Interventi

Per una critica leninista dello Stato Islamico

29 Novembre 2015

Dal 2014 in Iraq e in Siria un esercito di miliziani armati si macchia di abominevoli abusi a danno di civili, lavoratori e cittadini comuni, senza riguardo di sesso e d'età.
È' un movimento che era già noto ai cronisti della seconda guerra del golfo per essere presente, come cellula minoritaria, all'interno dell'assai più nutrita fazione di ribelli capeggiata dall'imprenditore miliardario Osama Bin Laden, Al-Qaeda. All'interno stesso della quale fu, però, ostracizzato e destituito d'ogni autonomia decisionale.
La critica dello sceicco ai suoi camerati fu, al secolo, d'adottare metodi di jihad efferati al punto di ritorcersi contro i membri della stessa Umma (la comunità di fede islamica) rei, a loro avviso, di apostasia o d'insufficiente abnegazione alla legge coranica.

L'armata nera consta di gruppi affiliati anche in Egitto, in Libia, in Afghanistan e in Nigeria, dov'è presente col nome di Boko Haram.Su tutti gli altri territori, si definisce Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS) o Stato Islamico, o solo Stato (Dawla).

Dopo il 13 Novembre 2015, giorno di una serie di stragi coordinate ad opera di alcuni kamikaze facenti capo al Daesh (altro nome del gruppo) in vari punti di Parigi dove perdono la vita 130 persone, in Europa e fino negli USA scatta l'allarme terrorismo.
Le conseguenze sul piano nazionale sono quelle di una serie di provvedimenti securitari che farebbero impallidire la DDR pre-'89.

In Francia e non solo, in questi giorni (ma è Hollande a sentirsi "sotto assedio" e "minacciato dal terrore"!), la vita dei proletari e dei sottoproletari dai tratti non spiccatamente occidentali e di confessione malauguratemente islamica è sottoposta al torchio dello spionaggio, delle perquisizioni arbitrarie ad opera della polizia senza nessuna possibilità di appello alla magistratura, della persecuzione fisica e morale, e della possibilità di rimpatrio immediato di soggetti sospettabili.

I motivi fondati di questa "sospettabilità" di terrorismo in Francia?
Non ci sono. Basta stare sulle scatole, per qualche ragione, a qualcuno, essere segnato a dito, e si rientra, con tutti i crismi, nel mazzo dei sospettabili.

Per l'occasione, l'autorità è stata rimessa tutta nelle mani delle coltissime e sensibilissime forze dell'ordine (le quali, com'è noto, vengono miratamente addestrate in vista di queste situazioni) che godranno della piena giurisdizione di scegliere come e cosa fare coi sospettati, e solo in caso di terrorismo comprovato potrà tornare in auge la mediazione della magistratura. Non si sa più a far che, a quel punto.
A poter sbattere in galera con la coscienza pulita, forse.

La destra francese da Marine a Marion Le Pen, alla quale non manca di far eco quella italiana tra Salvini e la Meloni, sta copiosamente bagnando il pane in questa scodella di sangue e lacrime, senza nessuna vergogna di svelarsi per gli sciacalli che sono.
Approfittandone non solo per calamitare consensi scaturiti dalla paura e dal frastornamento generale, ma sfruttando l'occasione per rispolverare tutto il rancido armamentario ideologico della xenofobia e della discriminazione, provando a restaurare una costitutività di procura al loro fascismo, ma (oh bella!) impugnando i valori della laicità in nome dei quali perseguitare nel modo più impopolare e intollerante quello che tacciano proprio di intolleranza e di impopolarità.

"Nauseante profanazione!", avrebbe sbottato il buon Trotsky.

Ma è uno spettro, questo dell'islamofobia, che, con la complicità dei media e la strumentalizzazione della politica, si allarga di giorno in giorno e rischia di prendere corpo in qualcosa di assai più concreto e terribile che di un clima di tensione generale.
A Parigi, si vede, questa incarnazione ha avuto già il suo compimento a livello di provvedimenti politici.
E nella desolante assenza, sullo scenario politico in Francia e fuori, di un'opposizione reale, tutto questo potrebbe degenerare.

