Teoria

Il trotskismo in America latina

7 Marzo 2016

Pubblichiamo alcuni estratti della Storia del trotskismo in America latina (Osvaldo Coggiola, in uscita da Massari editore) che ripercorrono lo sviluppo e le posizioni delle principali correnti e organizzazioni latino-americane (e non solo) che si richiamavano al trotskismo. Per alleggerire il testo e facilitare la lettura, le note non sono state riportate.

Historia Coggiola

Il Segretariato Unificato della Quarta Internazionale



La Quarta Internazionale si divise nel 1953 (III congresso mondiale) a seguito dell’adozione del programma «pablista», la cui previsione centrale era l’imminenza di una terza guerra mondiale (Stati Uniti contro URSS) in cui la burocrazia sovietica si sarebbe vista obbligata a distruggere l’imperialismo mondiale. La distruzione del capitalismo non sarebbe stata, quindi, il risultato della rivoluzione proletaria, dato che tale concetto di «guerra-rivoluzione» eliminava, in quanto fattori decisivi della trasformazione della società, la coscienza e l’organizzazione della classe operaia, alle quali si sostituiva la direzione stalinista come direzione rivoluzionaria di fatto. Un tale programma costituiva una revisione, non solo del programma trotskista originario, ma anche delle tesi centrali del marxismo (anni dopo, proprio lo stesso Pablo, coerentemente avrebbe dichiarato terminata l’«era del bolscevismo»). Il Segretariato Internazionale (SI) difese le tesi di Pablo, mentre altre organizzazioni trotskiste (SWP statunitense, SLL inglese, PCI francese, il «morenismo» argentino) crearono, contro questo programma e soprattutto contro i metodi burocratici di Pablo, il Comitato Internazionale della Quarta (CI).



Dieci anni dopo, era evidente l’aberrazione del revisionismo pablista. I suoi difensori a oltranza avevano rotto con il SI (Posadas) o erano estremamente minoritari (lo stesso Pablo). In tali condizioni, il SI propose al CI di discutere la riunificazione. La proposta fu accettata solo da alcune organizzazioni del CI (il SWP, alcuni gruppi latinoamericani, Canada) e venne creato un Comitato paritario per la preparazione del congresso di riunificazione (VII congresso della Quarta Internazionale). Coloro che si rifiutarono di partecipare (SLL, OCI francese [Organisation Communiste Internationaliste] - ex PCI) osservarono correttamente che qualsiasi unificazione la si sarebbe dovuta far precedere da un bilancio delle cause della divisione. Il SI aveva capovolto il motto leninista («prima di unirci e al fine di unirci, discutiamo le nostre divergenze») come riconosce, involontariamente, uno dei suoi dirigenti:



«Se alla base della scissione c’era una questione di princìpi, questa non avrebbe mancato di esprimersi, in una forma o in un’altra [...] Se la scissione era essenzialmente un frutto di cause congiunturali (errori di analisi o di prospettive) od organizzative, come pensavamo, queste non sarebbero state di ostacolo alla riunificazione. L’esame delle cause e delle responsabilità della scissione [...] sarebbe stato affrontato in un momento successivo».



In nome di questa aberrazione - unirsi senza sapere se esistessero princìpi comuni - la maggioranza delle organizzazioni trotskiste si riunificarono nel 1963, creando il Segretariato Unificato della Quarta Internazionale (SU), dimostrando così il basso livello politico in cui era caduto il trotskismo internazionale.
Se l’operazione ebbe successo, fu perché il CI «antipablista» condivideva questo basso livello. Quindi, mentre la sua sezione argentina (Palabra Obrera) era impegnata nell’apologia di Perón, quella inglese (SLL) affermava che



«il regime di Fidel Castro non ha creato un nuovo Stato [...] si è avuta una rivoluzione politica che ha trasferito il potere dalle mani di una classe borghese a quelle di un altro settore di questa stessa classe [...] questo bonapartismo reazionario è simile in Kemal Atatürk, Chiang Kai-Shek, Nasser, Nehru, Cárdenas, Perón , Ben Bella e Castro».



Il nazionalismo veniva considerato totalmente reazionario e Castro equiparato - poco dopo la vittoria contro l’invasione di Playa Girón - ai massacratori della classe operaia. (Gerry Healy, dirigente della SLL, definì Castro «semifascista», epiteto simile a quello utilizzato dalla propaganda imperialistica.)
Le tesi adottate dal SU («La dialettica attuale della rivoluzione mondiale» e il «Documento di riunificazione» in 16 punti) non superavano il pablismo: si limitavano ad abbandonarne le conclusioni più aberranti. Invece di partire (come Trotsky ne La Rivoluzione Permanente) dall’economia e la politica mondiali in quanto realtà dominanti della nostra epoca, stabilivano l’esistenza di «tre settori della rivoluzione mondiale» (rivoluzione coloniale nei paesi arretrati, rivoluzione proletaria nei paesi imperialistici, rivoluzione politica nei paesi dominati dalla burocrazia sovietica) i quali, ovviamente, erano «interdipendenti» (così come la Terra lo è rispetto al movimento degli altri astri). In questo modo, rimaneva aperta la porta per proporre qualsiasi cosa in ciascun paese, in nome della specificità del suo «settore». In Europa, per esempio, veniva mantenuta la tattica del periodo pablista («entrismo sui generis» nei partiti comunisti e socialisti). Rispetto al «settore» della burocrazia, e come aveva già fatto Pablo, si apriva un credito di fiducia alla direzione della Jugoslavia (Tito), «dove l’orientamento è più corretto che in altri Stati operai».
Rispetto al bilancio della debolezza organizzativa del trotskismo, il talismano per spiegarla era lo stesso col quale Pablo aveva teorizzato la sua impotenza politica: la forza dello stalinismo.
«per capire [questa debolezza] è necessario tornare all’evento più importante della Seconda guerra mondiale, la vittoria dell’URSS. Essa ha scatenato una reazione a catena di cui ancora non si vede la fine. I popoli oppressi si sono rivolti al primo Stato operaio affinché li ispirasse e li guidasse. Il potere dell’URSS, però, è nelle mani della burocrazia stalinista. Fu questa, e non il trotskismo, a rafforzarsi».



