Dalle sezioni del PCL

La presente questione della casa

Considerazioni varie sulla crisi degli alloggi: un problema di grande attualità e drammaticità in tutta Italia

13 Dicembre 2015

Negli ultimi anni, in Italia, per effetto della crisi economica e delle politiche neoliberiste, è cresciuta la percentuale di chi non ha più i mezzi per accedere ad un alloggio stabile e dignitoso. Dall'ultimo rapporto ISTAT emerge, infatti, che nel 2014 un milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) risultavano in condizioni di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 102 mila persone (il 6,8% della popolazione residente). E si tratta di dati ufficiali, cioè di una stima al ribasso rispetto al dato reale.

La carenza di alloggi sociali disponibili, il sovraffollamento degli alloggi esistenti, gli sfratti per morosità, le occupazioni abusive per necessità... non sono più episodi occasionali e isolati, ma, al contrario, episodi sempre più diffusi e frequenti - dal nord al sud Italia - che riguardano soprattutto la maggioranza dei cittadini, proletari e sottoproletari, e anche una parte della piccola borghesia, che la crisi economica ha impoverito.

Da un punto di vista generale, il problema della crisi degli alloggi per le classi sfruttate è un problema vecchio quanto l'organizzazione capitalista della società, e ne rappresenta un prodotto necessario. Già Engels scrisse:

“[...]non può sussistere senza di essa [penuria degli alloggi] una società nella quale le grandi masse lavoratrici dipendono esclusivamente dal salario,[...] nella quale delle crisi industriali violente e regolarmente ricorrenti determinano da una parte l'esistenza di una numerosa riserva permanente di operai disoccupati, dall'altra gettano sulla strada, di tempo in tempo, privandola del lavoro, la parte preponderante degli operai,[…], e nella quale quindi è giocoforza che si trovino sempre affittuari per i più infami porcili; nella quale, infine, il proprietario di case, nella sua qualità di capitalista, ha non soltanto il diritto ma per via della concorrenza, in una certa misura, anche il dovere di trarre dalla sua proprietà, senza alcun riguardo, il maggior canone d' affitto. In una società di tal fatta la penuria di abitazioni non è un caso, ma una istituzione necessaria, e può essere abolita insieme con i suoi effetti sulla igiene, ecc., solo rovesciando da cima a fondo l'intero ordine sociale da cui è generata.[...]”. (F.Engels, La questione delle abitazioni, 1887; edizioni Editori Riuniti 1974, p. 57-58).

Disoccupazione e precarietà si traducono non solo in una diminuzione generale del potere d' acquisto dei salari, ma in vera e propria impossibilità per molti proletari a pagarsi un affitto o a fornire quelle garanzie che esigono le banche e i proprietari di case. Tanto più di fronte a tassi d' interesse sui mutui che hanno raggiunto livelli usurai, spesso al solo fine di alimentare la speculazione finanziaria.

Mentre lo Stato Italiano, in linea col resto dei paesi capitalisti, destina sempre più denaro al finanziamento delle imprese capitalistiche o a singoli capitalisti, ne destina sempre meno per i progetti di politiche abitative a carattere sociale (per i cosiddetti alloggi sociali, per aiutare i cittadini morosi, ecc.) nonostante che l'aggravarsi della crisi economica, l'aumento della povertà e gli elevati prezzi degli alloggi sul libero mercato, renda questo intervento sempre più necessario. Per di più, una gran parte delle case popolari, costruite negli anni '50-'60, di bassa qualità già per gli standard di allora, negli anni hanno mostrato i segni dell'usura a causa della scarsa manutenzione, e sono oggi in uno stato fatiscente e inagibili, diminuendo ulteriormente il numero di alloggi -a prezzi popolari- disponibili oggi.

A differenza che negli anni del dopoguerra, oggi il problema non è più dovuto alla scarsità numerica degli alloggi disponibili, ma, al contrario, ad un surplus di alloggi vuoti (pubblici e privati) paradossalmente non in grado di soddisfare la crescente domanda abitativa. In pratica, vi sono troppi alloggi vuoti che non vengono dati a chi ne ha bisogno: più di 2,7 milioni di alloggi vuoti in tutta Italia (dati Ance). Solo gli alloggi popolari non assegnati, ammontano oggi a circa 600 mila, molti dei quali necessitanti di manutenzione.

Inoltre, nel corso degli anni, in molte città italiane, numerosi quartieri popolari sono finiti nel degrado. Ciò a causa della riduzione delle risorse e per un abbandono deliberato da parte delle istituzioni, nel quadro di tagli alle spese sociali sempre più marcati. Con l'inevitabile risultato di far crescere le situazioni di disagio e di scontro tra abitanti (italiani contro immigrati, assegnatari di case popolari contro occupanti abusivi, assegnatari in regola con i pagamenti contro assegnatari morosi, ecc.). Una guerra tra poveri quasi quotidiana, fomentata anche dalla propaganda razzista delle forze politiche di destra -dalla Lega Nord ai neofascisti di Forza Nuova e Casapound- che ha fatto presa in questi settori e indebolito la coesione sociale.

