Teoria

Mario De Leone

5 Novembre 2016

Pubblichiamo una breve biografia politica - ad opera di Paolo Casciola - di Mario De Leone, figura esemplare del movimento operaio italiano ed internazionale, della cui morte ricorre oggi l'ottantesimo anniversario. Lo scritto è contenuto nel sito dell'Associazione Pietro Tresso, che ringraziamo per averne consentito la pubblicazione.

de leone




Noto nel movimento bordighista con gli pseudonimi di «Tito» e «Topo», Mario De Leone (1) nacque a Napoli il 2 luglio 1889 da Tommaso De Leone e Giovanna Prodomo. Conseguito il diploma di ragioniere, lavorò presso la Società napoletana del gas e, negli anni giovanili, si dedicò alla letteratura: pubblicò tre volumi di componimenti poetici In sordina. Poesie (1913), Sonorità. Liriche (1916) e Le dolci stagioni. Purezze (1917), alcune sue poesie furono ospitate da vari periodici, tra cui Lacerba, importante rivista d’avanguardia, e una sua breve pièce apparve nella primavera del 1916 sulle pagine di Teatro Futurista Sintetico. Il suo abbandono della vocazione letteraria procedette di pari passo, alla fine di un decennio pesantemente segnato dalla carneficina della Prima Guerra mondiale, con l’adesione al Partito Socialista Italiano (PSI) e, all’interno di esso, alla tendenza intransigente e rivoluzionaria che aveva, come massimo esponente, il suo coetaneo Amadeo Bordiga.



Così, a partire dagli inizi del 1919, De Leone avviò la sua collaborazione al giornale che di quella tendenza era l’espressione, Il Soviet di Napoli, ed entrò a far parte della Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro napoletana, tenendo nel luglio di quell’anno un comizio nel quadro dello sciopero generale internazionale a favore della Russia sovietica. Durante il biennio 1919-20 partecipò al lavoro della Frazione comunista astensionista del PSI, che incominciò a prendere forma nell’estate del 1919, contribuendo poi a far spostare la maggior parte dei socialisti napoletani sulle posizioni comuniste. E nel gennaio 1921, al momento della scissione del PSI che determinò la fondazione del Partito Comunista d’Italia (PCd’I), egli aderì alla nuova organizzazione.

Un anno dopo, al II Congresso provinciale del PCd’I napoletano svoltosi sotto la guida di Bordiga, De Leone risultò eletto nel Comitato provinciale e nell’Esecutivo napoletano. Poi, nel marzo 1922, lasciò l’Italia per motivi di lavoro e si recò inizialmente a Vienna e poi a Berlino, dove ottenne dall’ambasciata sovietica il visto di ingresso per la Russia. Giunto a Mosca nel maggio di quell’anno, si stabilì in un sobborgo della città dove, nel giugno 1922, diresse una cooperativa agricola e di consumo. Iscritto «automaticamente» al Partito bolscevico, a partire dal 1923 fu membro della Sezione italiana del Club internazionale degli emigrati che, nel giugno 1925, difese il Comitato d’Intesa che era stato creato dall’ala sinistra del PCd’I per combattere le posizioni della tendenza «centrista-burocratica» capeggiata da Antonio Gramsci.

De Leone visse nella Russia sovietica per oltre sette anni, fino al novembre 1929, eccetto la breve parentesi del suo rientro a Napoli tra gli inizi di settembre e la fine di ottobre 1925. Nulla si conosce dell’attività politica che svolse a Mosca durante quasi tutto il biennio 1926-27. Sempre iscritto al partito russo, fece sicuramente parte del gruppo bordighista italiano guidato a Mosca da Virgilio Verdaro e da Ersilio Ambrogi, e nel novembre 1927 partecipò alle celebrazioni del decimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre. La sua delusione per la piega assunta dagli eventi nell’URSS con la progressiva burocratizzazione del partito e del regime sovietico, e con l’avvio della campagna repressiva contro gli oppositori di Stalin, in primo luogo dei trotskisti, non lo fece desistere dall’impegno politico.

