Dalle sezioni del PCL

Sul 28 aprile a Quirra

Proseguono le manifestazioni antimilitariste in Sardegna

30 Aprile 2017
Quirra


I duecento manifestanti che hanno risposto all’appello di A Foras hanno potuto constatare che dopo le manifestazioni precedenti e, in particolare, Trident Juncture, i vertici militari e la questura di Cagliari vogliono mettere la museruola, il mordacchio al movimento contro l’occupazione militare. L’accelerazione verso la guerra alla Russia e alla Cina - i missili di Trump sull’esercito siriano del 7 aprile, la bomba Moab lanciata in Afghanistan, il lancio del missile intercontinentale Minuteman 3 ICBM nel Pacifico, dalla California - rende intollerabile, per i vertici dell’esercito e degli apparati repressivi, il movimento contro l’occupazione militare e la guerra perché in Sardegna si combina, oggettivamente, con la rivendicazione della sovranità nazionale, detto altrimenti la conquista del potere politico del proletariato rivoluzionario in Sardegna. Questo è l’incastro pericoloso che dev’essere bloccato prima che emerga un’avanguardia politica in grado di organizzare e unificare la lotta economica delle masse lavoratrici sarde, con l’antimilitarismo, contro la devastazione ambientale, contro la distruzione dell’istruzione, contro il maschilismo, contro l’omofobia e contro il razzismo nella lotta cosciente contro l’imperialismo italiano e l’Unione Europea per la conquista della Repubblica sarda dei consigli. Questa è la ragione dell’atto liberticida dei vertici militari e della Questura di Cagliari. Ci vuole un aggiornamento della linea politica, o, detto altrimenti, superare alcuni limiti.


SUPERARE IL MORALISMO

Con la disoccupazione la classe dominante ricatta tutta la classe lavoratrice, la occupata e la disoccupata. In Sardegna la disoccupazione è del 17,3%, quella giovanile del 56,3%, la sesta nella classifica delle aree territoriali con il più alto tasso di disoccupazione giovanile in tutta Europa. Sugli individui che si trovano in quelle percentuali agisce il ricatto economico e politico dei potenti nelle città e nei paesi della Sardegna. Il ricatto agisce anche sulle loro famiglie. È sufficiente l’appello alla coscienza, alla morale per mobilitare le masse contro la guerra e l’occupazione militare? Solo il moralista, che in partenza sa di essere perdente, risponde affermativamente. Ma così nega la storia reale, e i più giovani la devono studiare. In Sardegna e nello Stato italiano le masse lavoratrici si mobilitarono contro la guerra in Corea, contro l’uso delle armi nucleari e contro l’aggressione imperialista al Vietnam. Quelle lotte erano promosse dai due partiti operai PCI e PSIUP, prima che inseguissero il PSI nella capitolazione totale alla borghesia. Perché in quegli anni, nonostante il ricatto economico, i militanti e le militanti di quei due partiti erano gli stessi che organizzavano le loro lotte economiche, le loro rivendicazioni politiche e culturali. Questa è la ragione per la quale nell’isola di La Maddalena sfilarono cinquemila manifestanti contro Andreotti che aveva dato l’isola ai marines USA.
Proviamo ad immaginare che i militanti del movimento contro l’occupazione delle basi formino un fronte di azione i cui gruppi formati da quaranta, cinquanta lavoratori denuncino lo sfruttamento e la negazione dei diritti nella grande distribuzione, nei cantieri edili della speculazione turistica, nelle fabbriche, conquistino la fiducia dei lavoratrici e insieme costruiscano vertenze, trattative sulla base dei rapporti di forza (picchetti, blocchi, scioperi) e strappino conquiste sul posto di lavoro – allora questi lavoratori avranno la prova vivente che la lotta contro l’occupazione militare è una necessità per potersi liberare definitivamente dal dispotismo del padrone e del suo stato.


