Dalle sezioni del PCL

“S’Atzione Antifascista”, la gioventù sarda e la lotta per il socialismo

26 Febbraio 2016
alghero

Le due azioni di Cagliari e Sassari, contro la presenza di Salvini e del fascioleghismo in Sardegna dell’11 febbraio scorso, sono la conferma che sta emergendo una nuova generazione di militanti e combattenti classisti. Si tratta della gioventù sarda presente ai presidi antifascisti contro Salvini. La vergognosa assenza di pressoché tutte le organizzazioni della sinistra politica e sindacale del nord Sardegna, a differenza del PCL e del FIU e di S’Idea Libera, per quanto riguarda la provincia di Sassari, non è la conferma dell’esaurimento della lotta di classe, ma della fine storica della direzione tradizionalmente egemone del movimento dei lavoratori e giovanile in Sardegna dal secondo dopoguerra ad oggi. I residui peggiori di questa direzione vivono ancora parassitando come burocrazia sindacale, o come intellettuali e conferenzieri di seconda categoria che campano pigramente per gentile concessione del Ministero delle attività e dei beni culturali e del PD! Per questa falsa sinistra piccolo borghese e “radical chic”, “l’indifferenza” e la “tolleranza” sono divenute le nuove parole d’ordine nella lotta contro l’agitazione razzista, fascista e squadrista, e la demagogia reazionaria di Salvini e di Casapound. Citano frasi di Voltaire o di altri pensatori dell’Illuminismo o del passato come se fossero messaggini dei Baci Perugina, senza probabilmente aver mai letto bene né studiato quegli stessi autori, (questo è un segno di come l’epoca di massima decadenza del capitalismo porta anche ad una decadenza dell’intellighenzia), altrimenti saprebbero, o non avrebbero dimenticato, che la borghesia e la piccola borghesia democratica e rivoluzionaria, e i pensatori borghesi illuministi, furono ben poco tolleranti e indifferenti nei confronti di re e aristocratici. Ricorderebbero che i principi di Libertà, Eguaglianza e Fraternità universali sono stati affermati con le piche dei sanculotti, con il terrore rivoluzionario dei giacobini, e con i colpi poco tolleranti della ghigliottina. Non ignorerebbero il fatto che l’autore del Trattato sulla Tolleranza, spessissimo citato a sproposito, ancor più spesso da dei veri intolleranti affermava:

“Perché un governo non abbia il diritto di punire gli errori degli uomini, è necessario che questi errori non siano delitti; essi non sono delitti se non quando turbano la società, e turbano la società dal momento che ispirano il fanatismo. Bisogna dunque che gli uomini, per meritare la tolleranza, comincino col non essere fanatici.
Se alcuni giovani gesuiti, sapendo che la Chiesa ha in orrore i riprovati, che i giansenisti sono condannati da una bolla, che quindi i giansenisti sono riprovati, se ne vanno a bruciare una casa dei padri dell'Oratorio per il motivo che Quesnel, oratoriano, era giansenista, è evidente che si sarà ben costretti a punire questi gesuiti. Analogamente, se hanno propagato massime delittuose, se il loro istituto è contrario alle leggi del regno, non si può fare a meno di sciogliere la loro Compagnia, e abolire i gesuiti per farne dei cittadini, il che in sostanza è un male immaginario ed è per essi un bene reale (…)
(…) Se i cordiglieri, spinti da sacro zelo per la Vergine Maria, andassero a demolire la chiesa dei domenicani, i quali pensano che Maria è nata nel peccato originale, si sarà allora costretti a trattare i cordiglieri press'a poco come i gesuiti(…)
(…) Questi sono su per giù i soli casi in cui l'intolleranza sembra essere ragionevole.”
(Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Capitolo XVIII: “Soli casi in cui l'intolleranza è di diritto umano.”)

La loro è un ideologia di comodo che serve a coprire la propria diserzione dalla lotta di classe o peggio ancora il passaggio armi e bagagli al campo avversario. Questa ideologia riflette anche la debolezza delle idee, la disperazione e la meschinità di spirito di certi intellettuali piccolo borghesi sedicenti di “sinistra” che sanno gonfiare il petto ed alzare la voce nei momenti della lotta di classe in cui il proletariato è all’attacco e avanza sicuro di sé, e chinano subito il capo, si ritirano immediatamente in un cantuccio, diventano ultraprudenti, predicano l’Indifferenza nel momento in cui il movimento dei lavoratori subisce sconfitte, arretra perché è disunito e privo di una direzione rivoluzionaria che può organizzare la difensiva e preparalo per la controffensiva.
Il meglio invece della tradizione di lotta, e della direzione, del movimento operaio e del proletariato sardo, quella che ha assimilato tutte le conoscenze e l’esperienza delle vittorie e delle sconfitte di oltre 150 anni di lotta proletaria era invece nella giornata dell’11 a fianco della nuova generazione di militanti sardi e sarde.