Eletto segretario del Comitato Direttivo della Sezione italiana del Club degli emigrati, nelle discussioni che vi si svolsero nel maggio 1929, in un’atmosfera sempre più avvelenata, egli assunse, come gli altri dissidenti di sinistra, una posizione di assoluta passività, di mutismo e di rifiuto di partecipare alle votazioni. Nonostante il fatto che le dimissioni presentate de De Leone in segno di protesta contro una nota di biasimo presentata dalla maggioranza della Sezione italiana nei suoi confronti fossero state respinte, era però evidente che la sinistra italiana, accusata di solidarizzare con l’opposizione trotskista, era ormai nel mirino delle autorità staliniane. In quello stesso periodo, infatti, Verdaro, Ambrogi e Arnaldo Silva vennero espulsi dal partito russo.
Il faticoso ottenimento dall’ambasciata italiana a Mosca del rinnovo del suo passaporto - nel frattempo il Comitato Direttivo della Sezione italiana era stato sciolto d’autorità dagli stalinisti russi - permise a De Leone di raggiungere la Svizzera nel novembre 1929, insieme alla moglie Giuseppina Minieri e ai suoi due figli, Ovidio e Wanda. Segnalato a Lucerna, a Basilea e a Ginevra, egli non fu inizialmente vigilato dalle spie fasciste, che avevano perso le sue tracce. Ma il suo nome figurava già da qualche tempo sul Bollettino delle Ricerche quando, il 4 gennaio 1930, le autorità di Ginevra confermarono alle autorità italiane che De Leone risiedeva in quella città. Considerato pericoloso dal regime fascista, e per questo continuamente controllato dalle spie, nel marzo 1931 egli si trasferì con la famiglia ad Annemasse, in Francia, dove in aprile acquistò un negozio di drogheria nel piccolo comune di Ambilly e stabilì un contatto diretto con la Federazione di Lione della Frazione di Sinistra del PCd’I, seguendone da lontano la politica attraverso la lettura del suo organo Prometeo, «periodico bimensile» (quindicinale) che dal giugno 1928 veniva pubblicato a Bruxelles.

Verso la fine del 1932 De Leone fece visita al suo vecchio amico Berardino Fienga, un medico comunista napoletano che alcuni anni dopo, in Spagna, avrebbe lavorato per i servizi sanitari del Partido Obrero de Unificación Marxista (POUM). I due uomini acquistarono una piccola fabbrica di dolciumi ad Ambilly, trasferendo poi l’attività a Marsiglia. Ma l’impresa non ebbe successo e, nel settembre 1933, la fabbrica venne loro pignorata. Il 1934 riservò a De Leone un altro duro colpo: la moglie morì in una clinica di Tolosa e lui, che viveva facendo il rappresentante di commercio, fu costretto a mandare i propri figli a Napoli, affidandoli alla cognata. Rimasto solo a Marsiglia, iniziò allora a frequentare con maggiore assiduità le riunioni della Federazione marsigliese dell’organizzazione bordighista, che nel luglio 1935 aveva adottato il nuovo nome di Frazione italiana della Sinistra comunista.

Dopo le giornate di luglio a Barcellona e l’inizio della guerra civile spagnola, gran parte delle discussioni politiche in seno alla Frazione furono consacrate a quegli avvenimenti. La maggioranza dell’organizzazione, capeggiata da Ottorino Perrone e da Verdaro, riteneva che, in mancanza di una vera conquista del potere statale da parte del proletariato - ritenuta impossibile, vista l’assenza di un partito realmente marxista rivoluzionario e la forte influenza dell’anarchismo - in Spagna fosse in atto uno scontro tra due frazioni borghesi: una di destra, monarchica e fascista, e l’altra «di sinistra», repubblicana e democratica. Non era dunque possibile alcuna scelta di campo, visto che, anche nel caso di una vittoria militare delle forze fedeli al governo borghese-antifascista del Fronte Popolare, la borghesia «di sinistra», alleata alla socialdemocrazia, allo stalinismo e agli anarchici, avrebbe anch’essa cercato di disarmare e di annientare i lavoratori e i loro organismo di lotta. Tuttavia, di fronte all’estendersi e all’approfondirsi della guerra civile, l’ipotesi di inviare in Spagna una delegazione della Frazione al solo scopo di additare la giusta via ai militanti e ai combattenti proletari appariva ad una parte dei membri della Frazione come un intervento del tutto passivo, mentre maturava in loro la convinzione che occorresse invece intervenire più attivamente, anche sul piano militare.

