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Venezuela: l'autogolpe, il suo significato e la sua portata
3 Aprile 2017
La Corte Suprema, dominata dal governo di Maduro, ha dichiarato esautorato il parlamento nelle mani dell'opposizione e ha assunto tutte le funzioni di questo organismo, in materia di approvazione delle leggi e di controlli amministrativi.
Questo "autogolpe" è il punto culminante di una decomposizione sempre più ampia ed evidente del regime bolivariano. Il regime plebiscitario di Chavez, che rivendicava per sé l'imponenza del voto popolare, è gradualmente diventato un regime de facto, che governa per decreto, violando la sovranità dell'Assemblea nazionale vinta dalla destra in maniera schiacciante alle ultime elezioni. Questo governo si sostiene con l'appoggio delle forze armate, nel quadro di un grande rifiuto della popolazione.
LA QUESTIONE DEL DEBITO
Il colpo di stato si verifica nel contesto di un'acutizzazione insopportabile della disorganizzazione economica. La scarsità di risorse, l’aumento incontrollabile dei prezzi, che raggiunge il 1600% annuo, la conseguente svalutazione dei salari, sta devastando gran parte della popolazione venezuelana. Nonostante la carenza di cibo e di beni di prima necessità - che sono prevalentemente importati - il governo di Maduro sta riservando la moneta per pagare il debito estero.
Il chavismo ha pagato scrupolosamente, fino ad ora, le scadenze del capitale e gli interessi ai fondi internazionali, a scapito delle crescenti difficoltà popolari: un freno alla spesa di manutenzione, agli investimenti di PDVSA (azienda statale del petrolio) e in infrastrutture statali, e in generale un freno all’import di fattori di produzione (input) - che ha portato a una paralisi progressiva della produzione e un “default” con i creditori locali. Le aziende straniere di servizi tecnologici hanno lasciato il paese. Le operazioni comuni con società estere sono congelate.
La somma del debito estero della PDVSA e dell'amministrazione statale è di circa 80 miliardi di dollari, escludendo il debito con la Cina, che è pagato con l'esportazione di petrolio grezzo e che quindi non riporta entrate in valuta estera.
Questa situazione disastrosa non è stata un ostacolo per far sì che Maduro persista in questo orientamento, che si sforza di preservare a forza di nuova austerità e svalutazioni. I 'tour' d’acquisti nelle regioni di frontiera della Colombia han dato spazio alla liberalizzazione delle importazioni in sei di questi Stati, e quindi alla liquidazione dei controlli sui prezzi di e dei prezzi massimi.
Dall'inizio dello scorso anno il governo ha lanciato un pacchetto di iniziative economiche in quello che chiama Agenda economica bolivariana". I discorsi contro la "guerra economica" servono come schermo, mentre Maduro conferisce nuove concessioni e vantaggi al capitale, che vanno di pari passo con un saccheggio delle tasche popolari. Tra le misure economiche risaltano la forte svalutazione della moneta, una maggiore apertura economica al capitale straniero in diverse aree, maggiori servizi ai settori imprenditoriali (in particolare gli esportatori), un indebitamento crescente, sussidi ai datori di lavoro per la produzione locale e la liberalizzazione dei prezzi, mentre si sviluppa un fortissimo deprezzamento dei salari attraverso l'inflazione e il congelamento dei contratti collettivi. Solo tre giorni prima dello scioglimento del parlamento, il governo ha annunciato una maggiore "flessibilità cambiaria", che non è altro che un involucro elegante per una nuova e drastica svalutazione.
Questa politica di seduzione del capitale, tuttavia, non è riuscita a invertire la disorganizzazione economica. Né la fuga di capitali o il sabotaggio padronale. Il capitale internazionale prende le distanze dal regime e preme per accelerare la soluzione della crisi politica.