Dalla lotta contro il fascioleghismo alla lotta di classe

Il limite fondamentale della gran parte dell’antifascismo sino ad oggi, che fosse riformista o di estrema sinistra, è stato il rifiuto di abbracciare l’insieme della lotta di classe e la lotta per la conquista del potere da parte della classe dei lavoratori e lavoratrici salariati (proletariato). Entrambe queste tendenze hanno considerato, e considerano, l’antifascismo in maniera opportunista o per giustificare il rifiuto del rovesciamento della borghesia e la collaborazione con essa usando il pretesto dell’alleanza con i settori “democratici”, “illuminati”, “liberali”,”antifascisti” della borghesia, come nel caso del togliattismo, dello stalinismo in generale o della socialdemocrazia, o per eludere il problema della conquista del potere politico da parte del proletariato limitando ogni azione alla sola lotta antifascista, allo scontro e al contrasto dei fascisti, senza però porsi contemporaneamente il problema dell’organizzazione della classe degli sfruttati e della costruzione dei rapporti di forza che consenta il rovesciamento della borghesia, cioè delle premesse stesse del fascismo. Il rifiuto della lotta di classe intesa come lotta per la conquista del potere politico da parte dei lavoratori tramite il rovesciamento rivoluzionario della borghesia è un fatto politico grave, che non tiene conto di un punto fondamentale: il fascismo, cioè la controrivoluzione borghese, rappresenta insieme alla rivoluzione, una delle manifestazioni più acute dello scontro tra le classi fondamentali della società nella lotta per il potere.
L’ascesa del fascismo infatti è, innanzitutto, la manifestazione della grave crisi sociale del capitalismo dell’epoca matura, una crisi strutturale che indica, proprio come avviene oggi, una incapacità della riproduzione del capitale, cioè l’impossibilità di continuare a realizzare un’accumulazione naturale del capitale. Il fascismo è lo strumento attraverso cui la borghesia con la forza e la violenza modifica le condizioni di riproduzione del capitale a favore dei settori decisivi del capitalismo(Trotsky). Le norme a tutela del lavoro, lo stato sociale ecc, diventano intollerabili per il capitalismo in tempo di crisi acuta. Giunti ad un certo punto, l’esistenza organizzata stessa (sindacati e partiti politici) del movimento operaio e dei lavoratori salariati, per quanto la propria direzione possa essere moderata e capitolatrice, diventa intollerabile perché la borghesia ha la necessità di intensificare lo sfruttamento in maniera assoluta per strappare ogni goccia di plusvalore, e questa tendenza induce una resistenza dei lavoratori salariati che la direzione burocratica dei sindacati, per la sua stessa sopravvivenza non può totalmente ignorare, o non è più in grado di contenere. Ogni rivendicazione minima, anche la più limitata (qualche miglioramento negli orari, piccoli aumenti di paga,adeguamento dei salari all’inflazione, infortuni, ambienti di lavoro più sani ecc.) nel contesto dell’acuta crisi di sovraccumulazione di capitali e della concorrenza spietata diventa una concessione intollerabile per la sopravvivenza del capitale. La democrazia politica (diritto di sciopero, possibilità di organizzarsi in partiti e sindacati, diritto di manifestare) diventa una minaccia perché permette al movimento operaio e salariato di organizzarsi per far valere le proprie rivendicazioni economiche che colpiscono mortalmente gli interessi economici del capitale. La sopravvivenza del capitale dipende da una violenta costrizione delle stesse forze produttive che “ha generato” e che ormai rompono il limiti ristretti della proprietà borghese. Per fare questo il grande capitale ha bisogno di riaffermare il proprio controllo economico assoluto sui salariati nelle fabbriche e nei posti di lavoro: per imporre la propria dittatura assoluta nei posti di lavoro, deve imporla anche alla società. La borghesia, allora, quando non può più continuare con i mezzi tradizionali, “legali”, “democratici”, finanzia, arma e protegge il fascismo:
Quando l’apparato statale democratico-parlamentare s’impegola nelle proprie contraddizioni interne, quando la legalità borghese è un intralcio per la borghesia stessa, quest’ultima mette in azione gli elementi più combattivi di cui dispone, li libera dai freni della legalità, li obbliga ad agire con tutti i metodi di distruzione e di terrore. Ed ecco il fascismo. Il fascismo è dunque lo stato di guerra civile per la borghesia che raduna le sue truppe.. (L.Trotsky, Europa e America)
Il fascismo ha però un altro aspetto. In quanto manifestazione di un’acuta crisi sociale del capitalismo, il fascismo quando si presenta come fenomeno di massa è la manifestazione dell’acuta crisi delle classi intermedie tra la borghesia e il proletariato: la piccola borghesia in primo luogo (oggi la chiamerebbero ceto medio) ma anche vasti strati popolari sottoproletari e certi settori proletari o di recente proletarizzazione. Nel momento di un’acuta crisi della società borghese, quando, da una parte, la borghesia non è più in grado di esercitare la propria egemonia e trascina nel baratro economico della crisi sempre più ampi strati di ceto medio e, dall’altra, il proletariato privo di una direzione politica rivoluzionaria è incapace di offrire un’alternativa politica credibile alla piccola borghesia in crisi e al sottoproletariato, il fascismo si manifesta, in primo luogo, come espressione della mobilitazione politica reazionaria di ampi settori di questi strati sociali intermedi, ma anche di proletari e sottoproletari, in crisi:
Il movimento fascista in Italia è stato un movimento spontaneo di larghe masse, con nuovi leader provenienti dalle sue file. È stato un movimento popolare alle origini, diretto e finanziato dai maggiori capitalisti. È nato tra la piccola borghesia, il sottoproletariato ed anche, per certi aspetti, dalle masse proletarie; Mussolini, un ex socialista, è un uomo “che si è fatto da sé”, un prodotto di questo movimento…
Il movimento in Germania è analogo soprattutto a quello italiano. È un movimento di massa, con dirigenti propri, che usano molta demagogia socialista. Ciò è necessario per la creazione di una movimento di massa. La vera base [del fascismo] è la piccola borghesia. In Italia esso ha una base molto ampia – la piccola borghesia delle città e delle campagne. Anche in Germania, c’è una larga base per il fascismo… (L.Trotsky, What is fascism?).