Anni dopo, il dirigente Pierre Frank insisteva che «la crisi dello stalinismo cominciò a manifestarsi solo dopo la guerra fredda, ormai nel corso della fase di prosperità, durante il quale nelle masse aveva imperato l’apatia».



Tutto ciò è una grande mistificazione, sia pure basata superficialmente sul fatto che i partiti comunisti avevano preso il potere in Europa orientale (appoggiati dall’esercito sovietico) e si erano trasformati in grandi partiti in alcuni paesi dell’Europa occidentale (Francia, Italia). L’esproprio del capitale in Europa dell’est non era nei piani di Stalin (fu realizzato di fronte alla duplice pressione dell’imperialismo e delle masse, come ultima risorsa per creare un potere bonapartista stabile nelle aree occupate) e là dove fu realizzato in modo autonomo - la Jugoslavia - condusse rapidamente (1948) a una rottura con l’URSS. In Italia, Francia e Grecia, il disarmo delle organizzazioni della Resistenza - deciso tra Stalin e l’imperialismo, e imposto ai partiti comunisti che le dirigevano - provocò una seria crisi tra gli operai e la direzione stalinista (non a caso i trotskisti europei, soprattutto francesi e italiani, non furono mai così forti all’interno del movimento operaio come nell’immediato dopoguerra). In quanto al principale popolo oppresso - quello cinese - per liberarsi dell’imperialismo, il partito comunista dovette far orecchi da mercante verso l’URSS che appoggiava la riunificazione nazionale sotto Chiang-Kai-Shek. Tutta la politica stalinista era entrata in crisi molto prima della guerra fredda. L’interesse del SU nel presentare le cose al contrario era di individuare un «fattore oggettivo» che spiegasse la sua debolezza, senza trarre un bilancio della politica seguita dai trotskisti in quel periodo (compresi i trotskisti cinesi, che erano arrivati ad avere una certa influenza) né successivamente (1953-63). Nel 1963 ormai la crisi dello stalinismo era evidente, ma si continuava invocando il periodo precedente - debitamente deformato - per sostenere che «il trotskismo non poteva esserne beneficiato, se non in ultima istanza e a lunga scadenza». Era lo stesso schema pablista, ma senza «guerra-rivoluzione».



In quella fase, l’indice più importante della crisi dello stalinismo e di tutte le tradizionali direzioni di massa era la Rivoluzione cubana. Poiché essa non rientrava nello schema menzionato, il SU tentò di spiegarla non partendo dalla crisi di direzione del proletariato, ma dall’insufficienza del marxismo:
«Con la guerriglia, il contadino ha svolto un ruolo più radicale e decisivo nella rivoluzione coloniale di quello previsto dalla teoria marxista».



(È incredibile che a dire questo siano coloro che si ritengono discepoli di Lenin e di Trotsky, coloro che hanno analizzato esaustivamente la questione nelle rivoluzioni russa e cinese).
«L’organizzazione delle guerriglie dei contadini e dei semiproletari sotto una direzione impegnata a proseguire la rivoluzione fino alla fine, può svolgere un ruolo decisivo per minare e distruggere il potere coloniale o semicoloniale. È una delle principali lezioni del dopoguerra, e deve essere consapevolmente inserita nella strategia di costruzione di partiti marxisti rivoluzionari nei paesi coloniali».
Quindi, si elevava un metodo di lotta alla categoria di programma, o si abbassava questo a metodo di lotta. Il SU s’imbarcava, dal punto di vista teorico, sulla rotta che le sue sezioni latinoamericane avrebbero intrapreso concretamente poco dopo (con i risultati catastrofici ben noti). Le campagne politico-ideologiche in favore della «rivoluzione coloniale» passarono ad essere l’asse dell’azione delle sezioni europee e USA del SU: i suoi dirigenti pretendevano di superare così la propria impasse, mandando le loro reclute latinoamericane a rischiare la pelle al loro posto (la proposta di iniziare una guerriglia in Francia, fatta da un settore della LCR nel 1968, fu rapidamente rifiutata).
[...]



È chiaro che il SU fu il prodotto di un accordo opportunista e non fatto su basi di principio. Ciò avrebbe inevitabilmente provocato nuove frazioni e divisioni. Uno dei principali protagonisti di queste sarebbe stata la corrente morenista argentina. Il modo in cui essa arrivò al SU merita di entrare in un’antologia dell’opportunismo:



«benché la maggioranza delle nostre forze raggruppate nel CI rifiutassero l’invito che ci aveva rivolto il SWP e non partecipassero alla riunione, il congresso di riunificazione ebbe luogo [...] Successivamente Hansen [dirigente del SWP] ci informò che egli stesso - per suo conto e a suo rischio - aveva dato il nostro voto a favore della riunificazione [che], una volta effettuata, venne definita positiva dalla nostra tendenza [...] poiché intorno al SU tendevano a raggrupparsi tutte le correnti trotskiste che difendevano Cuba in quanto Stato operaio» (Nahuel Moreno).



La prima parte ci dispensa dal fare commenti. Rispetto a Cuba, Moreno “dimentica” che lo stesso congresso aveva attribuito il carattere di Stato operaio anche all’Algeria, alla Guinea e al Mali (altri Paesi vennero dichiarati «in transizione»): con qualcuno dovevano pur indovinarci...