Sul campo avverso (avversione più pretesa che fattuale), il panorama non è meno inquietante.
Dal fronte PC, lo stalinista Marco Rizzo annusa la tremarella che circola e scimmiotta il pugno di ferro alla Putin dicendo di voler chiudere tutte le moschee e contando di offrire in questo modo, alle comunali torinesi, l'uomo della provvidenza che si opporrà machisticamente sia ai boogeyman talebani sia a quegli smidollati di sinistra e dei centri sociali, capaci solo di contestare invece che farsi la barba (cit.) che, coi metodi loro, questa situazione non la risolverebbero mai.

Il maoista Giovanni Scuderi del PMLI, si fregia di dichiarazioni come questa: "Tra noi e lo Stato islamico esiste un abisso incolmabile sui piani ideologico, culturale, tattico e strategico, e non condividiamo tutti i suoi metodi di lotta, atti e obiettivi. Ma un punto fondamentale ci accomuna, quello della lotta senza quartiere all’imperialismo.
E’ un punto che supera al momento ogni e qualsiasi altra divergenza, ed è il perno della nostra alleanza antimperialista di fatto".
Di certo è il meno, ma chi pensa che una tale solidarietà da parte dei maoisti ai terroristi islamici suoni quantomeno grottesca, essendo, costoro, nati precipuamente in funzione antisovietica su commissione degli americani in Afghanistan, ed è lì a chiedersi se in questo mondo è pazzo lui o stiano impazzendo gli altri, si tranquillizzi: i maoisti, savi non sono stati mai. Tradendo la solita logica campista e bipolare tipica del nazionalismo (anche) "...rosso", incapace di leggere i naturali conflitti tra reazionari stessi per la primazia e il potere, e dicendosi che un amico, da questa parte o quella, si dovrà per forza averlo, il Partito Marxista Leninista Italiano, a dispetto del nome che porta, si riconferma come un partito che, al posto di Marx filosofo, ha a che vedere più con Marx i fratelli: le risate sperticate.

Franco Ferrari del PRC prova a intraprendere un'analisi del fenomeno, ma in sostanza non si ferma che alla constatazione di quelli che, certamente, sarebbero - e sono! - criteri di analisi sbagliati (sconfessando le patacche complottarde della creazione a fini spionistici e imperialistici di Al-Qaeda e ISIS ad opera di Israele e Stati Uniti, e del loro finanziamento diretto alla "guerra santa"). Sbugiardamenti sui quali siamo tutti d'accordo, ma è il passo successivo a mancare.
Delle cinque W, Rifondazione non risponde nemmeno a una. Ma pensa bene di aggiungerne una sesta ("What no?") e di rispondersi da sola a quella.

Nel frattempo, centrodestra e centrosinistra, magnificamente sintetizzati nella bifida creatura di Matteo Renzi, la pensano allo stesso modo: il modo di Hollande.

A fronte di tanto smarrimento, quindi, tra la destra che recita epicedi finti e utilitaristici per farne pretesto d'ennesima crociata, e la sinistra "ortodossa" (?) che ritroviamo arroccata su tragicomiche posizioni "rossobrune", continua a mancare un'analisi politica materialista e leninista sul fenomeno ISIS.

Il dolore e la ripugnanza da soli, non solo non bastano ma in preda ai pescecani di salotto, ai bracconieri di voti, sono un'arma di distruzione di massa nelle mani dello stesso nemico che è causa di tanto orrore: la borghesia.