Il fascismo è, quindi, anche la manifestazione politica della crisi dei ceti medi e della piccola borghesia, determinata da un’acuta crisi economica della società borghese, che la borghesia riesce a sfruttare come truppa d’assalto contro il proletariato ed il movimento operaio:

I magnati capitalisti non avrebbero mai potuto, con tutto il loro danaro, mobilitare queste masse se esse non si fossero già trovate in una situazione di instabilità e di insoddisfazione che le rendeva suscettibili di essere influenzate dal fascismo.
In Italia come in Germania le diverse categorie sociali intermedie tra la grande borghesia capitalistica e il proletariato organizzato, vittime a un tempo dell’evoluzione e della crisi del capitalismo, sono profondamente insoddisfatte della loro situazione, sia materiale che morale. Esse aspirano a un cambiamento radicale. È necessario capire perché si orientino verso il fascismo e non verso il socialismo. (D. Guérin, “Fascismo e gran capitale”).

Movimenti populisti di destra, o fondamentalmente reazionari, di recente e recentissima origine come la Lega sono una manifestazione di questa situazione di “instabilità e d’insoddisfazione” di queste masse.
Lo stesso può dirsi dell’ascesa di movimenti di estrema destra e fascisti nel resto d’Europa: lepenisti, Jobbit, Alba Dorata, Euromaidan, Orban ecc.
La Lega Nord e Salvini, in Italia, sono quelli che più di ogni altro nello stato italiano, data la loro ideologia, la composizione sociale, il carattere d’organizzazione di massa, i rapporti con settori del grande capitale, il tentativo di coagulare attorno a se tutta l’estrema destra fascista, l’agitazione xenofoba e nazionalista imperialista (intervento in Libia e islamofobia), la stessa corruzione economica e i conseguenti guai giudiziari che ne vedono coinvolti suoi importanti esponenti (un elemento non secondario in comune con il grande capitale e che rende questi ascari dei preziosi e decisi sodali nella lotta contro l’ordinamento giudiziario e la magistratura democratico borghesi e quindi una preziosa truppa d’assalto del sovversivismo delle classi dominanti), tendono ad assumere le caratteristiche e le funzioni di un’organizzazione simile al fascismo o di una particolare formazione fascista o di mobilitazione fascista o reazionaria.
Qualsiasi militante che voglia intraprendere efficacemente la lotta antifascista contro il fascio-leghismo, non può ignorare, quindi, questi due aspetti fondamentali del fascismo che abbiamo appena illustrato: che esso è lo strumento della controrivoluzione borghese in tempo di acuta crisi necessario per liquidare la democrazia politica e sottomettere completamente al proprio sfruttamento il proletariato, e che si avvale di ampie masse piccolo borghesi e sottoproletarie, declassate e impoverite, arrabbiate per la crisi, come truppa d’assalto contro le organizzazioni del movimento operaio. Entrambi questi elementi sono presenti e possono giungere a maturazione nell’attuale situazione di crisi internazionale inarrestabile del capitalismo, dove il proletariato appare ancora fortemente indebolito ed incapace di un’efficace offensiva politica per via della divisione delle lotte, dell’assenza di una direzione rivoluzionaria, per la paralisi politica in cui lo tiene la burocrazia sindacale.


