Teoria

La violenza di genere come debolezza del patriarcato

Contro l'amore

30 Dicembre 2015

“La violenza di genere come debolezza del patriarcato” è stato l'oggetto del dibattito di una delle giornate della festa del Partito Comunista dei Lavoratori a Firenze. Il tema sullo sfondo che ha orientato le riflessioni delle quattro relatrici è stato un caso di stupro di gruppo avvenuto nel 2008, conosciuto come “lo stupro della Fortezza” (vedi: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/21/stupro-di-gruppo-a-firenze-tutti-assolti-ragazza-giudicata-io-non-violenza/1893590/ ; vedi anche il Testo sentenza assoluzione per stupro di gruppo alla Fortezza da Basso: https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/07/23/firenze-testo-sentenza-di-assoluzione-per-stupro-di-gruppo-alla-fortezza-da-basso/), emblematico – in modo quasi grottesco – nei suoi sviluppi mediatici quanto giuridici. Proponiamo di seguito i quattro interventi che hanno cercato di inquadrare, da prospettive diverse, i nodi contemporanei del maschilismo. Il seguente testo rappresenta il terzo intervento.

In questo intervento mi appoggerò e farò riferimento principalmente al testo “Amore, matrimonio, famiglia e comunismo” (*1) di Alexandra Kollontai, membro del comitato centrale del partito bolscevico nel 1917.
Come partito comunista portiamo avanti una battaglia per l'abbattimento del capitalismo e l'abolizione della proprietà privata. Siamo espressione di una tradizione, il marxismo rivoluzionario, e facciamo riferimento ad una scienza, il materialismo dialettico. Siamo gli eredi di un percorso storico tutt'altro che lineare, fatto di successi e di sconfitte; fra queste seconde vanno annoverati in particolar modo il tradimento della Seconda Internazionale e la degenerazione della rivoluzione nello stalinismo. A differenza di ciò che potrebbero sostenere su di noi altre realtà ed organizzazioni, non siamo un partito rigidamente operaista, anche se conosciamo perfettamente i compiti della classe dei salariati come strumento imprescindibile per abbattere il capitalismo e aprire la transizione verso la società del comunismo. Il fatto è che siamo profondamente consapevoli che la proprietà privata, base del modello produttivo borghese, rappresenta anche un paradigma morale - che dobbiamo analizzare e da cui dobbiamo emanciparci - che costruisce e permea i soggetti nella società del capitale, definendone e costruendone anche la natura delle relazioni interpersonali, dei desideri, delle identità e in ultima istanza degli affetti e dell'amore. Il nostro essere qui oggi (*2) testimonia il fatto che quest'ultimo sentimento, tanto ambiguo quanto ingenuamente preteso universale, oggi si caratterizzi per essere un'attitudine tendenzialmente reazionaria e individualistica, sinonimo di egoismo e culto dell'io. Come ha mostrato Alexandra Kollontai nel suo testo celebre “Largo all'Eros alato!” (*3) ciò che chiamiamo “amore” non è immune alle dinamiche storiche e soprattutto alle conseguenze delle lotte di classe, tutt'altro! Si trasforma nelle epoche e assume altri significati e altri volti in distinti contesti culturali. Sotto questo concetto dunque, oggi si celano a mio avviso due tendenze violente: in un caso rappresenta una violenza sull'altro, ossia un desiderio di appropriazione, un desiderio di totale possesso della sua anima e del suo corpo, che non permette “vie di mezzo” e non concede sconti; tale attitudine porta necessariamente ad un più o meno marcato annullamento dell'altro, ad uno smussamento della sua personalità. Nel secondo caso è una violenza su se stessi in quanto rappresenta un rifugio, una scappatoia “sicura” per sfuggire alla solitudine morale e fisica della nostra epoca; solitudine “fisica” poiché non veniamo educati a incontrarci o tanto meno a toccarci: i nostri corpi, esposti, sbandierati e iper-sessualizzati attraverso i filtri dello spettacolo (*4) e della pubblicità, sono in realtà oggetto di innumerevoli tabù. Questa seconda forma di violenza porta come conseguenza ad un più o meno radicale mutilamento della propria soggettività e ad una tendenziale rinuncia a investire su se stessi. Come scrisse Kollontai in proposito:
«Noi, uomini di un secolo caratterizzato dalla proprietà capitalistica, di un secolo di aspre lotte di classe e di morale individualistica, viviamo e pensiamo ancora sotto il funesto segno di un'inevitabile solitudine morale. Questa solitudine in mezzo ad immense città popolose, tentatrici e rumorose, questa solitudine, anche tra amici e compagni, conduce l'uomo d'oggi ad aggrapparsi con malsana avidità all'illusione dell'«anima gemella», dell'anima appartenente ad un essere dell'altro sesso, in quanto solo l'amore possiede il magico potere di scacciare, almeno per un certo periodo, le tenebre della solitudine».
