Interventi

Poste Italiane: La lotta contro la privatizzazione

Le ragioni di uno sciopero e la necessità di un fronte di classe

7 Novembre 2016

Un bilancio della situazione in PosteItaliane, alcune valutazioni sulle sciopero del 4 Novembre e la necessità di generalizzare la lotta e costruire fronti di classe a partire da tutti i lavoratori dei settori colpiti da privatizzazioni e attacchi alle condizioni di lavoro.

Un altro colosso pubblico, e con esso un servizio essenziale per tutti, viene lentamente smantellato e predisposto, dapprima, a rispondere alle logiche del mercato libero per poi essere privatizzato.
Si sta parlando di PosteItaliane S.p.a.
Fin dal 1993, partendo dalla scusante della necessità di rendere più efficiente il servizio, si sono poste le basi per raggiungere la situazione odierna: risparmi sulla forza lavoro, innovazione tecnologica necessaria finanziata scaricandone i costi sui lavoratori e sulle loro condizioni contrattuali, sui carichi di lavoro.

I DATI DEL GRUPPO POSTE ITALIANE S.P.A.

Ma senza farla lunga è necessario prendere coscienza della fase attuale.
Poste Italiane S.p.a. dichiara, nel suo bilancio del 2015, di veder ridurre del 9% in un anno i volumi della sezione legata alla corrispondenza e ai servizi affini (Servizi postali e commerciali), bilanciato da un aumento del 12,4% di tutto di ciò che fa riferimento alla consegna dei pacchi, considerando anche il servizio fornito da SDA Express Curier S.p.A. e Consorzio Logistica Pacchi ScpA. A questo si contrappone la sempre maggior concentrazione del Gruppo sui settori dei Servizi Assicurativi, Finanziari e di Risparmio, che assieme garantiscono ben 26,5 miliardi di € su 30,7 mld di introiti. Il bilancio generale, al di là delle menzogne sulla crisi dell'azienda, si è chiuso con un utile generale di esercizio più che raddopiato rispetto al 2014: 552 milioni di euro contro i 212 milioni di euro del 2014.
Un altro dato fondamentale, il cui merito è soprattutto da addebitare all'enorme sforzo dei dipendenti e dei lavoratori di Poste Italiane, riguarda il raggiungimento degli obiettivi di qualità del servizio di recapito su tutti i campi di valutazione: l'89% della Posta Prioritaria e l'85% di Posta1 viene consegnata in 1 giorno; il 98% della Posta Raccomandata e il 99,5% della Posta Assicurata (in entrambi i casi l'obiettivo era del 90%) viene consegnata entro 4 giorni; l'84,6% dei formati Corriere Espresso PostaCelere viene consegnato in 1 giorno; il 95,8% dei Paccocelere entro 3 giorni e il 96,7% dei Pacchi Ordinari entro 4 giorni.