Da Palabra Obrera al PRT



Nel 1959 Palabra Obrera sosteneva che «Castro è apertamente filoimperialistico, appoggiato dalle compagnie statunitensi che avevano attriti con Batista».



Un anno dopo:



«la rivoluzione agraria e la lotta armata si vanno trasformando in questa fase nei motori essenziali della lotta [...] nel castrismo è nato un nuovo movimento nazionalista rivoluzionario di carattere latinoamericano che produce una nuova avanguardia e provoca la crisi dei vecchi movimenti riformisti; la costruzione di partiti trotskisti deve essere fatta intorno al fronte unico con le nuove tendenze; con la costruzione di partiti unici rivoluzionari si rende necessario integrare nel programma di transizione le nuove esperienze della rivoluzione latinoamericana [guerra di guerriglia]».
Il morenismo percorse dunque una propria strada per arrivare alle posizioni del SU: ma nell’intervallo del passaggio da una posizione all’altra vi sono la crisi dell’“entrismo organico nel peronismo” e la comparsa di settori studenteschi colpiti dalla Rivoluzione cubana, che Moreno si dispose a seguire con lo stesso entusiamo avuto fin lì per seguire la direzione peronista. Nel 1960 Palabra Obrera affermava che



«solo un pazzo può mettere in discussione lo straordinario ruolo che Perón svolge nel nostro movimento. Quando PO [Palabra Obrera] assicura di essere sotto la disciplina del Generale Perón e del Consiglio superiore peronista, non fa altro che constatare questo fatto storico: la direzione indiscussa, il leader ineffabile del peronismo è il Generale Perón. Il suo caso è quello più accusato di personalismo di tutta la storia argentina: un movimento con il nome del suo leader e un leader con un’influenza assoluta sul suo movimento».



Come smettere di essere peronista? Nello stesso modo adottato per esserlo: affermando che la realtà (e non l’orientamento della propria politica) era cambiata:



«la crisi del peronismo consiste [...] nell’essersi trasformato nell’opposizione borghese al regime e non, come era prima, la sua opposizione di classe rivoluzionaria».






[...]




Lo SLATO (Secretariado Latinoamericano del Trotskismo Ortodoxo, di Nahuel Moreno) non riuscì a consolidarsi in Bolivia, in questo periodo rivoluzionario: il sostegno dato da Moreno alla controrivoluzione del 1946 non era una buona lettera di presentazione. Il suo maggiore intervento si verificò in Argentina dopo il golpe «gorilla» [filoloimperialistico (n.d.r.)] che abbatté Perón nel 1955. Nel 1956 i morenisti entrarono nelle fila del peronismo (un’applicazione della tattica entrista), pubblicando il giornale Palabra Obrera che si poneva «bajo [sotto] la disciplina del general Perón y del Consejo Superior Peronista». La mimetizzazione arrivò al punto che i morenisti pubblicarono un libello anticomunista di Perón (forma curiosa d’intendere l’ortodossia). La tattica diede all’inizio buoni risultati: PO (Palabra Obrera) aprì varie sedi e raccolse centina di militanti, con una discreta influenza negli ambienti operai, soprattutto nel sindacato dei metallurgici. Ma si vanificarono, nel 1958, le possibilità d’influire decisamente sul settore operaio e combattivo del peronismo. Dall’esilio Perón ordinò di votare il candidato «gorilla» Arturo Frondizi. PO ubbidì, a differenza dei gruppi peronisti di sinistra: un terzo dell’elettorato peronista votò scheda bianca - voto che fu maggioritario nei quartieri proletari. L’entrismo dei trotskisti “ortodossi” si prolungò fino al 1964, senza ulteriori progressi. Il BLA (Bureau LatinoAmericano) di Posadas si sviluppò abbastanza indipendentemente dalla sua direzione internazionale (il Segretariato Internazionale della QI, diretto da Michel Pablo ed Ernest Mandel). I suoi gruppi acquisirono una certa forza nel movimento sindacale argentino (metallurgici e tessili) e cileno (metallurigici di Huachipato).






Sotto il segno della rivoluzione cubana



L’atteggiamento davanti alla Rivoluzione cubana provocò gravi problemi all’interno del movimento trotskista. La posizione più stravagante fu indubbiamente di Nahuel Moreno che, attraverso le pagine di Palabra Obrera (Argentina), definì Fidel Castro un «gorilla» e celebrò il fallimento del primo sciopero generale convocato dal Movimiento 26 de Julio contro Batista (1958). Spiegazione: Moreno e i trotskisti ortodossi (SLATO) si trovavano in pieno “entrismo” nel peronismo, e Batista era il «Perón cubano». Ma una nuova affiliazione internazionale fece sì che Moreno cambiasse posizione.


Nel 1963, una parte del Comitato Internazionale della QI (lo SLATO di Moreno e il SWP statunitense) optò per la riunificazione con il Segretariato internazionale della QI. La recente scissione di Posadas, suo competitore latinoamericano, facilitò le cose a Moreno giacché egli rimase come una specie di dirigente latinoamericano del nuovo raggruppamento internazionale che fu chiamato Segretariato Unificato della Quarta Internazionale. Nel congresso di riunificazione (denominato VII congresso della QI) il punto dedicato alla discussione dei dieci anni di scissione internazionale (1953-1963) venne liquidato in... mezz’ora! E ciò dà l’idea della serietà con cui venne trattato.