Nei primi giorni di agosto 1936 la Commissione Esecutiva bordighista, pur ribadendo il carattere borghese del Fronte Popolare e la mancanza di un partito rivoluzionario (e dunque l’assenza di una situazione veramente rivoluzionaria), decise di inviare a Barcellona una sua delegazione per incontrare i militanti più orientati a sinistra e per contribuire alla creazione di un partito autenticamente comunista. Una parte dei dirigenti e dei militanti respinse però l’analisi della maggioranza evidenziando i primi sintomi di una divergenza insanabile; e anche De Leone si schierò con le posizioni dei minoritari, che soltanto nella Federazione di Parigi godevano di una pur debole maggioranza guidata da Piero Corradi. Il dibattito interno venne reso pubblico sul giornale della Frazione bordighista.
Così, in un suo importante articolo apparso sul numero di Prometeo dell’11 ottobre 1936, «Tito» (De Leone) spiegò che la lotta in corso in Spagna, «pur restando formalmente inserita nel quadro di una competizione fra gruppi borghesi», diventava però «il propulsore di una vera guerra sociale», visto che «in pochi giorni il controllo delle operazioni militari passa nelle mani della milizia operaia», che esercitava un governo de facto, mentre «il governo legale è un guscio vuoto». Il Fronte Popolare aveva armato il proletariato come «estremo mezzo» per difendersi dall’attacco della reazione, ma «lo stato di dissoluzione della economia borghese esclude ogni possibilità di riassetto» e apre la possibilità di un futuro e risolutivo «intervento autonomo del proletariato». Mentre una vittoria dei militari fascisti comporterebbe una disfatta della democrazia borghese ma anche «la vittoria clamorosa e senza mercé sulla classe operaia», che «sarebbe inchiodata alla croce della sua sconfitta» come in Italia e in Germania, una vittoria del governo legittimo «creerebbe spostamenti di grande importanza nella situazione internazionale, ridando coscienza e baldanza al proletariato nei vari paesi», e in primo luogo alle masse spagnole in armi. De Leone concludeva l’articolo con un attacco alla posizione di equidistanza propugnata dalla maggioranza dell’organizzazione bordighista: «Il nostro astensionismo nella questione spagnola significa la liquidazione della nostra frazione, una specie di suicidio per indigestione di formule dottrinarie.»
I primi esponenti della Frazione a recarsi in Spagna furono Enrico Russo e Bruno Zecchini, seguiti poi da altri militanti e simpatizzanti tra cui Gildo Belfiore, Mario Bramati, Enrico Cesarin, Francesco Fortini, Emilio Lionello, Constante Mengoni, Renato Pace e Salvatore Velotto. Giunti a Barcellona, essi crearono la Federazione barcellonese della Frazione e, dopo un primo contatto con le milizie anarchiche alla caserma di Pedralbes, gran parte di loro si arruolò nella Columna Internacional Lenin del POUM - la prima unità militare formata da volontari stranieri che combatté nella guerra civile spagnola - della quale Russo fu nominato comandante. Intanto anche De Leone, in base ad una proposta della Federazione di Marsiglia accettata dalla Commissione Esecutiva della Frazione, fu inviato in Spagna in veste di «osservatore», allo scopo di ottenere informazioni dirette sugli avvenimenti e di orientare la Federazione di Barcellona onde evitare «colpi di testa arbitrari e pericolosi».