DAL SIMBOLICO ALL'EFFETTUALE

L’atto liberticida della questura di Cagliari e dei vertici militari a Quirra - imbottigliamento dei manifestanti, elicottero e cani da caccia, più agili nel terreno di campagna, la marcia trionfale a Cagliari scortando i compagni che avevano fatto un blocco stradale – è una risposta non simbolica alle iniziative del movimento contro l’occupazione militare. Un poliziotto in tenuta antisommossa per tre manifestanti. La lotta contro l’occupazione militare deve diventare una lotta di popolo, se diventa una lotta di popolo sarà in grado di reagire con successo. Un esempio. Il 13 novembre del 2012 i minatori dell’Alcoa, in una giornata di guerriglia e di barricate incendiate, cacciarono via i ministri Passera e Barca, che in elicottero volarono in un aeroporto militare. I minatori avevano dietro di loro, attivamente, la maggioranza della popolazione di Carbonia. La secolare tradizione di lotta dei minatori, saputa utilizzare creativamente nell’analisi dei rapporti di forza, ha permesso alla classe operaia di Carbonia di fronteggiare con successo la repressione.
La catastrofe economica del modo di produzione capitalista non concede alla classe dominante altra strada che non sia quella della repressione, la provocazione e la cospirazione contro ogni lotta indipendente. In Sardegna i colpi alla classe lavoratrice sono stati e sono pesanti – il 17,3% di disoccupazione, il ricatto economico e politico più ripugnante che grida vendetta. Le masse, quando la necessità economica si amalgama con la consapevolezza che non c’è altra strada che la lotta, sono in grado di usare tutti i mezzi possibili date le circostanze, di saper mettere a punto un piano di lotta. L’insurrezione cagliaritana del 28 aprile 1794 proprio questo c’insegna.


SUPERARE LA CONCEZIONE RIFORMISTICA DELLE RIVENDICAZIONI ANTIMILITARISTE

Proprio l’azione liberticida contro i manifestanti del 28 aprile è la prova che i vertici economici, politici e militari dell’imperialismo italiano sono impermeabili a qualsiasi pressione ‘dal basso’, anche con azioni simboliche radicali, che possa costringerli a chiudere le basi militari in Sardegna, realizzi le bonifiche, e restituisca le terre alle comunità. Pensare che ciò possa essere realizzato senza il rovesciamento rivoluzionario dei rapporti di forza in Sardegna e in Europa è un’illusione che porta alla sconfitta. Questo è il destino di tutte le lotte settoriali che rimangono tali senza diventare un momento dialettico del più generale movimento di lotta del proletariato e delle masse in Sardegna. Se il comandante della Brigata Sassari, generale Niccolò Manca, si è messo a fare l’agitatore nell’incontro pubblico a Perdasdefogu, incitando le popolazioni che vivono nel territorio intorno alle basi militari ad “arrabbiarsi” contro il movimento contro l’occupazione militare, è perché ha paura che possa superare la sua settorialità e ciò possa contribuire alla crescita della coscienza rivoluzionaria classista in cui s’incastrano, per dirla con il linguaggio della sinistra indipendentista, “la liberazione sociale e la liberazione nazionale”. Il 28 aprile a Quirra «è stato negato il diritto di rivendicare l’autodeterminazione del popolo sardo» (A Foras) - e il diritto alla separazione, sosteneva Lenin, vi è implicito – ma i vertici militari sottovalutano il fatto che l’odio per le guerre imperialiste è profondamente radicato nel nostro popolo. Sono stati i combattenti della Brigata Sassari che maturando, nelle trincee, la coscienza di essere stati carne da macello per il grande capitale, costruirono in Sardegna il nemico numero uno dei Savoia, della borghesia sarda e dell’imperialismo italiano, il Partito Sardo d’Azione di Emilio Lussu e di Dino Giacobbe: l’odio contro la guerra si combinò con le lotte economiche dei minatori, dei pastori, dei contadini e dei giovani intellettuali ribelli. Questa è la storia del nostro popolo che inutilmente hanno sempre cercato di soffocare con l’oppressione economica e la colonizzazione culturale. Non possono negare la Nazione Sarda.

Partito Comunista dei Lavoratori - coordinamento Sardegna

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