Dalla parte del CI della QI rimasero l’OCI (Organisation communiste internationaliste) francese di Pierre Lambert, la SLL (Socialist Labour League) inglese di Gerry Healy e altri gruppi. In realtà, il CI non aveva mai agito come una direzione internazionale alternativa: in 17 anni di esistenza tenne solo due vere riunioni internazionali (1958 a Leeds, 1970 a Londra). Neppure l’omogeneità politica era ampia: la SLL, per esempio, definiva il regime di Castro come piccolo-borghese bonapartista e anche semifascista. L’OCI non arrivò a questo punto, ma non riconobbe il carattere rivoluzionario della caduta di Batista e dell’esproprio dell’imperialismo realizzate da Castro.


Il Segretariato Unificato (SU) riconobbe che nella Cuba rivoluzionaria si era instaurato uno Stato operaio. Ma il suo entusiasmo per Cuba non si fermò lì. Quando Castro creò l’Olas (Organización latinoamericana de solidaridad), che per qualche tempo cercò di coordinare i movimenti guerriglieri dell’America latina, Moreno invitò a formare i bracci armati dell’Olas nel paesi del continente. Il SU scoprì in Fidel Castro la categoria del «marxista naturale» (cioè inconsapevole: un fatto straordinario, perché se è possibile essere marxista senza averne coscienza, che fine fa la teoria marxista?).




Tutte queste svolte dei posadisti e dei morenisti in Argentina provocarono delle crisi nei settori che si richiamavano al trotskismo, che si sommarono ad altre crisi nella sinistra argentina, confinata praticamente negli strati studenteschi a causa dell’egemonia del peronismo sul movimento operaio. Da queste crisi sarebbero nati nuovi gruppi, il più importante e duraturo dei quali è stato Política Obrera (PO), creato su iniziativa di Jorge Altamira, Roberto Gramar, Julio Magri.


PO (Política Obrera) iniziò col rivendicare l’eredità teorica e programmatica del leninismo-trotskismo, sottoponendo a critica la linea opportunista nei confronti del peronismo e del castrismo sviluppata dalle correnti trotskiste del paese. Pur riconoscendo l’impulso che la Rivoluzione cubana aveva dato alla rivoluzione latinoamericana, si pronunciò tuttavia contro la teoria del foco armato propagandato dai castristi e contro il fronte nazionale difeso dalle diverse ali della sinistra peronista, contrapponendo loro la costruzione del partito rivoluzionario del proletariato. Ciò implicava un lavoro sistematico all’interno delle organizzazioni operaie per strapparle all’influenza del peronismo, contro coloro che pretendevano di «risvegliare la coscienza operaia» attraverso «azioni armate esemplari» che, nella sinistra peronista, si combinavano con il tentativo di «dotare il peronismo di una direzione rivoluzionaria», senza rivoluzionare il proletariato dal suo interno.


Può sorprendere che, nonostante questo, il PRT-Santucho fosse riconosciuto dal SU della Quarta Internazionale come sua sezione ufficiale in Argentina, mentre il PRT-Moreno, che si definiva trotskista ortodosso, fosse ridotto alla condizione di simpatizzante. Si deve ricordare, tuttavia, che il SU, soprattutto i suoi dirigenti europei (Ernest Mandel, Alain Krivine, Livo Maitan), vivevano una loro fase di febbrile entusiasmo per i processi di lotta armata, sia in America latina che altrove, e ciò aveva portato alcuni dirigenti della sua sezione francese (poco dopo il maggio del 1968), a proporre l’inizio della lotta armata in Francia, sulla base delle «tradizioni di lotta armata dei contadini francesi» (!).




Se ieri (durante la guerra fredda) si era trovata la scorciatoia per la rivoluzione nella guerra imminente dell’URSS contro gli USA, oggi questa scorciatoia sembrava ritrovarsi nei settori (Castro, partito comunista vietnamita) che sembravano disposti ad arrivare allo scontro con l’imperialismo molto di più degli stessi partiti comunisti. La base di questa «ricerca di scorciatoie» si ritrova nell’isolamento politico e nell’incapacità a comprenderlo. In ogni caso, nei documenti dei congressi mondiali del SU, una concezione d’apparato sostituì definitivamente l’analisi della lotta di classe. Categorie come lotta urbana, condizioni tecniche ecc., passarono ad occupare il centro delle questioni, invece dello studio della dinamica di classe. I documenti del IX congresso (1969) orientavano le sezioni latinoamericane verso la preparazione della lotta armata (anche nelle campagne) in ogni circostanza, anche quando le lotte operaie occupavano il centro della scena. La tanto disprezzata lotta di classe avrebbe dato crudelmente la sua tempestiva risposta.


[…]




[Da Palabra Obrera al PRT]




La prassi di Moreno si collocava ormai agli antipodi del marxismo, come fu dimostrato sul piano teorico dalla nuova svolta politica. Ne La revolución latinoamericana (1962) il revisionismo appare quasi febbrile:


«La vita ha messo in evidenza le lacune, le omissioni e gli errori del programma della rivoluzione permanente [...]. Il dogma secondo cui l’unica classe che può assumere i compiti democratici è la classe operaia è falso. Settori della classe media urbana e dei contadini sono a volte i dirigenti rivoluzionari [...] così come abbiamo scoperto che non solo la classe operaia può capeggiare la rivoluzione, possiamo dire lo stesso dei movimenti politici; non solo gli operai possono organizzare e dirigere le prime fasi rivoluzionarie, ma possono farlo anche i movimenti democratici o contadini [...]. Il programma di transizione riassume fino all’ultimo dettaglio l’esperienza rivoluzionaria europea ed è un modello delle concezioni consolidatesi del marxismo classico [...], ma la dice lunga il fatto che, pur formulando con precisione millimetrica le parole d’ordine operaie, non menziona la guerra di guerriglia e accenna solo di sfuggita alle parole d’ordine nel mondo agricolo [...] il maotsetunghismo o teoria dell’attuale fase della rivoluzione mondiale [...] Il marxismo occidentale si è dimenticato della lotta armata, metodo permanente delle masse [che] inserisce nella lotta di classe un fattore nuovo, che per questa è specificamente originale: la geografia [che] spazza via la classificazione delle regioni mature e immature. Qualsiasi paese, qualsiasi regione, è adatta alla rivoluzione permanente [...]. Le rivoluzioni cubana e cinese iniziarono in circostanze che i marxisti classici definiscono oggettivamente sfavorevoli. Pur non essendoci grandi lotte sociali, un pugno di uomini comincia la lotta armata; questo gruppo, tuttavia, trasforma le condizioni rendendole favorevoli. Si deve ampliare il concetto classico di situazione oggettivamente rivoluzionaria: è sufficiente che ci sia una serie di condizioni sociali insopportabili e gruppi sociali disposti a combatterle appoggiandosi alle masse che le subiscono».


Chi scrisse tutto ciò è, lo si creda o meno, lo stesso teorico che andrà a caccia di voti per il PST [Partido Socialista de los Trabajadores] e poi per il MAS [Movimiento Al Socialismo]. È né più né meno la teoria del fochismo: la rivoluzione non dipende da attori sociali o politici, «ma dalla volontà di un “pugno” di uomini o di un “gruppo”».


L’unica “novità”, che non era una vera novità, consisteva nella pretesa di teorizzare tutto ciò a partire dal marxismo e dall’esperienza rivoluzionaria, debitamente deformati: il programma di transizione è «europeo» (e invece si basava principalmente sulle rivoluzioni russa e cinese); «non menziona la guerriglia» (e nemmeno le occupazioni di fabbrica. Un programma è una strategia: i metodi di lotta variano con le fasi politiche); a Cuba e in Cina un «pugno di uomini» ha fatto la rivoluzione (quella cinese dispensa dai commenti; a Cuba il castrismo era profondamente radicato nella popolazione; la guerriglia non avrebbe trionfato senza gli scioperi generali che all’epoca Moreno definiva fenomeni di «gorillismo»). “Trotsky disprezzava i contadini” (vecchia calunnia staliniana) e il marxismo è un «dogma». Moreno arrivò ad affermare che «si deve condensare la teoria e il programma generale corretto (trotskista) con la teoria e il programma specifico corretto (maotsetunghista o castrista)».



Questa sciocchezza secondo cui un programma può essere genericamente corretto e specificamente falso, e un altro genericamente falso e specificamente corretto, serve per abbandonare le «generalità», facendole svanire, e innalzare le “specificità” alla categoria di programma (cosa che Moreno aveva già fatto con il peronismo). Il punto teorico comune tra l’“entrismo” e il delirio fochista è che «in determinati paesi e circostanze il principale luogo di intervento è il movimento nazionale o agrario [...] è un obbligo esser presenti e dar[gli] un tono di consapevolezza».
Il compito non è più di organizzare dal punto di vista rivoluzionario la classe operaia per dirigere i contadini e guidare la nazione oppressa, ma di sciogliersi nel nazionalismo (o nel movimento maggioritario del momento) per consigliarlo, per dargli «un tono di consapevolezza»: pablismo allo stato puro. Le svolte successive di Moreno saranno solo l’applicazione di questo principio opportunistico.
Come logica conseguenza, si sottoponeva a revisione la teoria marxista dello Stato, il quale «conserva una relativa autonomia e può operare tra varie classi sociali. È un prodotto diretto della società nel suo insieme, e solo in circostanze particolari agisce come dittatura di classe».
Marx ed Engels gettati totalmente nella spazzatura per formulare il principio che ha permesso ai riformisti di tutte le epoche l’adattamento senza limiti allo Stato borghese. Ma Engels aveva già avvisato i Moreno del suo tempo che lo Stato è un prodotto della società nel momento in cui questa si divide in classi inconciliabili, per cui si rende necessario un apparato di coercizione delle classi dominanti su quelle oppresse.



L’aspetto più importante, però, è che Moreno non prendeva sul serio se stesso, né una sola parola di ciò che diceva, nonostante che alcuni discepoli cercassero di metterle in pratica. Nel 1956 un militante peruviano di PO - Hugo Blanco - tornò al proprio paese e, a partire dal 1958, si ritrovò alla testa di un processo di sindacalizzazione contadina e di occupazioni di terre nella regione del Cuzco. L’organizzazione latinoamericana di Moreno (SLATO,
Secretariado Latinoamericano del Trotskismo Ortodoxo) decise di appoggiarlo inviando vari militanti argentini (Daniel Pereyra, R. Kreus, J. Martorell).



Si cominciò a preparare la formazione dei contadini, per la quale si ricavarono fondi con “espropri” di banche (sotto la direzione di Pereyra) nel 1962. Le rapine si resero necessarie perché Moreno, all’epoca in cui era in Perù, non aveva mantenuto la promessa di un sostegno finanziario dell’Argentina: dapprima aveva promesso una donazione di tre milioni di soles, poi un prestito di mezzo milione, e infine era scomparso davanti alle minacce della sezione peruviana. Quando Moreno tornò in Perù, il denaro delle rapine sparì nelle mani di un certo Boggio, che si consegnò alla polizia.



