedali a rischio, madri che a settembre su tempere e quaderni dei figli a scuola pagheranno l‘Iva al 21 anziché al 4%. E poi "mineros y bomberos", i minatori dalla provincia di Teruel e i pompieri che inondano di schiuma la piazza, persino poliziotti in borghese». Gli indignados e Podemos alle masse profonde non potevano dare la certezza che, in un modo o nell’altro, le avrebbero guidate al rovesciamento dei vertici della società iberica.
Alle masse della Catalogna, deluse da tutti i tradimenti vecchi e nuovi della sinistra iberica, hanno ripreso la tradizione repubblicana catalana per giustificare la lotta contro la classe dominante, perché ai loro occhi appariva quella in cui si poneva la questione del potere: la separazione dallo Stato iberico. Abbiamo scritto che i partiti borghesi catalani scelsero imprudentemente la via della separazione perché non avevano presente che nella nazione catalana le classi subalterne hanno una visione della nazione molto diversa da quella dei capitalisti catalani. Ognuna delle due classi pensa l’indipendenza secondo i suoi propri bisogni, interessi e desideri.
I partiti borghesi catalani si erano illusi sull’Unione Europea e sui singoli governi e, allorché quella e questi hanno mostrato il loro vero volto di grandi nazioni imperialiste, hanno tremato. Il 10 ottobre, in parlamento, Carles Puigdemont ha chiesto tempo per negoziare la resa e per prendere le distanze dalle masse che hanno votato e hanno scioperato il 3 ottobre per la Repubblica di Catalogna.


PER LA REPUBBLICA SOCIALISTA DI CATALOGNA

Se i partiti borghesi catalani hanno agito imprudentemente è perché non fanno le analisi dei marxisti rivoluzionari. I vertici economici, politici e militari dell’UE, al contrario di Puigdemont, hanno avuto a disposizione dal 2009 in poi studi come “Manning the barricades - Who's at risk as deepening economic distress foments social unrest” (marzo 2009) dell’Economist Intelligence Unit, in cui si cercava il rapporto tra crisi economica e esplosioni sociali. La grande borghesia ragiona sui rapporti reali di forza senza il feticcio del legalismo e dell’“ideale”, altrimenti non sarebbe ancora al potere. Contrariamente ai partiti borghesi catalani, i vertici dell’UE hanno visto ciò che vogliono - seppur confusamente - le masse catalane: indipendenza vuol dire rovesciare la propria condizione di miseria.

Dopo la resa del 10 ottobre, la rottura delle masse catalane con i partiti borghesi indipendentisti è destinata ad allargarsi. Diversi sono i fattori che la accelereranno. Il proletariato e la piccola borghesia impoverita hanno visto il ricatto economico dei capitalisti catalani, di quelli spagnoli, di quelli europei e internazionali; ora per loro indipendenza politica significherà, anche, il pieno controllo delle banche e dell’industria, il loro Stato che espropria i nemici del popolo catalano. Il controllo economico va difeso; questo implica che la rivoluzione si armi.

Secondo l'ex Segretariato Unificato della Quarta Internazionale bisogna «sforzarsi di mantenere una strategia il più possibile non violenta, evitando le provocazioni, allo scopo di non dare alcun pretesto a un rafforzamento della repressione ed evitare la divisione del movimento che il governo spagnolo aspetta» (Appello per la Catalogna. Comitato esecutivo della IV Internazionale).
Al contrario di quanto sostiene il Segretariato Unificato, il governo non “aspetta”: il governo di Madrid agisce sostenuto da una campagna della stampa borghese per lo stato d’assedio in Catalogna (articolo 156). Sono già operativi sul campo un battaglione a Barcellona e un battaglione di blindati a Sant Climent Sescebes. Per il governo, le due unità si trovano in Catalogna per un piano di prevenzione del terrorismo dopo la strage di quest’estate.
Solo chi fa come gli struzzi può bersi che le due unità militari, in appoggio alla polizia spagnola, siano state mandate lì contro il “terrorismo”, così come la strage di Barcellona sia una strage su mandato dell’Isis. La strage di Barcellona e i due battaglioni sono atti di guerra contro il movimento nazionale catalano. Il governo di Madrid ha potuto verificare che il carattere progressivo di quel movimento nel febbraio scorso, quando a Barcellona si svolse l’imponente manifestazione a favore dei rifugiati e dei profughi al grido di “Basta scuse! Accogliamo subito i rifugiati!”. La manifestazione era la conclusione della campagna “casa nostra, casa vostra”. Il sindaco di Barcellona dichiarò: «Voglio i profughi a Barcellona ma Madrid lo impedisce». Si deve vergognare chi ha messo sullo stesso piano il movimento nazionale catalano con il leghismo. Questa è una delle ragioni per cui la Catalogna vuole separasi dallo Stato iberico, le cui istituzioni non hanno mai rotto con il loro passato fatto di hidalgos sanguinari.
Ci troviamo in una situazione che è completamente all’opposto di quella presupposta dalla “strategia il più possibile non violenta” del Segretariato Unificato. Madrid non è alla ricerca di “alcun pretesto” per il “rafforzamento della repressione”, Madrid ha già represso il 1 ottobre e il 10 di ottobre. La sua polizia era pronta ad attaccare. Madrid tiene conto della polizia autonoma catalana. Sa bene che i Mossos sono destinati a fratture, e ciò rende più facile l’armamento delle masse.

La rivoluzione catalana si dovrà porre il problema del controllo totale delle banche e dei mezzi di produzione, il problema della sua difesa militare contro il governo reazionario di Madrid e dell’UE. Oggi, come nel 1934, “la Catalogna può trasformarsi nell'asse della rivoluzione spagnola. La conquista della direzione in Catalogna deve essere la base della nostra politica in Spagna”. Per la Repubblica socialista di Catalogna, appunto.

Gian Franco Camboni

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