Prima pagina
Mélenchon: "Niente bandiere rosse e niente pugni alzati"
18 Aprile 2017
Il candidato alle presidenziali Jean Luc Mélenchon, a nome della “France insoumise”, appare in ascesa nei sondaggi. Addirittura potrebbe, secondo alcune valutazioni, ambire al ballottaggio contro Marine Le Pen. Vedremo. Sicuramente le sue quotazioni elettorali sono ben superiori al voto riportato nelle presidenziali precedenti (11%) al punto da lambire quasi un raddoppio. Questa ascesa non è casuale. Capitalizza la crisi profonda del Partito Socialista e del governo Hollande nel rapporto con l'elettorato della sinistra, ed anche in forma distorta i processi di radicalizzazione della lotta di classe che si sono manifestati nella primavera francese di un anno fa.
Ma l'annunciato successo elettorale, più o meno ampio, non può mascherare la natura politica del fenomeno Mélenchon. Già ministro socialista del governo Jospin e pieno sostenitore dei bombardamenti francesi su Belgrado del 2009; già sostenitore dell'intervento in Mali e in Siria dell'imperialismo francese, Jean Luc Mélenchon è un abile camaleonte della politica nazionale. Le ragioni sociali che pubblicamente rivendica a sinistra del PS, e che gli valgono le simpatie di settori crescenti di lavoratori e di giovani, si sposano con la rassicurazione fornita ai padroni sul carattere “compatibile” del proprio programma: «Io candidato di estrema sinistra? Per nulla. Quella è rappresentata dai candidati trotskisti Poutou e Arthaud. Io non propongo la socializzazione dei mezzi di produzione... Voglio rilanciare l'economia francese con 100 miliardi di investimenti sociali e ambientali. È una posizione simile a quella del Partito Socialista, di cui facevo parte sino a qualche anno fa”. Così Mélenchon risponde all'intervistatore de La Stampa (18/4). La rottura con la UE e l'euro? «Ma no, quello è solo il piano B. Il mio piano A è la rinegoziazione dei trattati, e sono ottimista. La Francia è una grande potenza, gli alleati dovranno trattare. Ho un illustre predecessore in fatto di negoziati europei: il generale De Gaulle”. Anche l'Unione dei capitalismi e imperialismi europei non deve dunque allarmarsi oltre misura: Mélenchon vuole solo sedere al suo tavolo in rappresentanza della potenza francese, al pari del suo ultimo Bonaparte.
Peraltro gli ammiccamenti nazionalisti all'elettorato gollista e persino lepenista sono scoperti. Per esempio attraverso la rivendicazione del protezionismo. «La potenza francese ha diritto a proteggere i propri settori produttivi dalla concorrenza degli altri paesi. Protezionismo, sì, [...] non si deve far entrare qualsiasi cosa”, dichiara Mélenchon. Se questo significa colpire i lavoratori di altri paesi e scaricare sui salari degli operai francesi il costo delle prevedibili ritorsioni, in fatto di dazi e rincari sulle importazioni, nessun problema. L'importante è “fare grande la Francia”. Del resto la campagna di Mélenchon contro lo “statuto dei lavoratori distaccati” provenienti da altri paesi della UE liscia il pelo alle pulsioni del nazionalismo xenofobo. Tutto si volge insomma in direzione di un appello interclassista e politicamente trasversale, a sinistra e a destra, nel nome della Francia (capitalista).
La crescita nei sondaggi incoraggia l'aperta ambiguità di questa proiezione politica. E dà la misura delle ulteriori potenzialità trasformiste del personaggio. Se tanto mi dà tanto... cosa mai arriverebbe a dire Mélenchon se davvero arrivasse al ballottaggio con Le Pen nella corsa al voto “dei francesi”?
In attesa Jean Luc si esercita. Al comizio di ieri nella periferia nord di Parigi, mentre un coro proveniente dalla folla intonava in italiano Avanti popolo, Mélenchon ha chiesto ai propri sostenitori di ammainare le bandiere rosse, di non levare i pugni chiusi, di impugnare solo bandiere tricolori. Si può immaginare il disorientamento dei presenti.
E siamo solo all'inizio.
Il nazionalismo di “sinistra” ha sicuramente in Francia un suo degno portavoce. A quando i suoi emuli italiani?