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Sull'uscita di Falcemartello da Rifondazione Comunista

Né un bilancio né una prospettiva

14 Gennaio 2016
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L'organizzazione Falcemartello (ora movimento politico "Sinistra Classe Rivoluzione") ha annunciato la sua scissione dal Partito della Rifondazione Comunista. L'avvenimento, non secondario all'interno delle sempre più travagliate (e scarse) acque che agitano Rifondazione Comunista, è parte del continuo declino di quel partito, ormai giunto ad una situazione di stremo politico e organizzativo, e segna un ulteriore passo avanti nella deriva normalizzatrice della sua linea politica, essendo ormai praticamente privo di qualsiasi opposizione di sinistra interna.
A prescindere dall'analisi generale su questi aspetti, così come sullo stato attuale della sinistra politica e sociale, si impongono alcune brevi osservazioni specifiche sulla base del documento nel quale SCR comunica la sua uscita dal PRC (1).

Innanzitutto è da considerare la tempistica dell'abbandono del PRC. Nel documento si afferma che si conclude la militanza dei compagni di Falcemartello/SCR nel PRC perché, in seguito all'avvio dell'ultima operazione trasformistica tentata dal PRC, quella del nuovo soggetto unitario con SEL-Fassina-ex sinistra PD e company, «viene meno il senso di un dibattito per linee interne al partito, considerato che questo rinuncia anche formalmente alla propria esistenza politica indipendente». Verrebbe da chiedere: perché queste conclusioni vengono fatte solo per questa operazione trasformistica e non per le precedenti, che lo stesso documento elenca tutte, a partire dall'Arcobaleno? Cosa avrebbe questa operazione di peggio o di qualitativamente diverso dalle altre? In relazione a tutte queste operazioni, il dibattito interno non si era ridotto ad una finzione già da tempo? La rinuncia alla propria esistenza non era, di fatto, una realtà già consumata, con le precedenti scelte ed esperienze?
Tanto più che, a rigor di logica, si potrebbe obiettare che dopo il ribadito no di Ferrero allo scioglimento del PRC nella trattativa con le altre forze che dovrebbero dar vita al soggetto unitario (no che ha fatto saltare il tavolo unitario), il superamento formale di Rifondazione non è né un dato acquisito né una prospettiva imminente. Come peraltro lo stesso documento riconosce, dicendo che come struttura organizzativa il PRC potrebbe in teoria durare ancora a lungo.

Nel documento viene affrontata (in realtà fugacemente) la crisi strategica di Rifondazione Comunista, e del suo «crollo» come organizzazione politica. La degenerazione irreversibile del PRC è una realtà che SCR riconosce oggi, a partire da qualche tempo (IX congresso, 2013), ma che ha ostinatamente negato per anni, contro l'analisi del PCL (e non solo del PCL), anche quando i fatti - dallo stesso documento ricordati (crollo degli iscritti, assenza di radicamento, forte indebolimento organizzativo...) lo testimoniavano apertamente, via via sempre di più. Non aver voluto/saputo vedere o ammettere questa tendenza, già in atto almeno dal 2008 se non da prima, e l'aver anzi assecondato l'idea di una rigenerazione e di una ripresa del PRC (partecipazione di Falcemartello alla segreteria nazionale tra il 2008 e il 2009, con la "svolta di Chianciano" da essi accreditata) quando questa tendenza (oggettiva e soggettiva) si stava pienamente dispiegando e stava dando i suoi visibili frutti amari, costituisce la principale voce di bilancio mancante a consuntivo della esperienza di SCR nel PRC.

Ma l'elemento più grave, e anche il più macroscopicamente rilevante, del documento citato riguarda le cause e gli elementi essenziali all'origine della degenerazione del PRC. Fra di essi, pur nella brevità della loro ricapitolazione, sorprendentemente non viene affatto affrontata e nemmeno citata di passaggio (!) la questione del governo. Dell'esperienza di governo del PRC nell'Unione (2006-2008) e del suo attuale perdurante coinvolgimento nelle amministrazioni di ogni ordine e grado non si fa parola. Come se la radice di tutti i mali (e di tutto l'opportunismo) risiedesse in generici «errori politici» e «sconfitte» (nate dal nulla). Anche qui, l'analisi è ipocritamente reticente, e precisamente sui motivi che hanno diviso la difesa fatta da Falcemartello della permanenza in un partito di governo dai principi di chi vi si opponeva da un versante marxista e rivoluzionario.

Ci sarebbe poi da spiegare - sia detto senza ironia - come mai la base del PRC, in tutti questi anni di continui fallimenti politici, non abbia voltato le spalle ai dirigenti riformisti per andare in massa verso Falcemartello, o anche solo per radicalizzarsi a sinistra (secondo il classico schema tradizionalmente teorizzato da Falcemartello), a meno di non voler vedere la radicalizzazione nella presunta svolta di Chianciano e nella scissione di SEL.

La necessità della svolta di SCR è collegata alla «necessità storica» del partito di classe. Ma la logica dell'appellarsi al programma rivoluzionario e allo stesso tempo al "partito di classe" (generico, né rivoluzionario né riformista, o entrambe le cose) lascia scoperto il senso stesso di questa necessità, e la sua effettiva credibilità.
La parola d'ordine strategica di un generico e vago "partito di classe" o "partito del lavoro" (evocato ed invocato da SCR durante tutti questi ultimi anni, di volta in volta visto nella FIOM, in Landini, ecc., e tutte le volte sfumato prima ancora di essere stato concepito) non fa altro che riproporre, su basi nuove (e al di là dell'intenzione dei compagni di SCR) tutti gli equivoci e le false speranze sui quali si sono basati i partiti di sinistra "ampi" negli ultimi vent'anni almeno, gli stessi equivoci che si sono ritrovati in Syriza, e nella Rifondazione dei tempi andati. Con gli effetti catastrofici che sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Quando nel documento viene denunciato - a ragione - il fatto che i riformisti non hanno tratto le lezioni della vicenda greca, questa accusa andrebbe rivolta anche a chi, dopo la vicenda greca e a fronte del naufragio del progetto di Syriza, si ostina a riproporre un indistinto "partito di classe".
Il punto centrale di questa contraddizione è proprio l'incoerenza e l'inconseguenza del rivendicare un programma anticapitalista e rivoluzionario prescindendo dal tipo di organizzazione che di tale programma si dovrebbe far carico, vale a dire non di un partito semplicemente e genericamente di classe, ma di un partito rivoluzionario. A nulla vale agitare un programma di indipendenza di classe, e un'azione conseguente, se lo si affida a formule che hanno già mostrato, oggi più che mai, di non essere la soluzione, ma anzi parte del problema.
E di sicuro non aiuterebbe a risolvere o a chiarificare nemmeno una delle esigenze strategiche chiamate in causa da SCR e alle quali è d'obbligo rispondere.



(1) http://www.rivoluzione.red/la-nostra-uscita-da-rifondazione-comunista/

Partito Comunista dei Lavoratori

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