Si decise quindi di iniziare l’insurrezione con i pochi fondi rimasti. Imponendo l’autorità che gli conferiva lo SLATO e opponendosi agli altri dirigenti, Moreno inviò Pereyra e il suo gruppo da Lima al Cuzco in un solo camion (nove persone). L’entrata in città era sorvegliata: il gruppo fu imprigionato e selvaggiamente torturato. I suoi membri non fornirono informazioni utili alla repressione; successivamente affermarono che la polizia era stata già informata del loro arrivo. Frattanto, Moreno, che aveva promesso di andare al Cuzco in aereo il giorno seguente la partenza del camion (24 aprile), viaggiò in aereo sì... ma verso l’Argentina (tre giorni prima dell’arresto di Pereyra e del suo gruppo, avvenuta il 28 aprile).


Secondo la versione morenista data retrospettivamente:



«Moreno polemizzò duramente con i putschisti, guidati dall’argentino Pereyra, arrestato nel 1962, brutalmente torturato e incarcerato per vari anni».




[...]




Il trotskismo in America latina negli anni '80



Nel corso degli anni ‘80 si delineò chiaramente il profilo delle varie correnti trotskiste latinoamericane. Non fu, questo, un fenomeno specificamente latinoamericano, poiché esso accompagnò lo sviluppo delle diverse correnti trotskiste nel mondo. L’emergere di sanguinose dittature militari controrivoluzionarie, in primo luogo, e poi la politica democraticistica (per prevenire esplosioni rivoluzionarie come quella del Nicaragua o come la ribellione dei lavoratori brasiliani a partire dagli anni 1978-79) stimolata direttamente dall’imperialismo nordamericano insieme ai partiti borghesi locali, mise a dura prova sia le organizzazioni, sia i loro programmi politici.


La scissione del CORQI (Comitato di Organizzazione per la Ricostruzione della Quarta Internazionale) si verificò nel 1978, a partire da una provocazione messa in atto dalla sua corrente più importante (quella francese diretta da Pierre Lambert, o lambertista) contro il gruppo trotskista argentino Política Obrera. Questa fu accusata addirittura di essere «fascista» e «agente di Videla», proprio nel periodo in cui subiva la feroce persecuzione della dittatura. Con questi metodi (e arrivando a fare appello alla violenza fisica), il lambertismo fece abortire la III Conferenza trotskista latinoamericana, che il CORQI stava preparando e, soprattutto, il suo dibattito principale: il bilancio e la strategia della rivoluzione latinoamericana, per il quale erano già in discussione documenti importanti (sul ruolo della borghesia nazionale, sul peronismo, sull’Assemblea popolare boliviana, sui sindacati in America latina).


La provocazione era al servizio di un’oscura manovra di “unificazione” del lambertismo con la corrente originaria del pablismo (il Segretariato Unificato della Quarta Internazionale) che si concluse con una rottura e lasciò come residuo solo la temporanea unificazione del lambertismo con la Frazione bolscevica del SU, non sulla base di una battaglia di principio (che lo avrebbe portato a discutere la sua stessa adesione di principio alla corrente pablista, nel 1962-63), ma prendendo a pretesto la difesa dell’«intervento» della Brigada Simón Bolívar nella rivoluzione sandinista, repressa dal FSLN.


L’unificazione moreno-lambertista ebbe il sentore tipico dell’opportunismo: si verificò all’interno di uno scambio di reciproci ditirambi (si trattava di correnti che, nel passato recente, si erano reciprocamente lanciate le accuse peggiori) e con uno spiegamento autoproclamatorio in grado di rivaleggiare con il messianismo patologico della corrente posadista. Il Comitato Internazionale della Quarta [QI-CI] così creatosi si proclamò depositario del principale programma marxista redatto da quando Trotsky aveva scritto il Programma di transizione nel 1938, e della principale organizzazione rivoluzionaria internazionale esistente dopo il bolscevismo e l’Opposizione di sinistra. Il prevedibile parto di un simile aborto (previsto solo da Politica Obrera nella rivista Internacionalismo) si verificò esattamente nove mesi dopo, con il divorzio tra lambertisti e morenisti, in mezzo a violente accuse di ordine politico, personale e... finanziario.


La serie interminabile di scissioni rifletteva l’incapacità delle correnti trotskiste maggioritarie di superare la crisi politica e organizzativa della Quarta Internazionale. Questa crisi e questa incapacità, però, non erano metafisiche, ma poggiavano su una base politica, che si riflesse, nel periodo analizzato, sull’adesione di queste correnti alla politica democraticista voluta dall’imperialismo, con la collaborazione della burocrazia russa, di fronte alla crisi politica mondiale e al pericolo di nuove esplosioni rivoluzionarie. Questo fenomeno segnò la traiettoria delle principali correnti autoproclamatesi trotskiste in America latina.


Avvalendosi dei propri metodi, il lambertismo raggiunse lo scopo (insieme al SU e al morenismo) di seppellire uno degli sviluppi politici più promettenti per il trotksismo latinoamericano nella nuova fase politica: l’emergere della coalizione del FOCEP [Frente obrero campesino estudiantil y popular] in Perù, che ottenne il 15 per cento di voti alle elezioni nazionali successive allo sciopero generale del 1978. Il POMR (Partido Obrero Marxista Revolucionario) del CORQI, uno dei suoi principali componenti, fu letteralmente sepolto dal lambertismo negli anni immediatamente successivi, fino a scomparire dalla scena politica. La responsabilità specifica del SU consistette nell’esaltazione del caudillismo di Hugo Blanco, presentato con toni mitici come la riedizione andina del Che Guevara, e sostituto della costruzione del partito operaio rivoluzionario. Le correnti menzionate furono responsabili di un orientamento politico che portò a risultati nefasti: la presentazione dell’Assemblea costituente (egemonizzata dall’aprismo alleato con l’imperialismo) come la strada diretta verso il potere dei soviet. Il fallimento del FOCEP lasciò aperta la strada al risultato parallelo del riemergere dello stalinismo peruviano (bruciato dal suo sostegno al processo militare del 1968-78) e dall’emergere del delirio guerriglierista di Sendero Luminoso.


