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Automazione e robotizzazione: una nuova minaccia per i lavoratori?

25 Settembre 2017
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Sociologi, economisti, commentatori già da qualche anno annunciano una nuova rivoluzione industriale. È ormai prossima l'era dell'automazione e della robotizzazione. Lo sviluppo di macchine sempre più avanzate, della robotica e della cosiddetta intelligenza artificiale legata a sua volta allo sviluppo dell'elettronica e dell'informatica, in un futuro molto ravvicinato porterà ad uno sconvolgimento del modello produttivo capitalistico. Ciò comporterà una riduzione drastica della necessità di lavoro umano a fini produttivi ma anche nel campo dell'amministrazione pubblica e private e in quello dei servizi alla persona. Sorgeranno quindi fabbriche automatizzate prive di operai, mezzi di trasporto che si guidano da soli, gli impiegati verranno sostituiti da computer supersofisticati in grado di svolgere operazioni molto complesse, i robot si prenderanno cura delle persone.

Gli stessi sociologi, economisti e commentatori, in modo molto compunto, si preoccupano immediatamente di ricordarci che questo scenario di progresso avrà un prezzo: la scomparsa del lavoro manifatturiero e di gran parte di quello del cosiddetto terziario porterà ad un enorme aggravamento della disoccupazione di massa, molto probabilmente ad un grande impoverimento della maggior parte della popolazione, alla scomparsa di quei pochi diritti che ancora conservano i lavoratori. Insomma uno scenario da brivido per un futuro ineluttabile.

Questa profezia è sicuramente realistica. Si iscrive infatti nell'uso che di ogni progresso tecnico e tecnologico ha fatto il capitalismo. Ogni innovazione è stata usata non per migliorare le condizioni di lavoro e, considerato l'enorme aumento della produttività del lavoro associato, per ridurre drasticamente l'orario di lavoro, ma al contrario per intensificare lo sfruttamento assoluto, aumento della giornata lavorativa, e relativo, aumento dell'intensità e dei ritmi di lavoro. Si potrebbe dire con Marx: “Nulla di nuovo sotto il sole”.
Che dunque il progetto dei capitalisti sia proprio quello qui enunciato è quasi certo. Stante il modo di produzione capitalistico lo scenario descritto, uno scenario di barbarie, è realistico.
La questione però è un'altra. Potrà il capitalismo stesso sopravvivere a questi cambiamenti? Mi spiego meglio.
Marx ha spiegato molto bene la differenza tra il capitale costante, i mezzi di produzione e il capitale variabile, l'esborso di capitale per l'acquisto di forza lavoro. Il primo, il capitale costante, è la condizione per cui possa essere messa in opera la forza lavoro. Esso è costituito sostanzialmente dal capitale fisso, strutture e macchine, e capitale circolante, materie prime e materie ausiliarie, come ad esempio carburanti, sostanze chimiche necessarie al funzionamento delle macchine ecc.
Il capitale costante è la condizione per cui possa essere messa in opera la forza lavoro. La forza lavoro diventa capitale produttivo solo nelle mani del capitalista che può metterla in funzione solo grazie ai mezzi di produzione di sua proprietà.

Marx ci dice anche che solo la forza lavoro quale capitale nelle mani del capitalista, al tempo stesso riproduce il capitale necessario al suo rinnovo, il salario dato all'operaio per il suo sostentamento, e un plusvalore il quale è la condizione del profitto del capitalista e dell'accumulazione di capitale (il captale che si autovalorizza). Se il capitalista non mette in funzione la forza lavoro non si produce plusvalore, e il capitale non produce profitto.
Il capitale costante e il capitale variabile stanno in un rapporto reciproco che muta nel tempo. Il capitale costante, ossia l'esborso in mezzi di produzione tende costantemente a crescere. Questa è appunto la dinamica confermata dall'osservazione dello sviluppo capitalistico nella storia, che ha portato a sempre più grandi concentrazioni capitalistiche con stabilimenti sempre più grandi, complessi industriali sempre più estesi e interdipendenti, sviluppo continuo dei mezzi di produzione sulla base delle più moderne acquisizioni scientifiche (meccanica, elettronica, informatica, robotica), esborso di capitali sempre più grandi in acquisto di sistemi di macchine sempre più sofisticati e complessi in grado di aumentare enormemente la produttività del lavoro associato. Questo comporta un grande aumento della scala di grandezza della produzione e al contempo della massa di plusvalore prodotto dalla stessa forza di lavoro impiegata.

Al contempo però l'esborso di capitale totale, capitale costante più capitale variabile, aumenta continuamente a causa dell'aumentare del primo. Il saggio di profitto, ossia il plusvalore prodotto dall'impiego di una determinata massa di capitale, tende a diminuire (il denominatore della frazione, capitale costante + capitale variabile, tende a crescere di più del numeratore, il plusvalore). All'aumentare del capitale costante l'esborso del capitale da parte del capitalista diventa sempre più grande ma meno profittevole. Se tale processo dovesse spingersi fino a concepire una teorica fabbrica completamente automatizzata senza operai, essa rappresentando solo capitale costante che non mette in funzione forza lavoro, non potrebbe produrre plusvalore e dunque profitto. Il saggio di profitto in questo caso tenderebbe asintoticamente a zero. Ma il capitale è sempre alla ricerca del modo più efficace per autovalorizzarsi, dunque è sempre alla ricerca del modo di estrarre sempre più plusvalore e dunque un maggiore profitto, o, per meglio dire, un maggiore tasso di profitto.