VERSO LA PRIVATIZZAZIONE

Di fronte a questo però, la direzione dell'azienda è molto chiara. Continuare a spostare il baricentro della propria attività sui servizi finanziari, bancari e assicurativi, continuando con la chiusura di uffici territoriali postali e il graduale taglio del personale operativo. In un anno sono stati chiusi 40 Uffici di Recapito e ridotto il personale di questi uffici di 1.367 unità.
In questi dati, però, non si può ancora tenere conto dell'ultimo colpo di mano della dirigenza ad un servizio pubblico essenziale che dovrebbe garantire le caratteristiche di universalità: la riorganizzazione del PCL – Poste Comunicazione e Logistica, firmata congiuntamente nell'accordo preparatorio da tutte le sigle sindacali e, successivamente, approvata in via definitiva con l'astensione della UIL, che calcola eccedenze in termini occupazionali di oltre 4.000 dipendenti, quindi futuri posti di lavoro in meno.
Questo ultimo dato, ovviamente, conferisce a quest'ultimo sindacato il merito di non essersi allineato in ultima battuta al processo voluto dalla dirigenza i cui effetti saranno, e sono già, disastrosi per i lavoratori e i loro carichi di lavoro e, ovviamente, per gli utenti.
Questo accordo infatti si incentra principalmente sulla riorganizzazione della distribuzione e delle zone dei portalettere. Le zone di titolarità di un portalettere, infatti, sono allargate in estensione e divise in A e B, per permettere la distribuzione della corrispondenza a giorni alterni, il che significa che i portalettere vengono drasticamente ridotti di numero e devono sostenere un carico di lavoro doppio, a causa della giacenza di posta ordinaria a giorni alterni, e un aumento delle raccomandate di quasi il doppio dei volumi. Una parte di questi volumi infatti verrà addossata alle cosiddette linee plus, portalettere a cui vengono affidati pacchi e oggetti con priorità delle zone "morte", e portalettere senza titolarità di zona, tendenzialmente precari (i cosiddetti CTD).
L'operazione segue la solita logica preparatoria delle privatizzazioni: taglio del personale, aumento del carico di lavoro e dello stress per il lavoratore, inevitabile difficoltà a rimanere entro l'orario di lavoro contrattualizzato considerato che, nella maggior parte dei casi, gli straordinari non vengono neppure conteggiati, quasi fossero esclusiva responsabilità del lavoratore.
In funzione di questo progetto, di conseguenza, in tutti i centri di smistamento si è lanciata una sorta di campagna di reclutamento di portalettere CTD, precari con contratti che in alcuni casi arrivano alla durata di due o tre settimane, con il solo scopo di accompagnare la riorganizzazione, fungere da cuscinetto nella fase di transizione e adeguamento al nuovo metodo di lavoro e quindi chiudere, con la fine dei loro contratti, delle posizioni lavorative che, assieme ai prepensionamenti e al mancato ricambio, permetteranno la riduzione dei livelli occupazionali nelle forme più indolori possibile.
I precari, poi, divengono sempre di più lo strumento migliore per irrigimentare i lavoratori su standard di ricattabilità perenne. Posta la norma secondo cui non è possibile fare più di 5 rinnovi contrattuali per una durata massima di 2 anni, limite oltre il quale è necessario assumere a tempo indeterminato il dipendente, si utilizzano differenti escamotages per garantirsi il ricambio di portalettere e dipendenti in precarietà costante fino alla fine di questo periodo, lasciando a casa i lavoratori che raggiungono tale limite per poi richiamarli a distanza di almeno un mese, in un altro deposito o centro di smistamento e distribuzione facento ripartire il conteggio, come se fosse una nuova assunzione. Con questa operazione, così, viene innestato sul corpo di un'azienda da sempre caratterizzata da una bassa conflittualità sindacale, proprio perchè il sindacato era, ed è, il canale principale per clientele e favoritismi verso i singoli, una nuova massa di salariati senza diritti, iperprecari, sempre sotto potenziale ricatto del mancato rinnovo se non eseguono le volontà delle dirigenze senza lamentarsi, ma sempre con gratitudine.

Nei primi sei mesi di gestione 2016, sulla base della Relazione Finanziaria Semestrale, gli uffici territoriali di PosteItaliane, per fare un esempio, sono passati da 13.048 a 12.843, con una riduzione oltre 200 uffici postali territoriali. A livello occupazionale si sono persi altri 1.686 posti di lavoro con un aumento dei precari nella composizione interna: i contratti flessibili e pracari sono aumentati da 3.927 a 4.537 in 6 mesi; i dipendenti a tempo indeterminato sono scesi da 139.730 a 137.442.

In parallelo a tutto ciò il Governo Renzi, in linea con le politiche funzionali agli interessi del capitale privato, spinge per la continuazione del processo di privatizzazione del Gruppo Poste Italiane S.p.A., che già oltre al 30% è in mano ai privati. Un'ulteriore mossa per regalare la più grande azienda italiana al profitto privato, ponendola sotto la scure del libero mercato ed esponendo al rischio di chiusura tutti quegli uffici postali presenti in zone non considerate remunerative ma che, comunque, necessitano del servizio di recapito come dei servizi finanziari offerti. La privatizzazione, come nel caso di tutte le altre aziende svendute ai privati, porrebbe sul tavolo ulteriori tagli del personale e ulteriori peggioramenti delle condizioni di lavoro e dei carichi di stress imposti ai dipendenti, con ricadute anche sulla sicurezza del lavoro, dei mezzi a disposizione e delle strumentazioni nella ovvia logica di mercato di riduzione dei costi e massimizzazione del profitto, tutto a scapito delle ragioni del lavoro e del servizio universale.
Il classico motivo per cui il Governo spinge per questa operazione, nonostante i tira e molla e i bluff dei vari ministri e sottosegretari che giocano a chi è più titubante dell'altro salvo avere chiara la volontà di privatizzare, è chiaramente la copertura del debito pubblico, un debito pubblico di oltre 2.230 miliardi di euro (in costante aumento nonostante le passate privatizzazioni) che si vorrebbe far credere possa essere arginato svendendo un pezzo fondamentale di patrimonio statale produttivo per 2 miliardi di euro in cambio del 30% della proprietà; questo dopo aver ceduto per 3 miliardi di euro la prima trance del 34,7%. Una vera e propria goccia nel mare utile solo ai profitti di chi vuole acaparrarsi un servizio universale e necessario a tutti.