Egli partì il 17 agosto e giunse a Barcellona il 19. Nel primo mese della sua permanenza, De Leone inviò alla Frazione diversi lunghi rapporti sulla situazione spagnola. Nello stesso periodo la maggioranza della Frazione stabilì di non concedere più, sul giornale, alcuno spazio alla minoranza e, alcuni giorni dopo, decise di inviare in Spagna una propria delegazione, rinviò il riconoscimento della Federazione di Barcellona in attesa di conoscere le posizioni politiche su cui essa si basava ed esortò i suoi membri a «rompere ogni intesa con il POUM» e a «sciogliere la colonna», che veniva considerata parte di un esercito borghese, per dedicarsi invece ad un lavoro politico tra i proletari. De Leone riteneva invece che l’arruolamento nella Columna Internacional Lenin fosse dettato dalla valutazione che quella fosse la formazione militare «più affine politicamente» alle posizioni della Frazione, pur chiarendo che «l’adesione alle milizie [del POUM] non comporta l’adesione politica».

La delegazione inviata in Spagna dalla direzione della Frazione per tentare di ricomporre la frattura con la minoranza e di riorientare la politica del POUM giunse a Barcellona agli inizi di settembre, quando la colonna comandata da Russo stava già combattendo sul fronte di Huesca. L’incontro dei tre delegati maggioritari con De Leone furono per loro infruttuosi: egli giudicò «dispotico» il modo di agire della maggioranza e respinse il diktat della Commissione Esecutiva della Frazione, opponendosi alla prospettiva di una rottura con il POUM e dello scioglimento della Columna Internacional Lenin, negò alla maggioranza la facoltà di non riconoscere la Federazione di Barcellona e pose una secca alternativa: o ammettere la Federazione nell’organizzazione, o espellere tutti i suoi membri. Fu probabilmente per evitare una scissione definitiva che la maggioranza decise di riaprire le pagine di Prometeo alla minoranza.

In una lettera inviata alla direzione della Frazione il 26 settembre 1936, De Leone sottolineò come le giornate di luglio avessero portato alla distruzione della Chiesa, dell’esercito, del latifondo e della media proprietà terriera, alla confisca e alla collettivizzazione dell’industria e del grande commercio, all’armamento delle organizzazioni operaie: «Gli operai si sono armati contro la volontà del governo; essi hanno agito ed anche oggi agiscono su un terreno di classe, specie in Catalogna; il fronte militare non è costituito da un esercito borghese, ma da milizie operaie autonome.» Ma proprio nel giorno stesso in cui egli scriveva queste righe, la Confederación Nacional del Trabajo (CNT) e il POUM entrarono nel governo della Generalitat catalana, che ben presto decretò lo scioglimento del Comité Central de Milicias Antifascistas e annunciò la militarizzazione delle milizie e la loro sottomissione ad un comando e ad una disciplina centralizzati.
Le posizioni politiche di De Leone e dei suoi compagni rimasero comunque sostanzialmente antitetiche rispetto a quella della delegazione maggioritaria, e lui stesso ebbe occasione di ribadirle più volte in occasione del viaggio di due settimane in Francia effettuato tra la fine di settembre e i primi giorni di ottobre insieme a Turiddu Candoli, uno dei tre delegati della maggioranza.

Il «Comitato di coordinazione» creato a Parigi il 28 settembre 1936 dalla minoranza della Frazione esacerbò ulteriormente le divergenze. In un comunicato che venne successivamente pubblicato su Prometeo, esso negò qualsiasi solidarietà e responsabilità con le posizioni e le azioni della maggioranza, e dichiarò a chiare lettere che esistevano ormai le condizioni per una rottura definitiva. Ma la prospettiva della scissione, senza la partecipazione alla discussione dei militanti impegnati sul fronte d’Aragona, veniva rinviata ad un prossimo congresso, e la minoranza accettava di rimanere nell’organizzazione «a condizione che sia data libera espressione al pensiero della minoranza sia sulla stampa che nelle riunioni pubbliche». Il Comitato autorizzava peraltro i compagni della minoranza «a combattere le posizioni della maggioranza ed a non diffondere la stampa ed ogni altro documento basato sulle posizioni ufficiali della Frazione», decidendo infine di inviare in Spagna un suo delegato. E il delegato in questione fu proprio De Leone, che l’8 ottobre rientrò a Barcellona, dove venne ospitato dal POUM all’Hotel Falcón.