IL RIFIUTO DI UN'ANALISI SUL PIANO DELLA RELIGIONE E L'ESIGENZA DI UN'ANALISI SOCIALE E POLITICA

Dire "islamico" o dire "musulmano" o dire "fondamentalista" o "integralista" è dire niente.
In primo luogo perché, nei fondamenti dell'islam (se i giornalisti studiassero, prima di sparare alle mosche) non è contemplato niente di quello che si prefiggono e fanno i mujahedin dell'ISIS; la sunna di Maometto non prevede l'istituzione del califfato, che invece è esistito fino al 1924 con Abdul Mejid II a Istanbul, e non prevede tanto altro come, ad esempio, il sistema ad usura, quindi i rapporti con le banche. Con le quali, invece, l'autoproclamatosi califfo del Daesh, Abu-Bakr al-Baghdadi, ha cominciato a finanziarsi alla fine della guerra, mediante le fondazioni di carità islamiche del golfo persico.

In secondo luogo perché l'islam è una religione come tutte le altre, vecchia come tutte le altre, con la necessità storiche e i limiti dialettici di tutte le altre, formatasi e sviluppatasi in un certo momento della storia, ma soggetta allo scorrere del tempo anch'essa. Come qualsiasi altra. E, quindi, soggetta a ciò che di nuovo il divenire sociale delle condizioni materiali della vita associata, delle istituzioni e del pensiero in genere, porta.

Con ciò si vuole dire che l'islam in sé, "puro", non esiste. Ed è una categoria che i media e la politica impugnano a ufo.
Così come, in sé, non esiste e non sarebbe mai potuto esistere il cristianesimo, se il raffronto può aiutare nell'inquadramento del problema.
Esistono coniugazioni che si danno di questa dottrina, coniugazioni che rispondono sempre a una visione sociale dei rapporti tra gli uomini.

Un imam calato nel presente e nella nostra storia, che contempla sia i traguardi sia le contraddizioni del nostro esistere storico oggi, darà della fede musulmana una lettura "progressista".
Così come coloro che, per ragioni che vedremo, si collocano fuori e contro questa storia, ne daranno un'interpretazione di tipo retrivo e reazionario.
L'ISIS si pone esattamente su questo secondo solco. Ecco che questa astratta "religione", allora, non c'entra e mai c'è entrata niente.
Checché ne dica la Meloni e le sue redarguizioni pubbliche al signor ...Islam di risolvere i "problemi di violenza interni alla propria cultura" (sic!), lo Stato Islamico persegue un preciso progetto politico in vista di un preciso ordinamento sociale e di un preciso modello di gestione dell'economia e del diritto, di cui la religione non è che una veste a maglie larghissime, sebbene la prima a volersi mostrare. E il progetto politico e l'ordinamento sociale che l'ISIS persegue è quello di una restaurazione del sultanato e del califfato.

Il califfato è stato in Turchia e in Iraq, nel corso dei secoli fino ai primi del Novecento (età in cui si estinse), la carica di suprema magistratura e vertice della gerarchia politica delle nazioni dell'Umma, la comunità islamica. Incarnava l'autorità spirituale e temporale, principe, giudice e capo delle milizie. Un faraone in piccolo o un signorotto feudale, con l'aggiunta di un vicariato divino sulla terra. E' di questo che lo Stato Islamico parla quando parla di ripristino del califfato.

Ma qual è la classe sociale che può farsi latrice di un tale prospetto? Non certo i salariati e la classe operaia irachena o siriana.

Da Osama Bin Laden ad al-Baghdadi si tratta di una piccola e media borghesia provinciale, schiacciata dal corso del grande capitale internazionale con l'imperialismo delle guerre a direzione USA come proprio acme, in un soprassalto di revanscismo nostalgico, che dichiara adesso al mondo di voler tornare al tempo in cui, effettivamente, la loro classe sociale godeva di tutti gli agi che non ha più.

Per questo gli scherani dell'ISIS sono in ritardo di un secolo sull'orologio della Storia.
Li avremmo visti bene nei tempi in cui in Italia e in Germania i grandi oppositori della Storia, i colossi reazionari come Hitler e Mussolini rimpiangevano l'uno la superiorità ariana dei templari celtici e l'altro i fasti della Roma imperiale, provando a rifarsi "Cesari" ognuno in casa propria, e convinti che i mali della modernità si risolvessero con un tuffo a catapulta nei secoli passati.
Questo innesto mostruoso, nella prima metà del Novecento, la borghesia reazionaria mediorientale se l'è perso.
Nella seconda metà del secolo è stata assalita e smembrata dalla più forte borghesia occidentale. E questo colpo, dunque, lo sta tentando ora.