Dai dati del Viminale risulta che in Italia vi sono -attualmente- tra le 30 e le 50 mila famiglie a rischio per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione. E nonostante che il 70% di queste famiglie possieda i requisiti di reddito e sociali (famiglie con anziani, minori, malati o disabili gravi) previste dalla legge per ottenere la proroga. Una vera tragedia per queste famiglie di proletari, e un vero motivo di gioia per Confedilizia, la potente associazione dei proprietari italiani, che ha sempre chiesto ai politici di non scaricare sui privati il problema abitativo.

Può gioire anche la Chiesa cattolica -primo proprietario immobiliare d' Italia- che ha sempre considerato il proprio patrimonio abitativo come fonte di reddito da amministrare in piena logica di mercato, senza mai pagare le tasse dovute (come IMU e TASI). E molto spesso fa pure peggio, facendo ricadere sugli inquilini oneri di ristrutturazione come la messa in sicurezza degli impianti che, di per se, spetterebbero alla proprietà.

Da anni -in Italia- gli sfratti e gli sgomberi sono in aumento, il 90% dei quali avvengono per morosità, quasi sempre incolpevole. Gli sfratti eseguiti dalla forza pubblica nel 2013 sono stati 31.800 (+8% rispetto al 2012) su 131.000 richieste complessive; nel 2014 ammontano a 36.100 (+13,45% rispetto al 2013) su 150.100 richieste. Nella sola Liguria -nel 2014-sono stati eseguiti 1860 sfratti (+21,4% rispetto al 2013) su un totale di 5800 richieste; di questi sfratti: 955 solo a Genova, 340 a Imperia, 343 a Savona e 223 a La Spezia (dati del Viminale).

A fronte di questa situazione, in molte città italiane si sono sviluppate, negli anni, delle lotte per resistere a sfratti e sgomberi, o per dare vita ad occupazioni collettive. Per lo più si tratta di comitati e movimenti sociali, come il Movimento di Lotta per la Casa, che difendono coloro che sono colpiti dalla crisi delle abitazioni: cittadini -proletari e sottoproletari- che rischiano di essere sfrattati per morosità, o occupanti abusivi per necessità, o persone costrette ad abitare in veri e propri tuguri, e di cui si parla solo quando avvengono fatti tragici che attirano l' attenzione dei media.

A dare sostegno attivo e organizzato a queste realtà di lotta, vi sono soprattutto piccoli settori locali di militanti politici anticapitalisti vari: legati ai vari centri sociali, a gruppi anarchici o alle varie organizzazioni politiche dell'estrema sinistra. Tra questi, i militanti del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), attivi nelle città di Napoli, Genova, Firenze, Bologna, Parma e Brescia.

A questi esempi di lotta organizzata, vanno aggiunti i tanti casi di occupazioni individuali, a volte mediante l'intervento di organizzazioni malavitose che -in cambio di soldi- ti aiutano a trovare una casa vuota e ad aprirla. Una volta fatto ciò, il rapporto finisce lì, sulla soglia di casa.

Chi, in generale, condanna l’illegalità delle occupazioni non ha mai dormito in auto o in una stazione, sotto un ponte o in tuguri con i propri cari. Anche chi utilizza l’argomentazione secondo cui chi occupa porta via la casa agli assegnatari sbaglia di grosso: i veri ostacoli all'assegnazione degli appartamenti vuoti sono altri.
In primo luogo la scelta politica di vendere il patrimonio residenziale pubblico per fare cassa, e agevolare la speculazione edilizia. In secondo luogo lo stato inagibile e fatiscente di molti alloggi popolari per la riduzione di manutenzioni e ristrutturazioni. Infine, per la struttura burocratica dei vari enti per la casa, che rende lunghissima la prassi delle assegnazioni.


Tra l'altro, la Costituzione italiana, all'articolo 42 afferma che: “La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale”. Un principio, nei fatti, mai applicato dalle istituzioni politiche e amministrative -nazionali e locali- per non scontentare le classi borghesi.! Anzi le misure maggiormente adottate -dal buono casa al social housing- rappresentano più un sostegno alla proprietà privata che una risposta all'emergenza abitativa.

