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Banche venete. La realtà del capitalismo e del suo Stato

28 Giugno 2017
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Il caso delle banche venete è la perfetta radiografia della natura del capitalismo e dello Stato borghese, contro tutte le false apologie della cosiddetta democrazia e della Costituzione.

I fatti sono noti, e sicuramente brutali nella loro semplicità. Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono fallite. Trascinate al fallimento dalla crisi capitalistica del 2008, dall'espansione abnorme di crediti inesigibili, dal collasso dei valori azionari. Soluzione: il governo decreta la liquidazione coatta delle due banche, dividendo il loro patrimonio in due parti. Da un lato gli attivi superstiti, i crediti esigibili, depositi e obbligazioni di valore, i beni immobili; dall'altro tutta la spazzatura dei titoli tossici, crediti senza futuro, attività fallite. La parte sana viene acquistata al prezzo di 1 (uno) euro da Banca Intesa, assieme a Unicredit la principale banca italiana. La spazzatura tossica l'acquista invece il Tesoro, a carico dei contribuenti. Questi i fatti, di dominio pubblico e di per sé eloquenti: la collettività, già rapinata dalle banche, si accolla i costi del loro fallimento, a vantaggio di una banca che intasca gratis il bottino.

Ma questa è solo la cornice del quadro. I dettagli sono ancor più illuminanti.
Ricordate gli appelli retorici delle istituzioni sulla “necessaria solidarietà nazionale” per “salvare le banche”, che sono “un patrimonio di tutti”? Bene. Le banche italiane hanno rifiutato di pagare la ricapitalizzazione delle banche venete, attraverso una cassa comune, caricando l'onere sullo Stato.
Ricordate l'infinita litania sul debito pubblico della "nazione", sulla mancanza di risorse per servizi sanità e pensioni, sulla necessità obiettiva dei sacrifici per ridurre la spesa sociale? Bene. La crisi del debito pubblico scompare quando si tratta di salvare le banche. Per comprare la spazzatura dei titoli tossici delle banche venete il governo spende per l'immediato oltre cinque miliardi. Che si aggiungono a 12 miliardi di garanzie pubbliche sui titoli regalati a Banca Intesa, che ha preteso e ottenuto copertura totale per i "futuri rischi”. Che si aggiungono a 10 miliardi già messi a garanzia dei bond emessi dalle banche venete negli ultimi mesi, nel tentativo (vano) di rimetterle in pista. Il tutto finanziato dal decreto varato a Natale che caricava sul debito pubblico 20 miliardi per il salvataggio delle banche.
Dunque: le stesse banche italiane che hanno in pancia 400 miliardi di titoli pubblici, che ogni anno intascano 70-80 miliardi di soli interessi sul debito, beneficiano di altre decine di miliardi pubblici per galleggiare sul mercato capitalistico. Grazie a questa operazione di socializzazione delle perdite, la principale banca italiana rilancia alla grande i propri profitti e dividendi, per di più gratis. Banca Intesa ottiene infatti in regalo: 26 miliardi di crediti in ottimo stato, 25 miliardi di raccolta dai depositi, 12 miliardi di obbligazioni, 23 miliardi di raccolta indiretta, oltre alla eliminazione delle due banche concorrenti fagocitate e alla conseguente conquista di un proprio monopolio nel Nord-Est.
Grazie a questo gigantesco regalo ottenuto dallo Stato, le quotazioni azionarie di Banca Intesa sono schizzate in cielo, con immenso gaudio dei grandi azionisti. Altro giro altro regalo, verrebbe da dire: lo Stato è solamente, come diceva Marx, il comitato d'affari del capitale, tanto più in tempo di crisi.

All'altro capo c'è naturalmente chi paga la festa. Non solo la massa dei lavoratori e della popolazione povera cui si chiederà di pagare il conto del debito pubblico accresciuto, a partire dai milioni di lavoratori statali cui si nega il contratto perché ”mancano i soldi”. Ma anche 4000 lavoratori bancari in esubero per la chiusura di due terzi delle 900 filiali delle banche venete (il terzo rimanente va gratis ad Intesa). Ma anche decine di migliaia di piccoli risparmiatori, cui le banche avevano rifilato obbligazioni subordinate truffa in cambio di laute promesse, e persino qualche migliaio di piccoli azionisti.
Il capitalismo ha le sue leggi, che non hanno riguardo per nessuno. Neppure per quella piccola borghesia che spesso si nutre dei suoi miti.

La sola alternativa a questa rapina senza fine è la nazionalizzazione delle banche, - senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori - ,con la loro concentrazione in un'unica banca pubblica. È l'unica soluzione che può abolire il parassitismo del capitale finanziario e liberare immense risorse per i servizi pubblici e le protezioni sociali. È l'unica soluzione che può trasformare la banca da strumento di rapina in mezzo di sostegno alle necessità dei lavoratori. È l'unica soluzione che può proteggere lo stesso piccolo risparmio.
Ma la nazionalizzazione delle banche non sarà mai realizzata da un governo borghese, fosse pure “di sinistra”, come mostra l'asservimento di Tsipras alla troika e ai suoi banchieri. Può essere realizzata solamente da un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e sulla loro forza, in una prospettiva anticapitalista e socialista. Come dimostrò un secolo fa la Rivoluzione d'Ottobre, l'unica che ha realizzato con mezzi rivoluzionari la nazionalizzazione delle banche.

Costruire nella classe lavoratrice, e innanzitutto nella sua avanguardia, la coscienza di questa necessità è la ragione del Partito Comunista dei Lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

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