Dunque l'amore come violenza su di sé e l'amore come violenza sull'altro coesistono entrambi in modo più o meno degenerato all'interno della nostra società e orientano inevitabilmente le nostre relazioni. Questa morale, questa forma di “amore borghese”, rappresenta la nostra quotidianità, la normalità e la norma, accettata, insegnata e imposta. Sempre Kollontai continua nel suo testo:
«Il grezzo individualismo che contraddistingue il nostro secolo si esprime molto chiaramente nell'ambito dei rapporti tra i sessi, come forse in nessun altro settore. L'uomo, fuggendo la solitudine morale, crede candidamente che sia sufficiente amare, rivendicare i propri "diritti su" di un'altra anima, per riscaldarsi nei raggi di una rara felicità, l'affinità morale e la comprensione. Noi, individualisti, dall'animo reso grossolano dal costante culto del nostro «io», crediamo di cogliere la felicità totale, il grande amore in noi e nei nostri simili, senza dare in cambio i tesori della nostra anima! Pretendiamo sempre la totalità indivisa dell'essere amato, e noi stessi siamo incapaci di rispettare la più elementare norma dell'amore: avvicinare l'animo altrui con il massimo rispetto».
Va inoltre sottolineato un altro fattore che rende l'amore un'esperienza odierna tanto tragica, ossia il pregiudizio latente dell'ineguaglianza dei sessi, che conduce inevitabilmente alla concezione dell'ineguaglianza dei loro diritti e dell'ineguaglianza del valore delle loro sensazioni psico-fisiologiche. Si tratta di una doppia morale che Kollontai denuncia essere un'eredità del codice aristocratico che si è riproposta in quello borghese. E questa doppia morale spiega il perché a subire violenza, fisica o psicologica, oggi siano principalmente le donne. Non è dunque il capitalismo ad avere inventato la discriminazione sessuale. Il modello patriarcale esisteva già precedentemente. È però significativo il fatto che nella morale borghese il pregiudizio dell'ineguaglianza dei sessi assuma una dimensione e un ruolo politici; una discriminazione che diviene in un certo senso fondativa del nuovo stato liberale. A questo proposito rimando alla lettura di Angela Groppi, “Le radici di un problema”. In questo testo Groppi dimostra come ad esempio la nascita della categoria politica di cittadinanza si fondi proprio sull'espulsione femminile dalla sfera del potere politico.
Educati all'individualismo dalla società del capitale, siano analfabeti rispetto ad altre possibili forme di unione, fondate su altri sentimenti ed altre pratiche. Ad esempio Kollontai contrappone con alcuni esempi emblematici l'amore borghese a quello “cameratico” che emergeva nella classe proletaria durante la sua fase di ascesa rivoluzionaria:
«Immaginatevi un finanziere rispettato che ritira dagli affari il suo capitale, in un momento critico per l'impresa, nell'interesse della propria famiglia. È chiaro che la morale borghese apprezzerà il suo gesto. «Gli interessi della famiglia» sono in primo piano. Ponete ora, come paragone con questo modo di vedere, l'atteggiamento degli operai nei confronti di un crumiro, che va al lavoro durante uno sciopero, contro i suoi compagni per salvare la propria famiglia dalla fame. Gli interessi della "classe" sono qui in primo piano. Pensate ora ad un marito borghese che è riuscito, con il suo amore e la sua abnegazione verso la famiglia, ad allontanare sua moglie da tutti gli interessi al di fuori di quelli della casa ed a legarla definitivamente alla cura dei bambini e della cucina. «Un marito ideale che ha saputo creare una famiglia ideale», sarà il giudizio borghese. Ma quale sarà l'atteggiamento degli operai nei confronti di un membro cosciente della loro classe che tentasse di distogliere la propria moglie dalla lotta sociale? A spese della felicità individuale, a spese della famiglia, la morale della classe operaia esigerà la partecipazione della donna alla vita al di fuori delle mura di casa. Vincolare la donna alla casa, mettere in primo piano gli interessi della famiglia, propagare l'idea dei diritti assoluti di proprietà di uno sposo sull'altro, sono azioni che violano il principio fondamentale dell'ideologia della classe operaia, della solidarietà tra compagni, che rompono la catena che vincola alla classe. La concezione del possesso di una individualità da parte di un'altra, l'idea della subordinazione e dell'ineguaglianza dei membri di una sola e medesima classe sono contrari all'essenza del principio proletario fondamentale: la solidarietà tra compagni».