Per questo se alcuni settori o rami industriali sono destinati ad una sempre maggiore automazione e robotizzazione, altri settori a minor contenuto tecnico e tecnologico, magari in connessione funzionale con i primi o in altri ambiti del mercato capitalistico, vedranno l'investimento di capitali con un maggior esborso in capitale variabile, forza lavoro, in relazione ad uno minore in capitale costante. Vale a dire che i capitali si orienterebbero verso gli investimenti produttivi a maggior tasso di profitto. A fianco delle fabbriche robot ci ritroveremo settori che impiegano masse di operai sottoposti ad un alto tasso di sfruttamento, per la ricerca del massimo profitto, in grado di fornire forza lavoro a più buon mercato, dovuto alla compressione salariale, ossia al sempre minor costo del salario necessario al rinnovo della forza lavoro stessa.
L'effetto combinato sarà allora quello di un aumento di disoccupazione da un parte e dall'altra dell'impoverimento di una massa crescente di operai sottoposti a forme sempre più disumane di sfruttamento.

Disoccupazione, supersfruttamento, impoverimento di massa. Questi saranno dunque i risultati della nuova rivoluzione industriale nelle condizioni del modo di produzione capitalista. Non sarà possibile, per le ragioni suddette, neanche il compimento di questa rivoluzione industriale, che pure è inscritta nella possibilità di sviluppo scientifico e tecnologico delle forze produttive raggiunto dal lavoro umano associato. L'automazione preconizzata rimarrà a metà, frenata dalle logiche di profitto e dalle sempre più ravvicinate crisi da sovrapproduzione (causate dall'impossibilità della realizzazione del valore delle merci sul mercato per il sempre calante numero dei consumatori in grado di acquistarle in relazione alle capacita produttive sempre accrescentesi).
Si concretizzerà sempre più la previsione di Marx per cui il capitalismo quale determinato modo di produzione, storicamente determinato, al pari di quelli che lo hanno preceduto, entrerà in contraddizione con le possibilità di sviluppo ulteriore delle forze produttive. Questa è la dinamica storica individuata da Marx per spiegare le ragioni obiettive della rivoluzione sociale quale unica soluzione per l'umanità di uscire dall'impasse.

Il problema dunque non è l'automazione, l'introduzione nella produzione di macchine intelligenti e robot, ma l'uso che il capitalismo farà di questi mezzi di produzione.
L'unica possibilità di un utilizzo progressivo, favorevole alla civiltà umana, di questo sviluppo straordinario dei mezzi di produzione è il rivolgimento sociale, l'abbattimento del capitalismo ad opera del proletariato politicamente organizzato e l'instaurazione del socialismo.
In queste condizioni l'uso delle macchine intelligenti su vasta scala e in tutti i settori produttivi libererebbe il lavoro dalla fatica, dalla nocività, dal tedio delle operazioni continuamente ripetute e dalla noia, per esaltarne invece gli aspetti creativi e di autorealizzazione del lavoratore.
Al tempo stesso porterebbe ad un'enorme diminuzione del tempo di lavoro necessario liberando le persone al fine di svolgere le più diverse attività di interesse o di svago, tra le quali anche quella fondamentale dell'autogoverno. In questo modo, accrescendosi continuamente le capacita dei lavoratori e dei cittadini di autogovernarsi, verrebbe via via sempre meno la necessità di un'organizzazione separata per il governo politico della società, lo Stato, con il suo corollario di istituzione burocratiche, tribunali, carceri e polizia. Esso, così, comincerebbe a deperire fino a sparire. Invece di far sparire gli operai, la classe rivoluzionaria, e con essi la possibilità stessa della rivoluzione, l'automazione favorirebbe così le condizioni per il passaggio dal socialismo al comunismo.
In definitiva il capitalismo ha esaurito ogni spinta al progresso ed è entrato un uno stadio regressivo in grado di mettere a repentaglio il futuro della civiltà umana.

Dopo aver divelto il sistema feudale e aver favorito lo straordinario sviluppo delle forze produttive, non senza aver lastricato il suo cammino di sangue e distruzione oltre che aver seriamente compromesso l'ecosistema del pianeta, il capitalismo oggi soffoca lo sviluppo ulteriore della civiltà umana. Come mai prima nella storia sono dispiegate le ragioni oggettive della rivoluzione sociale. Occorre dunque organizzare la classe rivoluzionaria - il proletariato internazionale - per questo scopo, a partire dalla sua direzione politica e sindacale che deve essere all'altezza di questo compito storico.

Federico Bacchiocchi

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