Passare dall’Azione all’organizzazione dell’Azione

“Il fascismo - abbiamo visto- è lo stato di guerra civile per la borghesia che raduna le sue truppe”. Non è possibile quindi per l’antifascismo conseguente sconfiggere il fascismo senza radunare le proprie truppe contro la borghesia. La guerra civile è fondamentalmente una guerra tra le classi sociali fondamentali. L’antagonista storico fondamentale, il solo che storicamente è in grado, e si è dimostra in grado di sconfiggere la borghesia è il proletariato (la classe dei lavoratori salariati). Ogni volta che il fascismo ha vinto è stato solo perché il proletariato o non lo ha combattuto o non è stato in grado di combatterlo efficacemente a causa di una direzione politica riformista, controrivoluzionaria e subalterna alla borghesia, che temeva, con una mobilitazione indipendente del movimento operaio, di urtare e spaventare la borghesia, in poche parole una direzione politica che rifiutava di fare la rivoluzione. In queste condizioni anche un movimento di massa di milioni di persone organizzato in partiti o sindacati può facilmente soccombere sotto la violenza di poche migliaia di uomini protetti dallo stato borghese, e subire anche l’influenza dell’ideologia reazionaria delle classi dominanti: xenofobia, islamofobia e imperialismo. Cioè che bisogna sottolineare oggi è che il fascioleghismo è infinitamente più debole numericamente del proletariato ma è decisamente più organizzato. Gode di grandi protezioni da parte di settori degli apparati dello stato borghese e dei finanziamenti di settori della grande e media borghesia, dei vantaggi propagandistici e clientelari della gestione diretta di settori intermedi dell’amministrazione pubblica, mentre la sua capacità di agitazione e propaganda tra le grandi masse è eccezionalmente amplificata dai grandi mezzi che i mass media borghesi pubblici e privati gli mettono a disposizione. Già su quest’ultimo aspetto, sul piano cioè della propaganda e dell’agitazione tra le masse delle idee reazionarie della borghesia (xenofobia e islamofobia) necessarie all’imperialismo e alla divisione politica del proletariato, il fascioleghismo agisce come truppa d’assalto della borghesia.
Un nemico numericamente anche molto inferiore, ma con grandi mezzi e sopratutto con una direzione decisa, di fronte ad un avversario diviso e demoralizzato può fare breccia e vincere facilmente.
Per questo il problema della lotta contro Salvini e il fascioleghismo si pone in primissimo luogo come problema della riorganizzazione del campo avverso alla borghesia, cioè come riorganizzazione del proletariato.
Deve essere ben chiaro, quindi, che chiunque pensi di condurre una lotta efficace contro il fascioleghismo prescindendo dalla mobilitazione politica della grandi masse proletarie, e per ciò dalla loro organizzazione, limitandosi alla sola iniziativa di settori di militanti d’avanguardia, per quanto eroica e significativa possa essere, è destinato al fallimento. Ciò vale anche per altre lotte specifiche, come quella ad esempio contro le basi militari, o nel prossimo futuro contro la guerra, che hanno visto significativamente impegnate le avanguardie politiche in Sardegna.


La riorganizzazione del campo di classe opposto alla borghesia

La crisi attuale del proletariato è la crisi della sua direzione rivoluzionaria. È decisivo aver ben chiaro il significato storico di questo fatto perché la crisi della direzione rivoluzionaria del proletariato è all’origine della crisi attuale dell’umanità:

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi… …lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. (Marx-Engels, Il manifesto del partito comunista)

Cioè, deve essere chiaro ad ogni militante che il riemergere del fascismo è esattamente il prodotto e la manifestazione di questa impasse storica della lotta di classe, di cui parlavano Marx ed Engels, dove senza una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società il destino è la comune rovina della classi in lotta, cioè la barbarie:

“L’umanità non resta ferma; il suo equilibrio, in seguito alla lotta delle classi e delle nazioni, è instabile. Se una società non può più svilupparsi, decade; e se non esiste nessuna classe che possa farla progredire, si decompone e apre la strada alla barbarie…
…La borghesia aveva creato e distrutto ogni genere di regime. Si è sviluppata nell’epoca del puro assolutismo, della monarchia costituzionale, della monarchia parlamentare, della repubblica democratica, della dittatura bonapartista, dello Stato legato alla Chiesa Cattolica, dello Stato legato alla Riforma, dello Stato Separato dalla Chiesa, dello Stato persecutore della Chiesa, ecc. Tutta questa esperienza, la più ricca e più varia, che è penetrata nel sangue e nel midollo degli ambienti dirigenti della borghesia, gli serve oggi per conservare ad ogni costo il proprio potere. Agisce con tanta più intelligenza, finezza e crudeltà quanto più i suoi dirigenti riconosco il pericolo che li minaccia.
Nel momento in cui le forze produttive del capitalismo urtano contro un muro, non possono più progredire, vediamo la borghesia riunire tra le proprie mani, l’esercito, la polizia, la scienza, la scuola, la Chiesa, il Parlamento, la stampa, le guardie bianche, tirare con forza le briglia e dire, nei suoi pensieri, alla classe operaia : “Si la mia situazione è pericolosa. Vedo l’abisso aprirsi sotto i miei piedi. Ma vedremo chi cadrà prima in questo abisso. Forse prima della mia morte, se veramente devo morire, riuscirò a portati nel precipizio classe operaia!” Che significherebbe ciò? Molto semplicemente una distruzione della civilizzazione europea nel suo insieme. Se la borghesia, condannata alla morte dal punto di vista storico, troverà in se stessa abbastanza forza, energia, potenza per vincere la classe operaia nella lotta terribile che si avvicina, ciò significherà che l’Europa e destinata ad una decomposizione economica e culturale, come è già accaduto a molti altri paesi, nazioni e civiltà. Detto altrimenti, la storia ci ha portato ad un punto in cui una rivoluzione proletaria è divenuta assolutamente indispensabile per la salute dell’Europa e del mondo. La storia ci ha fornito una premessa fondamentale della riuscita di questa rivoluzione, nel senso che questa nostra società non può più sviluppare le sue forze produttive appoggiandosi su una base borghese. Ma la storia non si fa carico, da sé, di risolvere questo problema al posto della classe operaia, dei politici della classe operaia, dei comunisti. No, sembra che lei dica all’avanguardia operaia (ci rappresentiamo per un momento la storia sotto forma di persona posta sopra di noi), dice alla classe operaia: “Bisogna che tu sappia che morirai sotto le rovine della civiltà, se non rovesci la borghesia. Impegnati, risolvi il problema!.” È questo al momento lo stato delle cose. (L.Trotsky, “ Una scuola di strategia rivoluzionaria”, III Congresso dell’Internazionale Comunista – Discorso alla Riunione Generale della Direzione del Partito dell’Organizzazione di Mosca, luglio 1921)