È anche in conseguenza di queste importanti riflessioni su ciò che abbiamo definito amore borghese e sulla proprietà privata come principio morale, che come comunisti siamo per il superamento del modello monogamico borghese ed il modello di famiglia nucleare che ne deriva. La famiglia rappresenta a nostro avviso il centro nevralgico delle dinamiche violente descritte finora. I genitori, soprattutto la madre, vivono un'esperienza di abnegazione e sudditanza nei confronti dei figli; rinunciano a se stessi, spesso nel caso delle donne rinunciano a lavorare e alla propria libertà e indipendenza economica per l'educazione e la cura dei figli (ed oggi in fase di crisi economica anche degli anziani); ma allo stesso tempo i genitori cercano di plasmarli e modellarli secondo i propri principi ideologici – che generalmente coincidono con i principi della morale borghese – e proiettano su di loro le proprie aspettative e la propria morale sessuale. In secondo luogo il matrimonio monogamico borghese rappresenta la rinuncia degli sposi a una parte di se stessi e soprattutto a tutto il loro potenziale d'amore. Dichiarando l'unione inscindibile “finché morte non ci separi” gli sposi rinunciano a esplorare e scoprire (almeno pubblicamente, il “tradimento” è la facile e nota scappatoia alla noia del matrimonio) tutte le sfumature della propria personalità, rinunciano all'idea che i bisogni, le necessità ed i desideri cambino nel tempo, anche di giorno in giorno. Le persone, per il successo del matrimonio e per raggiungere quella bestemmia chiamata “armonia familiare” rinunciano a una parte di sé, annientandosi parzialmente nella famiglia e nella relazione matrimoniale. Infine, un altro aspetto problematico della famiglia è che tende a mettere in competizione e antagonismo i lavoratori di una stessa classe sociale; infatti il lavoratore, invece di rivolgere il proprio sguardo e i propri sforzi verso i membri della propria classe per unirsi e sollevarsi contro gli sfruttatori, tendenzialmente ripiega in modo egoistico verso la propria famiglia, a cui vanno tutta la sua fedeltà, tutto il suo lavoro e tutte le sue energie; si arrabatta per sostenerla venendo meno alla lotta di classe, inevitabilmente subendola e soccombendo.
Infine Kollontai ci suggerisce in pagine bellissime i molteplici aspetti e delicatezze dell'eros, così come lei lo vedeva sorgere nella e dalla classe rivoluzionaria nella sua avanzata contro la borghesia.
«L'amore-gioco è esigente: esseri che si avvicinino unicamente sulla base di una simpatia reciproca, che si aspettano l'uno dall'altro soltanto i sorrisi della vita, non permetterebbero che si torturasse impunemente la loro anima, non ammetterebbero che si trascurasse la loro personalità o che si ignorasse il loro mondo interiore. L'amore-gioco, che esige un atteggiamento molto più attento, delicato, meditato, dell'uno nei confronti dell'altro, farebbe disimparare gradualmente agli uomini l'egoismo senza fondo che oggi è il marchio di tutti i sentimenti d'amore. «Un atteggiamento attento dell'uno nei confronti dell'altro, mentre stimola i sentimenti di simpatia sviluppa pure l'intuizione, la sensibilità, la delicatezza». L'amore-gioco, non partendo dal principio del possesso assoluto, abitua gli uomini a dare solo quella parte del loro «io» che non è di peso all'altra, ma che, al contrario, contribuisce a rendere più luminosa la vita. […] L'amore-gioco, o l'amicizia erotica, ha ancora altri vantaggi: preserva dalle caratteristiche micidiali dell'amore, insegna agli uomini a resistere alla passione che asserve e che schiaccia l'individuo. Contribuisce più di ogni altra forma d'amore alla conservazione dell'individuo. L'atto orribile, che chiamiamo penetrazione violenta nell'«io» altrui, in questo caso non ha luogo. «L'amore-gioco esclude il massimo peccato: la perdita della propria personalità tra i flussi della passione. L'umanità contemporanea vive sotto il segno fosco della passione, sempre avida di inghiottire l'altro 'io'».
Purtroppo la rivoluzione è stata tradita e sconfitta. Nella dinamica storica di lotta fra le classi sociali (che altri chiamano semplicemente storia umana) oggi hanno vinto la borghesia e la sua morale perversa. Di quell'esperienza eccezionale e di tutto quell'amore di quei giorni, di speranza e di cambiamento, di quell'ascesa momentanea di una nuova morale sessuale oggi a noi è rimasto in eredità solo il sentimento di solidarietà e cameratismo che ci lega come compagne e compagni di un partito conseguentemente comunista. Nessuno meglio di Majakovskij ha saputo esprimere quel sentimento che ci rafforza e ci unisce sotto la stessa bandiera:

[…] Il Partito è una mano che ha milioni di dita

strette in un unico pugno.

L' uomo ch' è solo

è una facile preda,

anche se vale

non alzerà una semplice trave,

ne tanto meno una casa a cinque piani.

Ma il Partito è milioni di spalle,

spalle vicine le une alle altre

e queste portano al cielo

le costruzioni del socialismo.

Il Partito è la spina dorsale

della classe operaia.

Il Partito è l'immortalità

del nostro lavoro.

Il Partito è l' unica cosa che non tradisce.




NOTE

(1) A. KOLLONTAI: https://www.marxists.org/italiano/kollontai/amore-matrimonio-comunismo.htm .
(2) Festa del Partito Comunista dei Lavoratori a parlare del caso dello “stupro della Fortezza”.
(3) A. KOLLONTAI: https://www.marxists.org/italiano/kollontai/eros-alato.htm .
(4) “Spettacolo” inteso nel più ampio senso possibile, fino ad arrivare alla spettacolarizzazione della politica.

Chiara Mazzanti - PCL Pisa

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