LA NECESSITA' DI UNA MOBILITAZIONE GENERALE E DI CLASSE

Per questi motivi i sindacati hanno deciso di indire uno sciopero generale del comparto per il 4 Novembre. Iniziativa che ha ottenuto un ottimo risultato, raggiungendo un'adesione superiore al 70% con manifestazioni in tutte le principali città. Un dato importante per un'azienda in cui le mobilitazioni sindacali sono sempre state poche, considerato anche la particolarità storicadell'azeinda, da sempre considerata l'agenzia di collocamento nelle mani della Democrazia Cristiana, utilizzando il sindacato di maggioranza assoluta, la CISL, come sua cinghia di trasmissione per clientele e favori. Lo sciopero è stata una mossa necessaria, e sicuramente utile a porre le ragioni dei lavoratori e a preparare il campo per una battaglia centrale nelle dinamiche della lotta di classe odierna. Non può che lasciarci un pò stupiti la decisione della UIL di non aderire a questo sciopero, ma, al tempo stesso, non si può rilevare un dato di verità quando questa organizzazione denuncia la poca coerenza degli altri sindacati che, prima firmano la riorganizzazione del PCL peggiorativo per le condizioni di lavoro, tutto direzionato alla preparazione della privatizzazione, e poi dichiarano lo sciopero per le inevitabili conseguenze di quell'accordo stesso. Dall'altra parte però, proprio in virtù del corretto rifiuto di firmare quell'accordo, la UIL avrebbe dovuto sostenere le ragioni dello sciopero e rivendicare la sua maggior coerenza nelle piazze, nelle assemblee sindacali e nei tavoli di trattativa. La scelta compiuta, invece, non fa che indebolire le potenzialità di questo atto di protesta, sicuramente non sufficiente, ma necessario.

Come Partito Comunista dei Lavoratori non possiamo che essere al fianco dei lavoratori di PosteItaliane e contrari a qualsiasi processo di privatizzazione dei servizi pubblici e, per questo, siamo stati con loro nelle piazze in sostegno alla loro vertenza. Ma un partito dalla parte dei lavoratori, senza se e senza ma, come il nostro, non può che porre all'attenzione di tutti i dipendenti di PosteItaliane S.p.a. che, di fronte all'attacco frontale e generalizzato della classe padronale e del governo nei confronti degli interessi dei lavoratori e dei cittadini, la prospettiva non può essere quella di scioperi isolati e dispersi nel tempo, atomizzati rispetto a tutte le vertenze dei lavoratori che stanno vivendo gli stessi processi e gli stessi attacchi. E' veramente necessario che si superino le logiche delle lotte aziendali per costruire un fronte unico di classe e di lotta tra tutti i lavoratori delle aziende partecipate e dei servizi pubblici che, da anni, vedono la continuazione di queste politiche. Come i dipendenti di PosteItaliane, a difendersi dalle privatizzazioni, ci sono i lavoratori del trasporto pubblico, delle ferrovie, della sanità, dei servizi di igiene ambientale, della scuola, i vigili del fuoco. Solo l'unità di classe di tutti questi lavoratori, contro le privatizzazione e per la nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori di queste aziende, può invertire la rotta di questa tendenza e contrapporre all'attacco del profitto e del capitale una forza uguale e contraria in grado di bloccare le scelte dei governi della borghesia, a partire da quello di Renzi e del PD e dai governi locali, che eseguono pedissequamente le direttive del nuovo Bonaparte.

Il 4 Novembre, infatti, siamo stati in piazza con i lavoratori delle PosteItaliane per portare e diffondere questa nostra posizione, per rivendicare la necessità di una lotta generalizzata e capace realmente di porre sul piatto le ragioni dei lavoratori e delle lavoratrici.
Al tempo stesso, ricordiamo anche la necessità di battersi per la vittoria del NO al Referendum costituzionale del 4 Dicembre prossimo, per impedire al Governo Renzi una nuova spinta verso le sue politiche di smantellamento dello Stato sociale e di attacco alle condizioni dei lavoratori e dei cittadini, e quindi un nuovo slancio anche nelle privatizzazioni.

Pino Proletario

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