Le correnti menzionate superarono l’errore (esaltare la democrazia come via verso il governo operaio e contadino) attraverso un orrore (esaltare la democrazia come via verso... la democrazia). Questa politica caratterizzò, per esempio, l’unica corrente significativa del lambertismo nel continente, che agiva all’interno del PT brasiliano. Questa riuscì a sfuggire all’espulsione delle correnti trotskiste dal suddetto partito con l’adesione acritica alla strategia della direzione democraticistica di Lula («alternativa democratica popolare»), esercitando nel PT una sorta di opposizione tollerata (per non parlare del suo complice silenzio di fronte all’espulsione dei trotskisti e della sua esaltazione del caudillismo di Lula).


Il SU della Quarta Internazionale non è riuscito a riarticolarsi come corrente significativa nei paesi in cui aveva messo in pratica, a un certo livello e nel recente passato, i propri eccessi guerriglieristi (Cile, Bolivia e, soprattutto, Argentina).


In Messico, il PRT (Partido Revolucionario de los Trabajadores) si è collocato sempre più chiaramente su una linea di fronte popolare insieme allo stalinismo, e soprattutto insieme al borghese PRD (Partido Revolucionario Democrático) di Cuauhtémoc Cárdenas, con cui mantiene un accordo strategico di principio (debitamente votato) nel Foro de San Pablo, unione di partiti di sinistra latinoamericani, favorita dal PT brasiliano, dal PC cubano e dallo stesso PRD.


Il SU si è adattato totalmente al castrismo, nella sua evoluzione dal guerriglierismo alla politica democraticistica: rispetto a Cuba, tuttavia, la sua critica è di destra, rivendicando - insieme alla sinistra e alla destra filoimperialistica - il «pluripartitismo» e non la piena libertà di organizzazione indipendente per i lavoratori, in favore della rivoluzione politica e del governo operaio e contadino.


In Brasile, il SU milita nel PT (come Democracia Socialista) adattandosi alla politica della sua direzione, fino ad agire come pompiere delle crisi provocate dalla sua ala sinistra (nel I congresso del PT votò delle risoluzioni insieme alla direzione contro le mozioni di sinistra) e presiedendo addirittura i «tribunali» incaricati di «depurare» il PT delle sue correnti e dei suoi militanti di sinistra.


I tentativi della corrente morenista (che si è ricostituita come LIT-CI, Liga Internacional de los Trabajadores-Cuarta Internacional) di presentarsi come critica di sinistra dell’evoluzione di destra delle correnti già menzionate, non ha resistito alla prova dei fatti. Il principale successo organizzativo di questa corrente - la costituzione del MAS (Movimiento Al Socialismo) in Argentina - è stata realizzata in base alla politica democraticistica e criptoperonista della «democrazia con giustizia sociale» (definendo la sostituzione della dittatura militare con il radicalismo come una «rivoluzione democratica») e in base alla parola d’ordine opportunista «che decida la base» di fronte a ogni conflitto operaio e a ogni scontro con la burocrazia sindacale peronista (parola d’ordine destinata per l’appunto a non contrapporre alcuna linea politica a questa burocrazia). Tale politica ha ritenuto percorribili le alleanze con lo stalinismo e con i peronisti “di centrosinistra” (o di centrodestra, a seconda delle circostanze) nelle successive Izquierdas Unidas e FREPU [Frente del Pueblo] che hanno salvato lo stalinismo in bancarotta dopo il suo appoggio al “Processo” del 1976-1983.
Le conseguenze sono state il salvataggio dello stalinismo per agire come asse del fronte di centrosinistra e la disgregazione di buona parte dell’attivismo di sinistra, per non parlare della crisi galoppante del MAS stesso, da cui nacquero almeno quattro gruppi (il MAS, il MST, il PTS, la LSR, il FOS e altri gruppi). Tuttavia, il MAS è stato presentato come modello per la costruzione di partiti per l’America latina, in quanto autore dell’inedita impresa di conquistare il PC (stalinista) a una politica trotskista (l’inverso sarebbe stato più vicino alla realtà) e perfino come imminente candidato alla presa del potere (!). I tentativi di salvare la LIT morenista dal suo irreversibile sbandamento politico-organizzativo (inevitabile proiezione della stessa decadenza del MAS) hanno assunto la forma di manovre della sua organizzazione brasiliana, Convergência Socialista che, espulsa dal PT, ha favorito la formazione del PSTU (Partido Socialista dos Trabalhadores Unificado). Nonostante sia apparso come un satellite “di sinistra” del PT - fatto che lo ha indotto ad appoggiare elettoralmente quest’ultimo in favore della stessa elezione di Lula alla presidenza, nel 2002 - il PSTU ha sviluppato un intervento classista nel movimento sindacale che gli ha dato una proiezione come importante fattore politico nel momento in cui il carattere di destra e filoimperialistico del governo del PT si è rivelato a partire dal 2003, provocando una crisi e varie scissioni della sua ala sinistra.