Chiunque neghi oggi lo stretto legame tra la lotta di classe e la lotta al fascioleghismo e, quindi, l’assoluta urgenza della conquista del potere da parte della classe del proletariato, cioè del rovesciamento rivoluzionario della borghesia, è condannato a seguire la borghesia nell’abisso della civiltà che ha aperto sotto i propri piedi. Per dare un’idea dell’abisso che la borghesia, condannata a morte dalla storia, sta aprendo sotto i piedi dell’intera umanità consideriamo la devastazione civile che la guerra in Siria ha provocato e il rischio di una precipitazione dell’umanità a partire da quello scontro in un nuovo conflitto mondiale.
Quindi, il compito immediato e fondamentale che abbiamo di fronte come avanguardia rivoluzionaria che lotta contro il fascioleghismo è innanzitutto riorganizzare politicamente il proletariato sardo. Lo stesso compito è di fronte alle altre avanguardie nello Stato Italiano.
Nel caso specifico della Sardegna il proletariato sardo può essere schematicamente diviso in tre grandi categorie:
I salariati del settore pubblico minacciati nelle loro condizioni di esistenza dallo smantellamento dello stato sociale e dalla crisi dell’economia pubblica che li radicalizza, gettandoli sempre più dalla condizione di aristocrazia proletaria dalla mentalità conservatrice e moderata in quella degli strati più bassi e sfruttati del proletariato.
I proletariato industriale e del settore privato, e dei settori privati ad essi connessi ( edilizia, servizi, grande distribuzione ecc). Questo settore è quello che storicamente, e anche recentemente, ha animato le lotte principali in Sardegna, è il perno della lotta di classe, per questo motivo la crisi politica di questo settore decisivo del proletariato sardo si riflette immancabilmente nell’impasse storica e politica che vive oggi la Sardegna. In particolare i cassintegrati dell’industria sono quelli che hanno animato le principali lotte proletarie e di resistenza degli ultimi anni e hanno confermato, in alcuni episodi di questa recente lotta di classe, la funzione storica dirigente e il ruolo potenzialmente rivoluzionario del proletariato industriale (si pensi alla giornata di rivolta del Sulcis, del 12 novembre 2012).
Il proletariato economicamente non attivo o sottoccupato: i disoccupati sardi, e, più in generale del Meridione d’Italia e dello stato Italiano.
In tutti questi settori pesa in primo luogo come limite comune fondamentale l’arretramento spaventoso della coscienza di classe socialista, cioè della consapevolezza della necessità del rovesciamento del capitalismo e della creazione di un ordine economico e sociale superiore. La coscienza non è un elemento che deriva automaticamente da sé. La lotta economica di resistenza non è sufficiente per la maturazione di una coscienza di classe socialista. La semplice azione non basta. È necessario che essa venga inserita dall’esterno. Ma per fare questo occorre un’organizzazione, l’organizzazione dei settori d’avanguardia che già hanno una coscienza socialista che conduca l’agitazione tra i settori proletari e tra tutti i settori della società per chiarire la necessità di passare alla lotta politica organizzata per il rovesciamento del capitalismo.
Per i primi due settori del proletariato, quelli economicamente attivi, o semi attivi come nel caso dei cassintegrati, la questione della riorganizzazione politica e militante si pone immediatamente in questi termini: unificazione delle lotte in corso, lotta per l’espulsione della burocrazia sindacale, organizzazione indipendente delle lotte nei posti di lavoro attraverso organismi di base democraticamente eletti dai lavoratori, sciopero generale e selvaggio, rivendicazioni transitorie (nazionalizzazione delle imprese senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, potenziamento dello stato sociale, lotta contro il jobs act ecc). Il problema è quello dell’agitazione costante tra questi settori per spingerli ad unificare le forze, creando un fronte unico delle lotte, farne emergere nuovi dirigenti dal basso alternativi ai burocrati sindacali, ristabilirne il morale facendogli sperimentare prime vittorie, per quanto parziali, o azioni generali che gli facciano misurare la propria forza potenziale e gli consentano di immaginare come concreta la possibilità di passare ad ulteriori offensive.


La questione cruciale dell’organizzazione dei disoccupati sardi

Nella lotta contro il fascioleghismo e per la realizzazione della premessa della sua sconfitta, l’annientamento della borghesia, l’organizzazione dei disoccupati ha un’ importanza decisiva per una serie di motivi.
Il fascismo abbiamo visto essere la risposta controrivoluzionaria delle borghesia alla crisi della propria società, il modo in cui la borghesia tenta di tenere in piedi il proprio ordinamento economico politico e sociale dal rischio di dissoluzione precipitando l’umanità nell’abisso della civiltà.
La disoccupazione di massa è esattamente una delle manifestazioni del limite storico raggiunto dalla sviluppo delle forze produttive nella società borghese, degli ostacoli contro cui urtano, e dell’impasse storico della nostra società che segnala l’epoca di decadenza inesorabile del capitalismo e l’inizio di un’epoca di rivoluzione sociale. Essa è la manifestazione della tendenza del capitalismo all’autodissoluzione.
Nel tentativo di arrestare la caduta inesorabile del saggio di profitto il capitale distrugge interi settori della produzione, intensifica lo sfruttamento dei lavorati impiegati nei paesi capitalistici più avanzati dell’ Europa Occidentale, Nord America e Asia (Giappone) sfruttando i vantaggi della “nuova” divisione internazionale del lavoro e della generalizzazione degli scambi avvenuta dopo la restaurazione del capitalismo nell’ex blocco socialista che ha portato ad uno smantellamento relativo della produzione industriale nei paesi più avanzati e il suo spostamento nell’Europa dell’Est, in Asia e Sud America, dato il vantaggio di tassi di sfruttamento più elevati. È questo un fenomeno globale conseguenza, come detto, della restaurazione del capitalismo in vaste aree del pianeta e dello sviluppo diseguale, del tutto incompreso sinora dalla stragrande maggioranza dei settori dell’estrema sinistra, che vi hanno visto la “fine del lavoro” e l’avvento di un’epoca post industriale proprio nel momento in cui la classe operaia, in particolare, ed il proletariato in generale sono divenuti la maggioranza dell’umanità. Queste idee sono un pericoloso segnale che l’arretramento della coscienza di classe socialista investe anche ampi settori dell’avanguardia politica militante e combattente.
La disoccupazione di massa e quella giovanile sono quindi la manifestazione della tendenza del capitalismo all’autodissoluzione, e se la borghesia è stata in grado, però, di sfruttare questa contraddizione del proprio sistema per colpire il movimento operaio organizzato usando la pressione dell’esercito industriale di riserva dei disoccupati, tuttavia esse costituiscono una pericolosa minaccia alla stabilità sociale per la borghesia, perché il capitalismo “non può più mantenere i propri schiavi”:

“… per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando
sotto il giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l'operaio moderno, invece di elevarsi man mano che l'industria progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza. Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società.” (Marx-Engels, Il manifesto del partito comunista).

Per dare un’idea del potenziale rivoluzionario della disoccupazione di massa, e della minaccia da essa rappresentata alla stabilità del regime borghese, basta ricordare alcuni eventi della storia mondiale recente e recentissima: la rivolta piquetera argentina del 2001; le violente mobilitazioni di strada in Grecia degli ultimi anni, e poi la Primavera araba del 2013 (prima della suo riflusso e degenerazione per intervento dell’imperialismo e per l’incapacità della classe operaia locale di fornire una direzione rivoluzionaria a quel movimento).

Come insegna il materialismo dialettico, in una società dominata dall’antagonismo tra le classi, ogni fenomeno sociale ha, o può assumere, un carattere contradditorio. Esso presenta due facce. Contiene, come possibilità, l’affermazione di qualcosa ma anche il suo esatto opposto: la sua negazione. Così la disoccupazione colpisce economicamente il proletariato attivo perché preme in senso peggiorativo, con la concorrenza tra i lavoratori data dalla sovrabbondanza dell’offerta di manodopera, sui salari e le condizioni di lavoro di quelli occupati, e in questo modo viene usata efficacemente dai capitalisti per rimediare in parte alla crisi di sovraccumulazione di capitali intensificando lo sfruttamento dei salariati, e per minare l’unità politica e organizzativa del proletariato attraverso la rottura della solidarietà economica o peggio ancora arruolando i disoccupati tra i propri reparti d’assalto (fascismo). In questo modo disoccupazione e sfruttamento nei luoghi di lavoro si autoalimentano. Ma allo stesso tempo è una manifestazione del fatto che la classe dominante non più assicurare alla classe sfruttata “condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava.” E in questo senso prelude ad una mobilitazione rivoluzionaria contro la borghesia di interi settori proletari della società. Come in ogni contraddizione della realtà sociale la direzione che assumerà la storia dipende dall’intervento di un soggetto che sia in grado di riconoscere e padroneggiare le contraddizioni: nel nostro caso o la borghesia contro il proletariato, o il proletariato contro la borghesia.
La disoccupazione di massa e giovanile, fa di terre come la Sardegna o il Meridione d’Italia, dove raggiunge livelli molto elevati, regioni con condizioni molto simili a quelle dei casi che abbiamo appena citato. Essa è nella nostra terra uno dei principali fattori che possono favorire un’esplosione sociale, ma anche un elemento che pesa come ricatto e frena l’azione del movimento operaio sardo organizzato. Da qui deriva uno dei principali motivi per cui è necessario organizzare il proletariato disoccupato sardo.
Non si è riflettuto abbastanza sul significato della giornata di rivolta e guerriglia popolare del Sulcis Iglesiente del 12 novembre 2012, che fece fuggire in elicottero due ministri del governo Monti Passera e Barca e il sottosegretario De Vincenti. In quell’occasione il nucleo significativo di classe operaia organizzato lì presente, rappresentato dai cassintegrati dell’industria dell’alluminio (Alcoa Eurallumina, ditte d’appalto), fu in grado di scatenare un’autentica rivolta popolare con blocchi stradali, ore di scontri di strada con la polizia, che hanno indotto alla fuga precipitosa in elicottero di massimi rappresentanti del Governo centrale. Cioè è stato possibile perché la classe operaia organizzata del Sulcis è stata in grado di offrire (ed è percepita) dal proletariato disoccupato sulcitano e anche da vasti settori di ceto medio e piccola borghesia locale un ‘autentica direzione politica.