LA MILITARIZZAZIONE
L’ autogolpe colloca più che mai alle forze armate come arbitro della situazione politica. La crescente militarizzazione dello Stato, anche se è una militarizzazione "bolivariana", non è progressiva ma reazionaria. Tale militarizzazione, per esempio, verrà utilizzata - con l'argomento della lotta contro la destra - per rafforzare l'irreggimentazione della classe operaia, disciplinando i suoi sindacati allo Stato, reprimendo i suoi reclami e le iniziative di lotta, che sorgeranno nei luoghi di lavoro. Storicamente, questi governi de facto hanno presieduto le transizioni tra un regime politico e sociale e un altro.
Il colpo di Stato non chiude la grave crisi politica, ma è l’episodio di un "cambio di fronte" in sviluppo. A questo, precisamente, si rivolge l'opposizione di destra, che chiama i militari a un colpo di Stato militare contro Maduro. La destra si aggrappa a questa uscita - ancor più se si considera il fallimento del suo tentativo di far prosperare il referendum revocativo, che ha portato ad una maggiore divisione nei suoi ranghi. Uno dei dati che non hanno raccolto i mezzi di comunicazione è lo scarsissimo sostegno popolare che hanno avuto le manifestazioni di piazza contro lo scioglimento del Parlamento.
Che la destra voglia contrastare l’autogolpe di Maduro con un proprio golpe basta per mostrare che gli appelli alla democrazia degli uni e degli altri non superano la pura demagogia. La destra ha una lunga storia di colpi di Stato falliti contro Chavez, così ora sa che deve fare appello a un cambiamento in un settore chiave del regime, come le forze armate, per raggiungere il suo scopo.
La reazione continentale, tra cui quella di Macri e del peronismo, che formano una coalizione dell’austerità con il governo argentino, propone dichiarare un default del Venezuela, in modo da tagliare ogni tipo di assistenza, vedendovi un modo per accelerare la soluzione della crisi. Per questo si appella alla maggiore delle ipocrisie: il golpista Temer e quelli che lo hanno sostenuto appaiono come difensori della democrazia. Maduro, attraverso il colpo di Stato, ha terminato per sputare in cielo, spianando la strada per la sua cacciata.
LA CLASSE OPERAIA E LA SINISTRA
In Venezuela c'è una crisi del potere irreversibile: una chiarificazione della situazione politica dipende da un cambio di potere. Il riconoscimento di una crisi di potere significa che il potere ufficiale del chavismo è uno spettro, la cui linea di difesa ultima non è la mobilitazione popolare - che non vuole né potrebbe realizzare - ma un colpo di Stato militare avventuroso. L'opposizione di destra, dal suo versante, già chiede un colpo di Stato militare per attuare la sua soluzione 'democratica'. È necessario spiegare questo ai lavoratori per sfruttare questo momento di crisi e le sue tappe successive per sviluppare un'alternativa socialista per la classe operaia.
La sinistra e la classe operaia devono emergere come un fattore politico indipendente nella crisi del paese, che è polarizzata politicamente dalla borghesia. Ciò che oggi ci parla dell’attualità della battaglia per la convocazione di un congresso dei lavoratori, spinto, in primo luogo, dal movimento operaio combattivo e dalla sinistra per approvare un programma e una soluzione alternativa contro la crisi nazionale. La lotta contro la carenza di prodotti –promuovendo l'istituzione di assemblee popolari che eleggano comitati di controllo e di gestione - è necessaria, al fine di evitare le speculazioni - così come il controllo operaio nei luoghi di lavoro; così come assemblee di fabbrica e sindacali che reclamino il rinnovo dei contratti e la scala mobile dei salari contro l’inflazione. Terminare con la piaga della disoccupazione e dell’esternalizzazione - che è spinta dai datori di lavoro sull'onda della crisi - proponendo l'assunzione di tutto il personale a tempo indeterminato e la distribuzione delle ore di lavoro a parità di salario. La fuga di capitali necessita della nazionalizzazione delle banche e del commercio estero, sotto il controllo diretto delle assemblee operaie - e, in primo luogo, la sospensione del pagamento del debito.
In opposizione all’autogolpe e alle soluzioni “democratiche” della destra e dei golpisti di ieri, facciamo appello alla sinistra e al movimento operaio combattivo, per discutere e promuovere la convocazione di un'assemblea costituente per un governo dei lavoratori.