Le organizzazioni che hanno combattuto la degenerazione lambertista del CORQI, guidate da Politica Obrera argentina e dal POR boliviano, formarono nel 1979 la TCI (Tendencia Cuartainternacionalista) basata su formulazioni programmatiche di principio. Dopo tre conferenze internazionali, la TCI non ha però più tollerato la defezione del POR che andava evolvendo verso una sorta di messianismo nazionalistico, consistente nel presentare la rivoluzione latinoamericana come una proiezione della rivoluzione boliviana, e questa come il risultato dell’attività propagandistica del POR (e di Guillermo Lora in particolare) riguardo alla dittatura del proletariato.
Política Obrera, invece, ha favorito dal 1982 la costruzione del Partido Obrero in Argentina, mantenendo un’attività internazionale basata sulle lotte precedenti. Il PT (Partido de los Trabajadores) in Uruguay, e l’organizzazione Causa Operaria (CO) in Brasile (attualmente PCO), per esempio, sono stati il frutto di questa battaglia internazionalista. CO è stata l’unica corrente, all’interno del PT, a rivendicare la rottura del partito con la borghesia nel Frente Brasil Popular - che ha sostenuto la candidatura presidenziale di Lula nel 1989 - e per questo è stata perseguitata dalla sua direzione, che ne ha deciso l’espulsione.



[...]

Il futuro della lotta di classe in America latina ha caratteristiche rivoluzionarie che si basano sulla crisi dello sviluppo delle forze produttive nel continente, e integrano le coordinate decisive della crisi mondiale: la crisi dell’imperialismo nordamericano, l’acutizzazione delle contraddizioni interimperialistiche e la bancarotta della burocrazia sovietica e dei suoi satelliti. Il problema dell’Internazionale operaia appare come un compito non rinviabile di fronte a questi sviluppi, offrendo il quadro concreto nel quale pianificare la ricostruzione della Quarta Internazionale. In America latina, la continuità del trotskismo inteso come unico programma e unica organizzazione in grado di dare una risposta corretta a tale necessità, è stata assicurata dai partiti e dalle correnti che hanno combattuto contro l’adattamento alla politica borghese, mantenendo in ciascun ambito nazionale una sistematica attività nei confronti del movimento operaio e una posizione di classe e internazionalista, di lotta per il governo operaio e contadino (dittatura del proletariato) e per gli Stati Uniti socialisti dell’America latina. Il carattere minoritario di queste correnti, all’interno di un quadro d’insieme che si richiama al trotskismo, non fa che portare crudamente alla luce la crisi della Quarta Internazionale, il nostro problema politico cruciale.



Parlare di trotskismo in America latina implica, in una certa misura, una cesura arbitraria, poiché il trotskismo è un movimento internazionale (mondiale) nella sua essenza stessa. Anche se l’America latina è stata indubbiamente l’area in cui il trotskismo è riuscito ad assumere con maggiore frequenza responsabilità dirigenti.


Nella lotta rivoluzionaria, i trotskisti hanno molto spesso pagato con la propria vita: oltre a coloro che abbiamo già menzionato, si possono ricordare César Lora e Isaac Camacho, dirigenti dei minatori boliviani, assassinati nel 1965 e nel 1967 dalla dittatura di Barrientos; Jorge Fischer e Miguel A. Bufano, dirigenti sindacali e di Política Obrera, assassinati dalle bande paramilitari del governo di Isabel Perón, come gli otto militanti del PST massacrati a Pacheco nello stesso periodo (1975); Crescencia Freire, América Labaldi, Nieves Otero morte lottando contro la dittatura a Cuba, negli anni ‘30; Andrade e Blanco, morti nello stesso periodo a El Salvador, e tanti altri.



Essi ebbero, come nemico frequente, anche l’isolamento politico, di cui le calunnie staliniste furono solo un aspetto. Dalla lotta per spezzare questo isolamento, il trotskismo ha ereditato una ricchissima esperienza politica che pochi tra coloro che si richiamano a questa corrente sono stati in grado di capitalizzare.



Contro la possibilità di incidere da parte del trotskismo si ricordano le sue frequenti e numerose divisioni. Ciò significa dimenticare che le divisioni e le divergenze caratterizzano la vita di un organismo, mentre il monolitismo caratterizza la morte. Sotto Stalin, l’Internazionale Comunista non conobbe praticamente divergenze, e quando egli la sciolse, nel 1943, non incontrò resistenze perché l’IC era già un cadavere.



Altro è dire che il trotskismo non è stato capace di affrontare le sue divergenze in un quadro di unificazione, con un funzionamento centralista e democratico, come partito mondiale della rivoluzione socialista: queste divisioni indicano il grado attuale della crisi politica e organizzativa del trotskismo. Crisi, però, non significa morte. La crisi presuppone semplicemente che il partito rivoluzionario (fattore soggettivo della rivoluzione) non sia estraneo allo sviluppo oggettivo della lotta di classe, che subisca le sue pressioni e possa perdere la bussola.


Il superamento della crisi implica il concorso di un fattore oggettivo (lo sviluppo rivoluzionario del proletariato) e di un altro soggettivo (il corretto intervento dei rivoluzionari), dei quali solo il secondo è aleatorio. La ricostruzione della Quarta Internazionale, pertanto, è in ultima istanza nelle mani dei trotskisti stessi. È all’interno di questo processo che essi potranno disporre pienamente dell’eredità lasciata da oltre mezzo secolo di lotta del trotskismo in America latina.


È bene ricordare le parole di Trotsky:



«nessuna idea progressista nacque da una “base di massa”, altrimenti non sarebbe stata progressista. Solo dopo l’idea va incontro alle masse, sempre che risponda alle esigenze dello sviluppo sociale. Il cristianesimo fu uno “scarto” del giudaismo. Il protestantesimo, uno “scarto” del cattolicesimo, ossia della cristianità degenerata. Il gruppo Marx-Engels fu uno scarto della sinistra hegeliana. L’Internazionale Comunista fu preparata in piena guerra dagli scarti della socialdemocrazia. Se questi indicatori furono capaci di darsi una base di massa, fu perché non temettero l’isolamento. Sapevano che la qualità delle loro idee si sarebbe trasformata in quantità. Questi “scarti” non soffrivano di anemia, al contrario, avevano in sé l’essenza dei grandi movimenti storici del futuro».




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