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Francia: la crisi della Quinta Repubblica

Sul primo turno delle elezioni francesi

24 Aprile 2017
Macron_LePen

«Né patria né padrone - Né Le Pen né Macron»



L'accesso al ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen risponde alle previsioni più attendibili. Ma fotografa la crisi profonda dei partiti tradizionali e della Quinta Repubblica francese.

Per la prima volta nessuno dei due partiti storici dell'alternanza francese, il Partito Socialista e i Repubblicani gollisti (Les Républicains, ex UMP), giungono al ballottaggio. La somma degli elettorati dei due partiti (con l'unica eccezione del 2002) aveva sempre superato il 50% dei voti espressi. In queste elezioni presidenziali PS e Repubblicani raggiungono insieme il 26%. È la misura di uno sconvolgimento profondo del sistema politico francese. Il sistema dell'alternanza di governo che aveva incardinato per decenni le politiche antioperaie di austerità è obiettivamente in pezzi.

La profonda crisi capitalistica che ha colpito la Francia, con i suoi effetti di deindustrializzazione, disoccupazione di massa, precarizzazione del lavoro, ma anche di impoverimento degli strati inferiori delle classi medie e delle popolazioni rurali, ha minato alla radice i tradizionali blocchi sociali. L'esperienza di governo Hollande-Valls, segnata dall'attacco frontale ai diritti del lavoro (legge El Khomri) e oggetto di risposte di massa da parte di ampi settori di lavoratori e di giovani nella primavera del 2016, ha esposto in particolare il Partito Socialista a una dinamica distruttiva. Il 6,3% per Hamon ha costituito un risultato umiliante. Del resto il fatto che per la prima volta un presidente in carica (Hollande) decidesse di non ricandidarsi dava la misura della consapevolezza della catastrofe. Parallelamente l'estenuante logoramento interno dei Repubblicani, nella guerra senza risparmio di colpi tra Sarkozy, Juppè e Fillon, unito agli scandali clamorosi di corruzione che hanno investito quest'ultimo in piena campagna elettorale, ridimensionavano la capacità attrattiva del partito gollista. Il risultato di Fillon (19,9%) segna un arretramento dei Repubblicani rispetto al 2012 proprio nel momento della disfatta del PS.


LA POLARIZZAZIONE ELETTORALE: MACRON, LE PEN, MELENCHON

La polarizzazione elettorale che si è determinata è il riflesso di questo quadro generale. Il segno dominante del voto, al di là delle forme diverse ed opposte in cui si è espresso, è stato quello della rottura della continuità.

Emmanuel Macron, già alto funzionario della banca Rothschild, ha riportato un risultato notevole (23,8%) inventando dal nulla un movimento politico (En Marche!). Si è presentato come il “giovane uomo nuovo”, estraneo alla classe politica e ai riti del vecchio Partito Socialista, capace di andare al di là della destra e della sinistra. Il suo programma antioperaio (aumento dell'età pensionabile, abbattimento dei sussidi di disoccupazione, attacco ai contratti nazionali di lavoro...), in perfetta continuità con la sua esperienza ministeriale al fianco di Hollande, è stato avvolto e mascherato dalla classica retorica del populismo "nuovista". Al tempo stesso la sua collocazione netta a favore della UE è stata presentata come forma di protezione sociale dei risparmi dei francesi contro l'avventura e il caos. Con questo profilo (la “discontinuità nella sicurezza”) En Marche è riuscito a capitalizzare il consenso sociale di vasti settori di classe media e di gioventù, in particolare nelle grandi città.

Marine Le Pen ha ottenuto un risultato storico per il Front National (21,5%) incrementando il voto riportato nel 2012 (17,9%). Ma non ha sfondato secondo le attese, ed anzi ha registrato nel corso della campagna elettorale un calo relativo del proprio richiamo. Il risultato ottenuto dal candidato sovranista di estrema destra Dupont Aignan (4,8%) ha sicuramente concorso al contenimento di Le Pen. In ogni caso il nuovo lepenismo ha mirato e mira all'incasso della lunga operazione cosmetica condotta sul proprio profilo pubblico: rimozione dei vecchi tratti ideologici paterni del partito di Vichy e dei patrioti francesi di Algeria, a favore di un'immagine di partito d'ordine al di là dei vecchi schieramenti. Rimozione dei vecchi programmi liberisti e thatcheriani in campo economico, a favore di una postura “sociale” attenta a recuperare alcune bandiere lasciate cadere a sinistra (difesa della pensione a 60 anni, no alla legge El Khomri). Il tutto impastato dalla retorica reazionaria anti-immigrati (“prima i francesi”) e dal patriottismo nazionalista anti UE. Il blocco sociale ed elettorale che il FN è riuscito consolidare è significativamente trasversale: ha radici tra gli operai dell'industria, nelle periferie delle città deindustrializzate, nei piccoli comuni e nei villaggi di campagna. Nella Francia profonda colpita dalla globalizzazione capitalista che si sente tradita e abbandonata da tutti. L'esperienza del governo Hollande, sullo sfondo della crisi capitalista, ha dato un indubbio contributo al consolidamento del lepenismo negli strati popolari.