Il recente Piano Casa dell'ex ministro Lupi -costretto a dimettersi per lo scandalo Grandi Opere- prevede (articoli 3 e 4) la messa all'asta delle case popolari. E questo senza nessuna facilitazione per gli inquilini eventualmente residenti. Le istituzioni filoborghesi sanno bene che è più facile vendere una casa senza inquilini, ed è preferibile rinunciare a qualche anno di affitto sociale di un appartamento, per poterlo vendere a prezzi di mercato più tardi. Al contrario, nel Piano Casa di Lupi non c' è traccia alcuna di interventi per bloccare gli sfratti, di piani di edilizia residenziale pubblica, di ristrutturazione e utilizzo sociale del patrimonio pubblico, e di riqualificazione urbana per i quartieri degradati.


Di fatto, il Piano Casa non prende di mira l'emergenza abitativa, ma -in piena coerenza con gli interessi borghesi che difende- colpisce i movimenti sociali che si oppongono agli sfratti e attuano occupazioni collettive. L'articolo 5, non a caso intitolato “Lotta all' occupazione abusiva di immobili”, esclude gli occupanti dalla possibilità di allacciamento a pubblici servizi o dal diritto ad ottenere la residenza e, con essa, a godere di diritti essenziali come l' accesso alle cure mediche, all'assistenza domiciliare, l'iscrizione a scuola, la produzione della certificazione Isee, l'inserimento dei figli nello stato di famiglia, fino al diritto di voto. Senza dimenticare che alle operazioni di sgombero, seguono poi le pesanti denunce e i processi giudiziari per gli attivisti coinvolti.

Per una risposta veramente efficace al problema della crisi degli alloggi c' è bisogno di un intervento politico generale, che prenda di mira le attuali politiche economiche dominanti. Ma ciò chiama in causa il funzionamento generale dell'economia capitalista.

Infatti, l'incapacità di soddisfare alle masse popolari il bisogno elementare di avere una casa, anche nei paesi più ricchi, è uno dei numerosi mali che risultano dal modo di produzione capitalistico. In altri termini, l'aggravarsi della crisi delle abitazioni è una delle conseguenze dirette dell'attuale tappa della crisi dell' economia capitalistica e della sua natura.

Se la classe operaia italiana fosse in condizione di far pesare -oggi- la sua forza e capacità di lotta a livello nazionale, certamente potrebbe condizionare le politiche governative a suo favore, obbligando l'attuale governo Renzi e le varie amministrazioni locali filoborghesi a fare delle concessioni significative anche in questo settore specifico, per esempio mediante rivendicazioni come: 1) la soluzione dei problemi di coloro che non hanno alcun alloggio o che vivono in tuguri, tramite la requisizione di tutti gli alloggi sfitti necessari allo scopo, compresi anche parte degli alloggi abitabili sotto-occupati o inoccupati dai borghesi (es. case di villeggiatura), e della Chiesa. Non c' è nessuna ragione per cui famiglie proletarie si ammassino in cinque o sei in camere insalubri, mentre appartamenti di 300 o 400 mq sono occupati saltuariamente da famiglie borghesi, o addirittura da persone sole; 2) la requisizione e ristrutturazione, da parte dello Stato e dei Comuni, di tutti gli alloggi o stabili fatiscenti, compresi quelli nei quartieri borghesi, per darli - una volta ristrutturati - in affitto a canoni agevolati; 3) una sanatoria generalizzata delle occupazioni abusive e l’assegnazione rapida degli appartamenti pubblici sfitti.

Inoltre, una classe operaia davvero unita e combattiva a livello nazionale potrebbe cercare di imporre obiettivi più generali, come: l'aumento generale dei salari, la scala mobile per salari e pensioni basata sui bisogni reali, compreso il costo medio degli affitti; il divieto dei licenziamenti collettivi, la ripartizione del lavoro esistente tra tutti, la trasparenza sui conti aziendali, ecc... che sono una garanzia certa contro il peggioramento delle proprie condizioni di vita.

Quindi, è necessario, fin d'ora, provare a cambiare i rapporti di forza oggi esistenti tra le classi, proponendo alla classe operaia obiettivi di lotta che la oppongano frontalmente alla classe sociale capitalista e ai vari governi, che ne difendono gli interessi. Senza dimenticarsi, allo stesso tempo, che non sarà mai possibile risolvere il problema della casa per l'insieme dei proletari senza abbattere il sistema capitalista.

I militanti del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) faranno tutto quello che è nelle loro possibilità affinchè il movimento operaio -nel suo insieme- assuma la questione della casa all'interno di un proprio programma di lotta generale: che preveda la difesa e crescita degli episodi di lotta collettivi, e la diffusione di una coscienza di classe e anticapitalista, in grado di sviluppare intorno alla classe operaia un ampio fronte di lotta e di resistenza alle politiche filoborghesi dei vari governi nazionali e delle varie amministrazioni locali.

Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Genova

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