Teoria

La rivoluzione e il suo contrario

Stalinismo versus comunismo

28 Settembre 2017
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Con il crollo dell’URSS, sembrava ormai definitivamente tramontata ogni residua influenza esercitata dagli apologeti dello stalinismo. Si pensava, cioè, che l’estinzione dei dinosauri fosse un fatto ormai acquisito, e che le dure leggi della paleontologia avrebbero schiaffeggiato chiunque avesse, anche solo per un momento, sostenuto il contrario. Non si sapeva che anni dopo ci si sarebbe dovuti ricredere davanti alla parziale resurrezione dell’ultimo animale politico del cretaceo: quello che giustifica un presunto ruolo storico “progressivo” di Stalin. Oggi, nonostante il fallimento senz’appello di quel regime burocratico retto da una casta antioperaia, vi sono forze politiche e circuiti culturali che in forme e modi diversi ripropongono il mito falsificante dell’ex seminarista di Gori. In particolare, sulla scia delle rievocazioni legate al centenario della Rivoluzione d’Ottobre, viene nuovamente riproposta la vulgata del legame ininterrotto tra stalinismo e bolscevismo. I sostenitori di questa linea di continuità, che legherebbe Lenin e i suoi affossatori, vede singolarmente accomunati i rimasugli staliniani con qualche storico di scuola liberale, e la gran parte dei divulgatori politico-televisivi. Certo, nella sinistra lo stuolo dei militanti e dei polemisti che si ostinano a giustificare lo stalinismo è assai ridotto, ed anche le forze politiche che in qualche modo si rifanno ad esso sono di taglia infinitamente inferiore rispetto al passato. Ma questa persistenza, perniciosa e falsificante, rischia di essere in qualche modo fuorviante per quella parte giovanile, che oggi sta faticosamente cercando un proprio percorso anticapitalista. Per questo è di una qualche utilità rintracciare, seppur in modo sintetico, la natura e la genesi dello stalinismo. Un fenomeno che ha rappresentato una profonda degenerazione degli ideali del comunismo.


LE RIVOLUZIONI SCONFITTE

Il partito bolscevico aveva considerato la presa del potere in Russia come il primo atto di un processo rivoluzionario che, per essere vincente, doveva necessariamente estendersi a livello internazionale. Tutta l’opera di Lenin è animata e dominata da questo presupposto. Ogni preoccupazione e ogni aspettativa dei bolscevichi sono indirizzati verso questo orizzonte: risollevare la bandiera dell’internazionalismo, e dare l’assalto ad un ordine borghese che, in quel frangente storico, si stava incrinando. Nel marzo del 1919 viene fondata a Mosca l’Internazionale comunista, che viene concepita come la costituente del partito della rivoluzione mondiale. Tutti gli atti, gli statuti e i dibattiti del congresso sono orientati a questo preciso compito strategico.
La figura di Stalin comincia ad emergere quando cade l’ultima speranza di rivoluzione in Europa; quando nel 1923 in Germania l’irrisolta crisi di direzione borghese dello Stato si aggrava con l’occupazione francese della Ruhr, e con il crollo vertiginoso del marco; ma la situazione rivoluzionaria che si determina non viene sfruttata e portata a compimento dalle direzioni del KPD e dell’Internazionale comunista. Il cerchio si chiude e si apre una nuova difficile fase per il paese dei Soviet. Rifluisce il movimento rivoluzionario che nel primo dopoguerra si era sviluppato in Europa, condannando così l’Unione Sovietica a patire un durevole isolamento. Il fallimento dell’ascesa rivoluzionaria in Europa, combinata con l’estrema arretratezza economica di un paese uscito esausto dalla guerra civile, favorisce la crescita della burocratizzazione del partito e dello stato. Attorno a Stalin, si coagula così uno strato privilegiato di funzionari che, utilizzando il monopolio dell’esercizio del potere, occupa progressivamente tutte le leve del comando politico, economico ed amministrativo. In questo quadro, il proletariato e i suoi organismi consiliari vengono prima esautorati e poi piegati da questa casta di usurpatori. Trotsky, nell’analizzare la degenerazione burocratica del primo Stato operaio, descrive lo stalinismo come un “Termidoro sovietico”. Così come era avvenuto in Francia dopo il 1794, anche in Unione Sovietica la rivoluzione subisce un processo interno di svuotamento, che la conduce sino alle soglie di un nuovo bonapartismo. In questo contesto, le conquiste sociali dell’Ottobre (proprietà collettiva dei mezzi di produzione, pianificazione economica, monopolio statale del commercio estero) rimangono inalterate, ma la classe operaia viene espropriata del potere politico.