Jean Luc Mélenchon (e il suo movimento France insoumise) è il terzo vincitore politico del primo turno. Il risultato del 19,6% è per molti aspetti straordinario, rispetto alle aspettative di partenza, e ha registrato una forte e progressiva accelerazione del consenso durante la stessa campagna elettorale. Al di là delle capacità oratorie e degli strumenti mediatici messi in campo, Mélenchon ha capitalizzato a proprio vantaggio il crollo di credibilità del PS presso l'elettorato della sinistra francese, ma anche le sedimentazioni dei processi di radicalizzazione sul terreno della lotta di classe (primavera di lotta 2016). Al tempo stesso ha tradotto e distorto le ragioni sociali raccolte in un programma nazionalista, con forti elementi sciovinisti (protezionismo, ambiguità sui migranti, difesa degli interessi della Francia in Europa, esibizione del tricolore al posto delle bandiere rosse), e posture interclassiste (rappresentanza del popolo di Francia, invece che dei lavoratori). Nulla di nuovo per un vecchio camaleonte della politica francese, già ministro del governo Jospin ai tempi del bombardamento di Belgrado, e già sostenitore dell'intervento dell'imperialismo francese in Mali, in Libia, in Siria. Il fatto che Mélenchon abbia potuto presentarsi come nuovo riferimento politico per milioni di lavoratori e di giovani francesi dà la misura del crollo di credibilità del PS, della crisi e paralisi del PCF, della domanda di svolta e rappresentanza a sinistra.


LE INCOGNITE DEL BALLOTTAGGIO. IL PROBLEMA DELLA GOVERNABILITÀ

Il ballottaggio Macron-Le Pen non ha un esito predeterminato.

Macron appare nettamente favorito, con la forza che gli viene dall'insieme dell'establishment, dal sostegno dei Repubblicani (nelle sue diverse componenti interne) del grosso del PS, della grande stampa, di tutto l'apparato mediatico, dell'insieme delle organizzazioni padronali. Il suo successo al primo turno può avere un ulteriore effetto di trascinamento elettorale, nel segno della novità politica. Il suo richiamo alla UE non è necessariamente penalizzante, e può persino apparire come la frontiera della stabilità e della sicurezza agli occhi di vasti settori di piccola borghesia francesi, spaventati dall'uscita dall'euro. Infine la contrapposizione al lepenismo conserva nonostante tutto un suo richiamo in vasti settori del popolo della sinistra e dello stesso elettorato gollista.

Tuttavia non siamo alla replica del 2002. Allora la contrapposizione inedita tra Chirac e Le Pen padre al ballottaggio si combinò con una vasta mobilitazione di piazza e di opinione contro Le Pen, ciò che diede a Chirac l'82% dei voti. Oggi il quadro è molto diverso. La crisi dei partiti tradizionali è ben più profonda. Il disorientamento della coscienza, anche a sinistra, è assai più vasto. Marine Le Pen lavorerà a presentarsi come il candidato antisistema contro il candidato di tutte le forze dominanti (la casta), col fine di capitalizzare il più vasto malcontento possibile, a destra e a sinistra, tra i lavoratori e nei settori impoveriti della classe media. Di certo la seminagione sciovinista di Mélenchon non ha alzato una barriera contro Le Pen tra i lavoratori. Mentre l'elettorato di Dupont Aignan confluirà su Le Pen. Le Pen probabilmente non vincerà la sfida. Ma raggiungerà prevedibilmente un risultato record per il Front National, che sarà investito nelle successive elezioni legislative.

Al tempo stesso il successo probabile di Macron, che sarà salutato a ragione con grande enfasi dal capitale finanziario francese ed europeo (l'Unione Europea è salva!), non risolverà i problemi di governabilità della borghesia francese. Macron non dispone di un proprio partito. È più facile vincere una battaglia d'immagine personalizzata attorno alla propria figura, che affermarsi alle legislative, collegio per collegio, con candidati improvvisati e senza radici. Parallelamente la crisi distruttiva del PS (col serio rischio di "pasokizzazione"), la crisi parallela dei gollisti (approfondita dalla esclusione dal ballottaggio), il rafforzamento del Front National, l'ascesa di France Insoumise, configurano in prospettiva un quadro parlamentare frammentato senza un baricentro politico. Macron dovrà dunque cercarsi una propria maggioranza parlamentare in un negoziato trasversale senza rete, e dall'esito incerto.

