Dalle sezioni del PCL

La vittoria di Don Rodrigo

Come i sindacati confederali hanno piegato ai loro interessi gli interessi dei lavoratori

11 Ottobre 2007

Al pari dei personaggi del famoso romanzo manzoniano i sindacati confederali, CGIL in testa, ci hanno raccontato di aver ottenuto il consenso degli italiani sull’accordo del 23 luglio 2007 tra loro ed il Governo. È vero essi hanno vinto, essi hanno ottenuto un consenso pressoché plebiscitario su un documento che influenzerà pesantemente il futuro di milioni di italiani (in negativo dico io) e di qualche migliaio di industriali, banchieri e speculatori (in positivo dico sempre io).
Analizzando l’andamento delle votazioni, dalla costituzione alla gestione delle assemblee fino al voto finale, il tutto però ricorda molto le “vittorie” che Don Rodrigo otteneva su tutti i malcapitati che si trovassero ad intralciare il suo cammino.
Certo Don Rodrigo otteneva le sue vittorie con la paura e l’intimidazione che i suoi “bravi” incutevano tra la povera gente (erano altri tempi). Cgil Cisl Uil hanno ottenuto lo stesso risultato distribuendo i loro “bravi “ assemblea per assemblea, fabbrica per fabbrica facendo ben attenzione che il messaggio unilaterale arrivasse forte e chiaro e eliminando ogni minima forma di dissenso, se non auto organizzata sul luogo di lavoro da singoli ed isolati lavoratori.
Hanno ucciso ogni minima forma di democrazia, e quindi di discussione vera nelle assemblee impedendo che le ragioni del no fossero esplicitate, così come Don Rodrigo al fine di raggiungere i suoi scopi non esitava di utilizzare ogni mezzo per affermare la propria volontà.
La democrazia avrebbe voluto che i sindacati prima dell’ accordo consultassero i lavoratori per un eventuale mandato, ma non è stato fatto.
La democrazia avrebbe voluto che, essendo comunque alto il dissenso all’interno di molte categorie, anche le ragioni del no fossero presentate, ma codardamente e antidemocraticamente i Don Rodrigo dei lavoratori, per paura del confronto, si sono nascosti dietro le norme statutarie impedendo di fatto la oggettiva informazione.
I nostri Don Rodrigo hanno preferito evitare il confronto e come dei buoni piazzisti hanno girato le fabbriche con i loro “bravi” che vendevano un prodotto scaduto e maleodorante a migliaia di lavoratori.
Che male avrebbe fatto alla democrazia sindacale, all’informazione oggettiva, se al fianco di un “bravo” ci fosse stato anche un “cattivo” sostenitore della bocciatura dell’accordo?
Hanno promosso un referendum un po’ come in quella pubblicità di telefonia il cui slogan recita “TI PIACE VINCERE FACILE?”, hanno partecipato ad una gara dove sapevano di arrivare primi, anche perché erano gli unici partecipanti.
Hanno promosso dei dibattiti praticamente privi di dibattito, hanno negato l’utilizzo di ogni strumento per sponsorizzare il no, anche minimo. Ad esempio hanno vietato ad aree programmatiche della CGIL, (Rete 28 aprile), di ciclostilare i volantini del no nelle camere del lavoro, proprio come Don Rodrigo avrebbe fatto se fosse vissuto ai tempi nostri.
È paradossale chiedere un voto su un documento che viene, nel novanta per cento dei casi, illustrato, come se fosse la panacea che risolverà tutti i mali degli italiani.
Che cosa dovevano votare le lavoratrici ed i lavoratori informati unilateralmente se non sì?
La prova sta nel fatto che la dove, in maniera del tutto auto organizzata, quasi clandestina, dei sindacalisti o dei semplici lavoratori hanno promosso le ragioni del no nelle assemblee, esse siano risultate fortemente vincenti.
Che cosa sarebbe stato se in ogni assemblea si fosse istituito un dibattito vero? I fatti ci dicono che i “bravi” di Don Rodrigo sarebbero stati cacciati a pedate nel culo e i lavoratori si sarebbero potuti esprimere davvero liberamente e democraticamente.
Democrazia sindacale non è lasciar scegliere un accordo già firmato e con un informazione parziale e a senso unico, bensì lasciar scegliere informando a pieno.
Sarebbe importante analizzare perché questi Don Rodrigo hanno promosso il sì con tanto vigore. Una risposta potrebbe essere individuata nel fatto che essi da signorotti di provincia mirino a diventare dei duchi o dei marchesi, cioè mirino tutti a elevare il loro rango sociale, passando ad esempio dal lavoro di segretari di categoria a quello più remunerativo di sindaci e assessori comunali, provinciali o addirittura parlamentari della beata seconda repubblica. Il legame che ormai tiene uniti i sindacati e il mondo della politica (i sindacalisti e i partiti) è evidente a tutti e oggi con questo voto si è maggiormente rafforzato. Così i Segretari Generali delle grandi realtà come Milano o Torino hanno messo un tassello in più verso la loro carriera di parlamentari e quelli delle realtà minori come ad esempio Savona hanno sicuramente ipotecato un posticino da assessori comunali nelle future amministrazioni.
Oggi il sindacato, soprattutto quello confederale, è formato per la stragrande maggioranza dei casi da persone che non hanno mai lavorato in vita loro (o se l’hanno fatto si sono scordati cosa significhi lavorare).
Oggi il sindacato è considerato da chi lo fa come il trampolino di lancio per la carriera politica.
Oggi il sindacato si è trasformato da sindacato di classe a sindacato di casta che tutela un’altra casta (la politica) e che comunemente fanno gli interessi di una casta ancora più esclusiva (banchieri, industriali e imprenditori).
Chi crede ancora nei valori del sindacato (e della politica) come strumento per migliorare le cose potrebbe sentirsi scoraggiato e potrebbe essere tentato di mollare tutto, di fare altro, ma i dati di questo referendum ci dicono una cosa diversa, ci dicono che i lavoratori e le lavoratrici, dove la discussione è stata vera e libera, dove le prepotenze del sindacato sono state evitate la pensano come noi. I dati di questo referendum ci dicono che se ci si organizza i Don Rodrigo restano in mutande, che forse il torpore degli anni novanta sta per terminare, che forse bastano ancora poche spallate per cambiare il sistema e mandare a casa tutti i Don Rodrigo del sindacato e della politica.

Marco Vigna (Partito Comunista dei Lavoratori, Rete 28aprile)

CONDIVIDI

FONTE

  • gim.29@inwind.it