Purtroppo per lei, però, con una differenza: se il Mussolini degli inizi poté intortare anche fior di intellettuali e larghe frange di sinistra vendendo, alla bell'e meglio, un becero nazionalismo borghese puntellato di elementi socialisteggianti (essendo, ai tempi, la dottrina socialista, variamente declinata, pane quotidiano persino tra ultraconservatori come Bismarck) adesso l'ISIS di socialismo non può proprio parlarne.
Non può neanche fingere rivendicazioni para-socialiste. E il suo rigetto dell'imperialismo e della globalizzazione non è un rigetto dell'imperialismo e della globalizzazione in quanto tali, ma un rigetto dell'imperialismo e della globalizzazione svolti sotto l'egida di una bandiera a stelle e strisce anziché sotto una bandiera nera. Cioè sotto di sé.
L'ISIS è condannato, quindi, a non potere ingannare più nessuno e, mancando dei mezzi militari, a non potere nemmeno imporsi come vorrebbe.

Considerando fallito il socialismo al pari del capitalismo (ma, inderogabilmente, il capitalismo occidentale; cioè il grande capitalismo che mette in ginocchio la piccola e media-borghesia della propria estrazione) e della "democrazia" in genere, sono costretti a venire fuori, nella loro vera natura sociale, questi piccoli e medi borghesi iracheni capaci di comprare stabilimenti di raffineria di greggio e campi petroliferi, commercianti e trafficanti (anche se costretti al contrabbando), nostalgici di un principato ereditario ai tempi del quale, effettivamente, la loro attuale piccola e media borghesia all'ultimo stadio, è stato il ceto aristocratico nazionale.
(Ma sempre per volere di Maometto!)

Così, in ultima analisi, si configura politicamente e socialmente il fantomatico Stato dell'Islam:
un manipolo di spietati restaurazionisti a nuoto contro la corrente della Storia per richiamare in vita il fantasma di un prestigio sociale che il movimento oggettivo del capitale nel mondo ha soppresso, continua a sopprimere, e non restituirà più.
Un mostruoso tentativo di riportare indietro le lancette dei secoli che, in Italia, abbiamo fresco alla memoria nei contenuti e nelle forme che, non è un caso, coincidono sempre.

L'islamo-fascismo dello Stato Islamico non è, dunque, in alcun modo recuperabile in chiave antimperialista, se non nel senso che all'imperialismo attuale, sotto la direzione dell'alta borghesia occidentale, i magnati del wahabismo vorrebbero sostituire se stessi continuando, sul piano economico, per la medesima via, ma sul piano sociale e politico, essendo costretti a peggiorare di molto l'atrocità del mondo.
Come già fanno e, come il fascismo, remando controvento per coartare ad essere quanto non può più essere.

Ma d'altra parte non condividiamo e mai condivideremo le geremiadi e l'allarmismo della borghesia che taccia di indistinto terrorismo qualsiasi cosa le si opponga, o in senso competitivo o in senso dialettico. Giornali, televisioni e politica fanno fronte comune nel tacciare di terrorismo persino gli occupanti della Valle Susa.
L'unico terrore e l'unica violenza che possiamo accettare è quella della lotta rivoluzionaria, la guerra di classe che vede contrapporsi frontalmente gli interessi della borghesia e di un capitalismo senza bandiere e dogane, e quelli del proletariato internazionale.

La Storia insegna che il solo momento in cui imbracciare i fucili è servito a migliorare il mondo, non a peggiorarlo, è stato proprio quando i fucili furono rivolti dalla classe lavoratrice contro i padroni.
Ed è una lotta che continua in tutto il mondo e che non si fermerà fino alla costruzione del comunismo e di una vera repubblica dei lavoratori.

Salvo Lo Galbo

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