Proprio perché uno degli aspetti contradditori della disoccupazione è che con essa la borghesia cerca di reggersi nella crisi scaricandone il peso sulla classe operaia e il proletariato con il doppio risultato, come abbiamo visto, di mantenere il livello dei profitti e di dividere e minare l’unità di classe tra proletari, dividendoli in proletari occupati e disoccupati, proletari locali e proletari immigrati, in questa contraddizione può inserirsi la demagogia e fascista e fascioleghista che può strumentalizzare è organizzare i disoccupati facendo leva in primo luogo sulla concorrenza tra lavoratori e il risentimento che essa suscita verso il proletariato industriale occupato e sindacalizzato, o verso il disoccupato meridionale da parte dell’occupato del nord, o contro i lavoratori immigrati e stranieri. In Germania uno dei principali motivi dei successi elettorali del nazismo fu la forte adesione dei disoccupati. L’esplosione della disoccupazione in seguito alla crisi del ’29 fu un elemento che lo squadrismo delle SA sfrutterà per la penetrazione e la conquista dei quartieri popolari e dei ghetti di Berlino, tradizionalmente egemonizzati dai comunisti e dalla socialdemocrazia, in quella che verrà ricordata come la “battaglia delle birrerie”.
Daniel Guerin spiegava così i motivi dell’influenza che ad un certo punto esercitò sui disoccupati il fascismo:
“Sempre in basso, il fascismo arruola i disoccupati. Il disoccupato, respinto dal processo produttivo, si trova ai margini della sua classe, i legami che lo uniscono ai suoi compagni di lavoro si allentano, ben presto tra lui e l’operaio occupato non vi è più identità, ma contrasto di interessi. La miseria e la passività lo demoralizzano e lo avviliscono, egli dispera di se stesso e della propria classe, che diviene pronto a tradire per un tozzo di pane.” (D.Guerin “Fascismo e gran capitale)
Dobbiamo anche aver ben presente, quindi, che, nel contesto devastante della crisi economica, la catastrofe umanitaria rappresentata dall’emigrazione, in Europa e Italia, di migliaia di rifugiati politici ed economici extracomunitari, cui si va aggiungendo il fenomeno dell’emigrazione intracomunitaria dal sud al nord Europa contribuisce ad ingrossare pesantemente l’esercito industriale di riserva dei disoccupati europei e offre uno strumento demagogico eccezionale nelle mani dell’estrema destra e della borghesia europee (la “nuova” politica xenofoba del governo conservatore inglese di Cameron, contro i migranti europei nel Regno Unito, tra cui molti sardi e italiani, è da questo punto di vista molto eloquente) per orientare in senso xenofobo e reazionario i disoccupati e anche interi settori di lavoratori occupati. Questo è anche uno degli strumenti demagogici con cui favorire un’adesione di massa alle prossime aggressioni imperialiste che si preparano in Libia, Nord Africa e Medio Oriente, sotto il pretesto dell’intervento umanitario e della risoluzione della questione dei profughi.
Organizzare i disoccupati è, divenuta quindi, una necessità della massima urgenza.
Non è ben chiaro ancora, alla maggioranza di militanti, il potenziale di reclutamento ed organizzazione politica, anche in vista della lotta contro il fascismo, rappresentato dalla gioventù sarda proletaria dei quartieri popolari delle città e dell’aree metropolitane sarde, o di regioni estremamente povere come il Sulcis Iglesiente.
La disoccupazione giovanile di massa, in particolare, costituisce un potenziale bacino di reclutamento per la militanza e la lotta politica di un settore decisivo che per l’età anagrafica è da sempre l’elemento potenzialmente più combattivo è più ricettivo nella maturazione della coscienza di classe socialista: il proletariato giovanile. Il reparto d’avanguardia del proletariato e della classe operaia sarda.


In conclusione

Per concludere, facciamo appello a tutte le organizzazioni dell’antifascismo militante sardo, a partire da quelle che hanno animato la giornata di lotta contro Salvini dell’11 febbraio scorso per una Conferenza sarda delle organizzazioni e dei singoli militanti antifascisti che porti alla costituzione di un organizzazione unitaria sarda di volontari per l’agitazione e di lotta contro il fascioleghismo. Proponiamo che questa struttura si ispiri alla migliore tradizione organizzativa e militante del combattentismo sardo democratico rivoluzionario del primo dopoguerra, dell’arditismo popolare, socialista e anarchico, e del movimento operaio organizzato. Cioè un’organizzazione che insieme alla lotta contro il fascioleghismo si impegni in una campagna per l’organizzazione dei disoccupati e delle gioventù disoccupata sarda, per l’unificazione delle lotte in corso dei salariati e dei cassintegrati sardi, e infine per l’unificazione politica di questi due settori del proletariato sardo.

Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Sassari

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