Interventi

Perché ci pagano in voucher?

Il lavoro che resta non-retribuito sostituendo al salario i "buoni-lavoro"

3 Giugno 2016
voucher

Nella sua riforma del diritto del lavoro, per gli amici degli hashtag #JobsAct, la Renzi S.p.a. parla dell’introduzione dei “buoni lavoro Inps” in luogo dei regolari salari per le prestazioni lavorative. Buoni lavoro altrimenti detti voucher.


Sono già una realtà diffusissima.


I padroni (o, se preferiamo la luce caritatevole ed antipessimista sotto la quale li pone il renzismo, i “datori di lavoro”) assumono lavoratori che sempre più spesso retribuiscono in voucher.


Il voucher è un tagliando corrispondente a 10 euro di valore, da esibire presso un ufficio postale o un tabaccaio autorizzato, dove viene cambiato con soldi veri.


Ora: a parte l’enorme seccatura di dovere, ogniqualvolta hai da scendere per la spesa, fare il giro di Peppe per passare prima dalle poste, stare in coda, poi tirare fuori ‘sti accidentiallanimaloro di scontrini, farteli cambiare con quattrini in carta e bronzo, e poi esser libero, forse, d’entrare al supermercato e comprarti due pomodori, ti domandi: ma perché?


Qual è l’utilità d’una cosa del genere? Il ritorno pratico sull’economia nazionale di una modalità di pagamento così (dal momento che, non scordiamolo: il Jobs Act assolve all’eroica impresa di “rilanciare l’economia”)


Gli intenti di altri punti del Jobs Act sono ultrachiari. E questo?


Esasperare le vite dei lavoratori per capriccio? Abituarci sempre meno al profumo dei soldi? Sadismo gratuito? Cos’è?


La risposta ce l’hai quando pigli i tuoi voucher e vai a cambiarli.


Perché è a quel punto che scompare l’inchiostro simpatico: questi piccoli bigliettini che ti si rifilano a mo’ di pagherò, hanno un valore lordo di 10 euro. Quando li cambi l’introito netto che ti vedi in mano è di 7,50. I rimanenti 2,50 sono andati all’assicurazione Inps e Inail (Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro).


E già qua stai bestemmiando in tutte le lingue che non conosci.


Ma ancora, fin quando si parla di Inps e di Inail, ...sarebbero tutele per te.


Dalla regia ti si racconta che, così facendo, è già una soluzione per ricominciare a versare dei contributi di modo da avere (ma che pensiero gentile!) una pensione (la quale resta a 66 anni e sette mesi, e sempre con vent’anni di anzianità contributiva!


Salvo modifiche: si dice che dal 2019 la pensiona verrà ritardata di altri cinque mesi, ma con ciò non c’entrano crisi: la – geniale – spiegazione è che in Italia, la vita media si è allungata. E non possiamo andare in contro a un collasso del sistema pensionistico) e delle assicurazioni.


Ma, capitano mio capitano, come s’è fatto, finora, a lavorare e ad andare in pensione senza Jobs Act e voucher, pur mantenendo salari assai più alti che ora, e così pensioni e assicurazioni?


E capitano mio capitano risponde: “Ma prima non c’era la crisi e la bancarotta dei borghesi; non avevamo debito pubblico e non dovevamo onorare patti di stabilità e pareggi in bilancio.”


Oooh! ...Ma allora, capitano mio capitano, significa che, se queste nuove modalità di lavoro e pagamento servono a pagare la bancarotta dei borghesi, si stanno succhiando soldi dal mio lavoro per salvare i borghesi dal fallimento?


E capitano mio capitano risponde: “Bravo”.




Se un tale di Treviri l’aveva a morte con l’alienazione salariale, in quanto riteneva che in essa si annidasse la congenita truffa del plusvalore, indoviniamo cosa può annidarsi nel voucher che è la forma due volte alienata della produzione del valore effettivo; salario di salario; soldo che significa soldo. Che, nel sistema salariato, significa sussistenza base per riprodurre la forza-lavoro: mangiare giusto quel che serve per tenere in vita le forze che servono, l’indomani, a tornare al lavoro e ad erogare altro lavoro gratis per il padrone. Che, in questo modo, sotto forma di lavoro attiva, si vede tornare indietro ciò che ti ha dato in salario esclusivamente nella misura per riattivarla.


Bene, nel salario tramite voucher aumenta esponenzialmente l’estorsione del plusvalore.


E tutto fa immaginare come aumenterà sempre di più.


Un voucher, come detto, equivale a 10 euro lordi. Ma ...se io ho erogato lavoro corrispondente al valore di 15 euro? Come la mettiamo?


O mi dai 20 euro, ed arrotondi per eccesso, oppure ti tieni ai 10, ed arrotondi per difetto.


Di modo da avere da me comunque l’erogazione di lavoro e la produzione di valore pari alla cifra di 20 euro, ma retribuirmene solo la metà.


Ma la questione si fa vieppiù spinosa se si ricorda quando, durante il preconio del Jobs Act, Matteo Renzi aveva detto che la sua riforma avrebbe, tra le altre cose, messo a punto anche e finalmente l’introduzione di un salario minimo per i lavoratori dipendenti (l’Italia è tra i pochi paesi europei che non ha un salario minimo fissato per legge e tutto è rimandato, da capo, alla libera contrattazione tra le parti) e alla definizione di quest’ultimo intorno ai 7 euro.


