Dalle sezioni del PCL
Per una prospettiva di rivoluzione sociale
Contro le pose "rivoluzionarie" dei partiti borghesi
21 Luglio 2016
Noi parliamo di una rivoluzione socialista, di una rivoluzione anticapitalista. Altre sigle o partiti, che usano questo termine, lo usano in termini trasformistici, evocativi, astratti. Berlusconi con la rivoluzione liberale, la Lega con la rivoluzione padania, Grillo con la rivoluzione gentile o del web.
Abbiamo partiti di governo che hanno governato contro i lavoratori, contro i loro diritti, hanno governato soprattutto per anni e decenni e per cercare di recuperare consenso o di preservare consenso, rispetto anche alla delusione di larga parte del loro elettorato di riferimento, hanno evocato termini “rivoluzionari”. Questo fa parte del marketing della politica. Noi parliamo di una prospettiva di rivoluzione sociale nei termini programmatici che questo riferimento contiene, in altri termini noi partiamo da una constatazione che ci pare di massima evidenza: il fallimento storico del capitalismo, il fallimento della grande leggenda che fu promossa a pieni polmoni dopo il crollo del muro di Berlino secondo cui il capitalismo avrebbe rappresentato l'unico mondo possibile, il migliore dei mondi possibili. Si disse che per le giovani generazioni si sarebbe aperto un grande futuro di benessere di prosperità. Si disse che l'Unione europea, in particolare, avrebbe rappresentato la culla del progresso sociale di un compromesso sociale positivo tra lavoratori e capitali. Si disse in Italia, tanto per stare all’attualità, che la seconda repubblica, nata dalle ceneri della prima repubblica, avrebbe restituito moralità alla politica e benessere alle giovani generazioni, grazie al maggioritario e alle iniezioni del mercato delle cosiddette riforme liberali. P
ossiamo sostenere che sono passati anni e che non è rimasta una pietra di questa grande narrazione, di questa grande predicazione ideologica. Costatiamo, invece, anni di catastrofe sociale, arricchimento a dismisura del capitale finanziario da un lato e miseria sociale progressiva sempre più larga delle classi subalterne, a partire dalla giovane generazione dall’altro. Da qui noi partiamo per dire bisogna mettere in discussione un sistema economico sociale che non ha più niente da offrire storicamente, chiunque governi, centrodestra-centrosinistra, governi tecnici. Che, in definitiva, gestisce in tutta Europa le stesse politiche di fondo: attacco alla contrattazione dei diritti contrattuali dei lavoratori da un lato, attacco allo stato sociale dall'altro per pagare il debito pubblico alle banche. Questa è la realtà. Noi pensiamo che vada messo in discussione, nei suoi fondamenti, un sistema sociale che non ha più niente da dare ma solo da togliere alla maggioranza della società.