Il 12 ottobre 1936, mentre la Columna Internacional Lenin si apprestava a ripartire per il fronte sotto il comando di Russo che era stato autorizzato dal gruppo, in considerazione del suo incarico militare di alta responsabilità dopo un breve periodo di riposo a Barcellona, i miliziani bordighisti (Belfiore, Bramati, Lionello, Pace e Zecchini) decisero di abbandonarla in segno di protesta contro il decreto di militarizzazione, che avrebbe limitato la loro azione politica azione che doveva ormai spostarsi dal terreno militare a quello strettamente politico-sociale. Il giorno dopo De Leone criticò la loro decisione «affrettata» e, anticipando le critiche della maggioranza, sostenne che comunque «il ritiro dei compagni non significa affatto il ripudio della posizione iniziale di intervento al fronte militare», tanto più che tre dei dimissionari «sarebbero anche oggi disposti a ritornare al fronte». Quanto al mancato riconoscimento della Federazione di Barcellona da parte della Commissione Esecutiva della Frazione, De Leone scrisse a Piero Corradi il 17 ottobre affermando che l’alternativa poteva essere soltanto una scissione. Questa fu la posizione che venne adottata alcuni giorni dopo dal gruppo bordighista di Barcellona.

Per rilanciare il loro intervento politico, i membri della Federazione barcellonese approvarono successivamente, il 25 ottobre, un «Progetto per la costituzione di gruppi operai di azione rivoluzionaria» che non ebbe seguito. Il 1 novembre, dalle pagine di Prometeo, la Commissione Esecutiva riconobbe infine il gruppo di Barcellona, in attesa di discutere in un futuro congresso della Frazione le varie questioni poste dagli avvenimenti spagnoli. Quattro giorni dopo, il 5 novembre 1936, De Leone morì a causa di un infarto cardiaco, nonostante l’assistenza prestatagli dal dottor Fienga, nella Pension Parisien dove entrambi allora risiedevano, situata in Plaza del Teatro 2-4, di fronte all’Hotel Falcón, e diventata, secondo una testimonianza di Virginia Gervasini, «una parte della sede del POUM».

I suoi funerali furono annunciati il 7 novembre dall’organo centrale del POUM La Batalla: «Oggi, alle quattro del pomeriggio, avrà luogo il funerale del compagno De Leone (…). Il corteo [funebre] uscirà dalla sede del POUM, in Plaza del Teatro, dove la salma resterà esposta per tutta la mattina. Invitiamo le organizzazioni operaie e specialmente le sezioni straniere a rendere un ultimo omaggio al compagno De Leone.» Sulla sua tomba, nel cimitero di Barcellona, Fienga fece collocare una lapide in cui ricordava il «dolce poeta quanto tenace lottatore». La Batalla pubblicò poi, nel suo numero dell’11 novembre, un toccante ricordo di De Leone scritto dai suoi compagni del gruppo bordighista di Barcellona. Riproducendone il testo sulla prima pagina del Prometeo del 22 novembre, anche la maggioranza della Frazione consacrò alla sua memoria un breve articolo. La rottura definitiva tra la Frazione e la minoranza di cui De Leone era stato un membro di spicco ebbe luogo qualche settimana dopo, in dicembre, allorché la Commissione Esecutiva decise di espellere «per indegnità politica» i militanti che avevano aderito alle posizioni del «Comitato di coordinazione» e che in esse ancora si riconoscevano.

Firenze, dicembre 2014

Paolo Casciola






Note




(1) Nella stesura della presente nota biografica abbiamo largamente utilizzato l’unico lavoro di ampio respiro esistente su di lui: Fausto Bucci-Rossano Quiriconi (con la collaborazione di Claudio Carboncini), La vittoria di Franco è la disfatta del proletariato… Mario De Leone e la rivoluzione spagnola, La Ginestra/Comitato pro exIlva, Follonica 1997.




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