Quel che, stando alle statistiche e al calcolo sommario del Pil in Italia, è già da potersi considerare la somma intorno alla quale si aggira il salario minimo.


Senza tutele e paletti giuridici, costantemente esposto alla furia barbarica delle razzie padronali, ma insomma: quello è.




Ora, se la matematica non è un’opinione, con 7 euro e qualcosa in più all’ora, due ore di lavoro sono esattamente quei 14/15 euro inesprimibili dai voucher.


E così i 24, i 37… Eccetera eccetera.




Magra figura per un governo che strombazzava, per leopolde e sindacati, di voler istituire il salario minimo di 7 euro in Italia, in tempi in cui i lavoratori sono sempre più a rischio e abbandonati alla tirannica mercé dei padroni, incattiviti dalla crisi ancor più di quanto non siano incattiviti dall’ordinaria concorrenza e dalla sete di profitto di per sé.


E così, al di là del fatto che la discussione sul reddito minimo è stata la prima a venire espunta dalla riforma del lavoro di capitan Rentier (e qui può dare la colpa alla minoranza, alla ruota della bici bucata dai gufi proprio il giorno che andava a mettere la firma, o giocarsi il sempreverde “non ora, ma presto!”), il problema vero, non per il Paese ma per la credibilità della sua leadership - che è tutto ciò cui deve dedicarsi per far passare smantellamenti integrali di diritti come il rimettersi a passo coi tempi per riportare l’Italia a un secondo miracolo economico - era questo: hai detto che ti saresti battuto per il salario minimo, e mi fai una riforma del lavoro con la quale guadagno meno di prima?


Ma ecco come si rattoppa il volpone: i voucher (riconoscendoli, effettivamente, come un salario di merda) serviranno soltanto a retribuire lavori accessori. Impiegucci secondari. Quelle cosette che fai giusto per arrotondare. Ma che non sono il lavoro principale della tua vita perché, è sottinteso, se fosse quello, sarebbe ben ignobile sottopagartelo coi voucher.




Verrebbe da tirarlo per un’orecchia e gridargli: “Ma se c’è tanto lavoro che possiamo permettercene due, che parli a fare di crisi e disoccupazione in rimedio delle quali ci hai rotto l’anima due anni con ‘sta riforma?”


Ma c’è di più. Assolutamente sottinteso, ovvio, implicito e che non serve manco dire. Cioè che coi voucher non si paga assolutamente il secondo lavoro. E non si impone nessuna condizione né a padrone né a dipendente di dimostrare che il lavoro pagato a voucher sia un secondo lavoro. Con i voucher, in Italia, si sta pagando il primo, unico, e già è culo se hai quello, lavoro della tua vita, altro che lavoro accessorio!



È lavoro punto, ma pagato come lavoretto. Come “job”.



Ecco l’utilità del voucher. Ecco perché creare un soldo che rappresenta soldi.


Perché rappresenta una quantità determinata di soldi.


E non può rappresentare sfumature e mezze cifre che sconfinino, o in là o in qua, questa determinata quantità.


La magnanimità dei padroni ad arrotondare per eccesso e darti anche quel che non hai fatto, è un fatto noto dai tempi dei tempi.


E così tutto tenderà al ribasso. Sempre più al ribasso.


Anche quest’altro accorgimento serve a Renzi a tenere in piedi, con tutte le forze e i modi che riesce a trovare, la borghesia come classe e ciò che la rende tale: il profitto.


Prosciugando dall’altra parte. Dalla parte dei poveracci che sono veramente quelli che lavorano, che producono ricchezza e che, se potessero viverne direttamente usufruendone, tutto quello che è versato ai padroni come gabella feudale sarebbe ridistribuito tra loro, e sarebbe un’altra storia. Un’altra fase dell’umanità.


Quando diciamo che “o si sta con i padroni o si sta con gli sfruttati”, o da quella o da questa parte della barricata e che in mezzo non si può stare, non intendiamo fare del machismo oltranzista, i barricadieri duri e puri.




Il marxismo non è un’estetica, una retorica. E chi l’ha preso così, negli anni, è cambiato. E l’abbiamo visto.
Capire il marxismo significa capire il suo statuto scientifico. L’analisi di una società, quella capitalistica, dove la dinamica di fondo che viene alimentata è quella di succhiare soldi dai (sempre più numerosi) poveri produttori per cumularli nelle mani dei (sempre più pochi) ricchi proprietari.

E capire come questo avviene attraverso l’estorsione di plusvalore.


Sempre e sotto qualunque governo ci si trovi, di destra, destra estrema o centrodestra, centrosinistra o regimi sedicenti comunisti, e che l’unica scelta politica, di classe e soggettiva che può invertire la rotta è quella d’una politica che scelga la parte di chi produce, non la parte di chi parassita ed espropria.


Specie quando si parla di lavoro (quel che, per Marx, differenzia l’uomo dalle altre specie; il modo in cui provvediamo a procurarci i mezzi di sostentamento e lo specifico delle varie organizzazioni sociali; ciò che rende diversa un’epoca da un’altra e l’elemento basilare in virtù del quale è possibile una Storia) bisogna sempre aguzzare la vista e capire a vantaggio di quale delle due parti un provvedimento politico vada.


E (anche) con i voucher del Jobs Act, la risposta è trasparente quanto l’impostura dei suoi promulgatori, i paladini alla difesa del santo sepolcro dell’economia. E chi lo mette in dubbio?




L’economia borghese, la sta difendendo alla grande.

Salvo Lo Galbo

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