Dalle sezioni del PCL
LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO
QUANDO IL LAVORO HA IL GUSTO AMARO DELLA MORTE
6 Agosto 2007
Il PCL della provincia di brindisi denuncia la disperata situazione dei lavoratori meridionali, ed esprime solidarietà alle famiglie delle vittime, in un tale stato di allerta riteniamo necessarie mobilitazioni e manifestazioni di dissenso al sistema padronale che uccide.
Lanciamo questo appello a tutte le forze e i soggetti politici e apolitici, sindacali e ai singoli cittadini.
Questa volta sono ben quattro le morti consumatesi in un solo giorno sul posto di lavoro,
un altro triste record firmato Puglia, morto un operaio all’Ilva di Taranto (il trentanovesimo negli ultimi quattordici anni), un agricoltore schiacciato da un trattore in una azienda agricola Brindisina, altri due morti sui cantieri edili,tragedie di tutti i giorni che passano quasi inosservate alla società opulenta dei consumi, della produzione irregolare priva di tutele e sicurezza.
Morti di giovani e meno giovani lavoratori che sprecano la propria vita nella folle corsa al contratto a tempo indeterminato, e poi ironia della sorte come nel caso del giovane Mimmo Occhinegro operaio Ilva, quando lo ottengono soccombono al destino che li ha teso una assurda trappola senza uscita quella della morte sul luogo del lavoro, incidenti che si ripetono nell’annichilimento del ricatto occupazionale che ormai nel sud Italia è ordine del giorno.
Compromessi morali che si abbattono nella vita di uomini e donne costretti ad accettare le tante, le troppe irregolarità,la mancanze di sicurezza, gli orari estenuanti, i turni logoranti, quelle stesse irregolarità che conducono molti nel precipizio degli incidenti invalidanti, e in quello stesso senza ritorno del decesso.
Uno stillicidio impressionante che ci aiuta solo a ricordare che siamo figli di un Dio minore, figli di una società capitalista avanzata, globalizzata che gira la testa altrove, che non vuole vedere cio’ che accade quotidianamente e che sta sotto gli occhi di tutti, che non trova il coraggio di alzare la testa e che si adatta anche al peggio, anche all’idea che morire puo’ essere un rischio che vale la pena di correre se hai una famiglia da sfamare, un rischio che forse non trovi scritto sul contratto di lavoro ma che è sottointeso in un patto non dichiarato, con una stretta di mano come si sigilla un accordo tra gente d’onore, un onore vacuo privo di dignità umana che acconsente all’urto degli eventi anche quelli più tragici, quegli incidenti per la non messa insicurezza degli impianti che ti fanno scivolare giù da un ponte, o che ti fanno piombare addosso un tubo gigantesco, o che ti schiacciano la testa con la ruota di un trattore.
Regole di uno stato deviato che non reagisce più con lo sdegno dovuto, che mentre si celebrano i funerali dei lavoratori deceduti, i compagni di lavoro scioperano davanti alla fabbrica sapendo che il prossimo sarà un di loro, e che anche a loro tocca rischiare, e il giorno dopo tutto rientra nell’artificiale normalità sino al prossimo incidente, sino alla prossima tragedia.
Lavoratrici e lavoratori come pedine su di una scacchiera che vengono manipolati, spostati, usati in un gioco più grande di loro, il gioco degli affari delle speculazioni, del consumismo fiorente.
Immigrati che muoiono nelle campagne del brindisino, del foggiano del metapontino e affossati in qualche buca sotto la terra.
E’ questa la società evoluta che ci siamo conquistati, la società occidentalizzata, civile e democratica di cui tutti parlano?
Se questa è la società che abbiamo costruito varrebbe la pena di abbatterla, o di scappar lontano.
Dove sono i sindacati, le istituzioni, dov’è la giustizia?
Probabilmente per molti oggi i lavoratori sono merce avariata per i quali non vale la pena dolersi più di tanto, strumenti superati dalle macchine di produzione, di montaggio, sono solo bulloni di un ingranaggio che non meritano neppure considerazione, che non meritano diritti, tutele, sono parassiti che vogliono vagabondare, fannulloni per alcuni, gentaglia che a 57 anni pretende la pensione.
Ma per fortuna se è vero come è vero la classe operaia va in paradiso, anche perché dove dovrebbe andare se non in paradiso dopo aver sgobbato per anni, sotto il sole nelle campagne o usurati nelle fabbriche, negli alti forni, nelle cave, nelle miniere, sui cantieri, nei capannoni tessili, nei trasporti, nelle cucine dei ristoranti ecc…grazie al cielo un modo migliore “forse” ci aspetta, anche se a ventenni al posto di morire sarebbe bello pensare di vivere in un mondo migliore magari un po’ più socialista, che non fosse il paradiso, ma la “terra”.