Inoltre un conto è presentare alle elezioni un programma padronale mascherandolo di promesse futuribili, un conto è realizzarlo. Il programma di elevamento dell'età pensionabile, di abbattimento dei sussidi sociali, di ulteriore appesantimento della legge El Khomri, è un programma di attacco al movimento operaio. Che certo ha subito un insuccesso la primavera scorsa, ma ha combattuto una battaglia prolungata che ha sedimentato nuove risorse e disponibilità di lotta. Il fronte sociale può tornare ad essere il banco di prova per un eventuale governo Macron. Come lo sarebbe a maggior ragione nel caso (improbabile) di una affermazione presidenziale di Marine Le Pen, che segnerebbe una pesante svolta reazionaria, politica e sociale, sullo sfondo di una probabile disgregazione dell'Unione Europea, con ripercussioni a cascata su scala mondiale.


LA CAMPAGNA CLASSISTA DI PHILIPPE POUTOU

La campagna elettorale francese ha visto due sole voci a sinistra sul terreno dell'indipendenza di classe: quella di Nathalie Arthaud, per conto di Lutte Ouvrière, e quella di Philippe Poutou per il NPA (Nuovo Partito Anticapitalista).

In particolare Poutou ha sviluppato una campagna di demarcazione da tutti i candidati padronali e di forte caratterizzazione classista. Una campagna che ha posto al centro le rivendicazioni del lavoro in continuità con l'esperienza centrale di lotta contro la legge El Khomri (abolizione della legge El Khomri, cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro, blocco dei licenziamenti, salario minimo intercategoriale di 1700 euro, riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore a parità di paga...). Una campagna che ha ricondotto queste rivendicazioni ad un approccio programmatico più generale di carattere anticapitalista: apertura dei libri contabili e controllo operaio, abolizione del segreto bancario, esproprio delle banche e delle aziende che licenziano, l'obiettivo di una economia democraticamente pianificata. Una campagna che ha apertamente attaccato lo sciovinismo nazionalista di Mélenchon, rivendicando la solidarietà internazionalista tra i lavoratori, e il pieno diritto di autodeterminazione per tutti i popoli colonizzati dalla Francia, a partire dall'aperto sostegno allo sciopero generale in Guyana contro lo Stato francese.

È mancata la nettezza della rivendicazione del governo dei lavoratori, come soluzione rivoluzionaria, e la rivendicazione esplicita dell'Europa socialista (Stati uniti socialisti d'Europa). Il tema è stato più volte abbordato («occorre togliere il potere dalle mani dei capitalisti e che siano i lavoratori, la classe operaia autorganizzata, a dirigere la società», «occorre una rottura internazionalista con l'Unione Europea, per una Europa basata sugli interessi dei lavoratori e dei popoli»...) ma in termini algebrici, programmaticamente non definiti, e senza dare a questo aspetto programmatico una valenza centrale nella campagna. È un limite della campagna di Poutou, in parte riconducibile alla matrice politica della propria componente di riferimento in NPA (Krivine).

Tuttavia questi limiti - non secondari - non tolgono nulla al carattere classista della candidatura Poutou e alla sua importanza politica nello scenario politico francese. Il risultato del 1,2%, quasi 400.000 voti (cui si aggiungono lo 0,6% e i 231.000 ottenuti da LO), per lo più di lavoratori e di giovani, è sicuramente un dato modesto, ma tutt'altro che disprezzabile nelle condizioni date. Raccoglie il voto cosciente di una preziosa avanguardia politica e sociale emersa nelle lotte e nei movimenti sociali.


LA CENTRALITÀ DELLA COSTRUZIONE DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO

Investire questa esperienza nella costruzione del partito rivoluzionario della classe operaia francese è una necessità decisiva.

Poutou e NPA hanno detto giustamente che prenderanno parte a tutte le mobilitazioni antilepeniste, ma fuori e contro qualsiasi fronte repubblicano a sostegno di Macron. È una posizione corretta, di difesa dell'autonomia di classe. Così come è corretta la rivendicazione del “secondo turno sociale”, della ripresa di una mobilitazione indipendente della classe, a partire dai suoi settori di avanguardia, contro i programmi antioperai e reazionari del fronte borghese.

Ma il punto strategico decisivo resta la costruzione del partito rivoluzionario.
Mélenchon cercherà di investire il proprio successo nello sviluppo di una sinistra sovranista, con possibili effetti e richiami su scala continentale, e con conseguenze potenzialmente rovinose sulla coscienza della classe operaia francese. La polarizzazione e organizzazione su basi internazionaliste e classiste, attorno a un programma marxista rivoluzionario, dell'avanguardia di classe del proletariato francese, è tanto più in questo quadro un compito storico, che guarda al di là dei confini della Francia.

È il compito che interroga, innanzitutto, le forze rivoluzionarie della nuova maggioranza relativa del NPA e tutti i marxisti rivoluzionari francesi.

Partito Comunista dei Lavoratori

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