L’ULTIMA BATTAGLIA DI LENIN

Lenin negli ultimi anni della sua vita accentra la sua attenzione sui pericoli di una possibile degenerazione del partito che aveva fondato e portato alla vittoria. Soprattutto è preoccupato del peso crescente della burocrazia all’interno dell’apparato. Pur colpito da una grave malattia invalidante, Lenin concentra i suoi ultimi sforzi nella battaglia politica, attorno a tre elementi centrali: difende il diritto di autodeterminazione dei popoli, e contrasta la politica di unione forzata delle nazionalità brutalmente avviata da Stalin; si schiera a favore del mantenimento del monopolio del commercio estero che Stalin e Bucharin volevano abolire; propugna il ripristino della democrazia operaia nel partito e nel governo dello Stato sovietico. Infine, in quelle note che vengono considerate il suo Testamento, Lenin esprime un giudizio inequivocabile: “Stalin è troppo brutale, e questo difetto, perfettamente tollerabile nel nostro ambiente… non lo è più nelle funzioni di Segretario generale. Propongo dunque ai compagni di studiare un mezzo per far dimettere Stalin da questa carica…”. La morte, sopraggiunta all’inizio del 1924, gli impedirà di intervenire al XIII congresso del partito, e di approfondire la battaglia politica che aveva iniziato a condurre contro la nascente burocrazia. Successivamente, l’opposizione allo stalinismo, dentro e fuori l’Unione Sovietica, verrà proseguita da Leone Trotsky e da quei militanti bolscevichi che, sulla base dei principi leninisti della democrazia operaia e dell’internazionalismo proletario, lotteranno fino alla fine per difendere il programma rivoluzionario dell’Ottobre, stravolto e tradito dalla controrivoluzione capeggiata da Stalin e dalla sua casta parassitaria.


L’ANNIENTAMENTO DELL'AVANGUARDIA

Per giustificare il proprio ruolo, la burocrazia staliniana dovrà stravolgere i principi del marxismo rivoluzionario coniando la teoria della costruzione del socialismo in un solo paese. A questo ripiegamento, teso a preservare la casta dominante del Cremlino, verrà piegato l’intero movimento comunista internazionale. Le continue svolte prodotte dalla Terza Internazionale saranno dettate solo da un'unica preoccupazione: la conservazione dell’URSS come entità statale. Ma soprattutto, per consolidare il proprio potere, la controrivoluzione staliniana trasformerà il partito bolscevico da strumento plurale e democratico della soggettività cosciente dell’avanguardia di classe in una macchina puramente amministrativa e poliziesca. La campagna di reclutamento lanciata subito dopo la morte di Lenin modificherà radicalmente la cultura di fondo del partito: già nel 1927 si calcola che il numero degli espulsi nelle epurazioni avviate dall’apparato siano stati circa settecentomila. Questa metamorfosi favorirà l’affermazione del tipico funzionario dell’era staliniana: di origini contadine, che seguiva con zelo gli ordini della leadership, e che accettava il principio che tutte le opinioni che differivano da quelle del segretario generale erano da ritenersi sediziose. Parallelamente cresce a dismisura il numero dei “colletti bianchi”, e in soli dieci anni il personale amministrativo dello Stato triplica i suoi effettivi arrivando a contare quasi 14 milioni di persone. In questo modo la burocrazia si trasforma in una vera e propria forza sociale, e lo stalinismo al potere diventa l’espressione politica degli interessi materiali di questa casta faraonica.
Inoltre, per conservare il potere, la repressione scatenata dalla burocrazia sarà implacabile, e negli anni si trasformerà in un terrore spietato e sanguinario rivolto contro gli oppositori. Le principali vittime di Stalin saranno proprio i comunisti. L’intera avanguardia dell’Ottobre sarà distrutta fisicamente, con l’assassinio dei suoi dirigenti più prestigiosi. Ben 17 dei 23 membri del Comitato Centrale del 1917 saranno vittime del grande terrore staliniano. Neppure l’Armata Rossa verrà risparmiata e gran parte del suo stato maggiore verrà brutalmente defenestrato. Le cifre di questo massacro sono impietose. Nel solo periodo che va dal 1935 al 1941, solo tra i comunisti vi furono più di un milioni di uomini arrestati. La repressione colpirà anche quei militanti che durante gli anni del dominio burocratico si erano schierati con Stalin o avevano capitolato di fronte al suo arbitrio. Basti pensare che più della metà di quei 1.900 delegati che al XVII congresso avevano unanimemente celebrato Stalin come “la guida sicura e infallibile dei popoli”, dopo solo pochi mesi saranno deportati e sterminati.

Piero Nobili

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