Interventi

Stessa faccia, stessa razza

20 Novembre 2015

Non ho mai sentito, visto e letto tante cazzate come in questi giorni; e di robe demenziali ne girano tante, normalmente e comunque. Ma stavolta sugli attentati di Parigi i nostri pennivendoli, intellettuali di professione, opinionisti e politicanti hanno superato se stessi e ce ne voleva davvero!

Ma partiamo dal capo in testa, cioè il piccolo mostro di Firenze, al secolo Matteo Renzi, nostro presidente del consiglio. Ha detto che per garantire la sicurezza nel nostro paese non sono necessarie leggi speciali come quando c’era il terrorismo. Certo! Lui è un democratico e quindi ci tiene alle libertà costituzionali; peccato che le leggi speciali ci siano già e vengano applicate normalmente contro chiunque rompa i coglioni a lor’ signori; e lui lo sa naturalmente. Chiedete ai militanti NO TAV e ve lo spiegheranno bene. Una parte di queste sono eredità del fascismo, mai abolite naturalmente. Poi ci sono quelle varate durante i cosiddetti anni di piombo alle quali si aggiungono le più recenti del cosiddetto pacchetto sicurezza. Insomma siamo tutti sicuri e serviti, al punto tale che se a qualcuno gli girano i coglioni possiamo essere arrestati e trattenuti senza alcuna prova o mandato di un magistrato.

Uno ha detto che quelli dell’ISIS sono dei vigliacchi perché hanno ucciso degli innocenti. Ora, assassini lo sono certamente, fanatici ovviamente, fuori di testa probabilmente, ma vigliacco semmai è quel pilota francese o americano che solo premendo un tasto lancia un missile su un quartiere di una città. Invece uno che compie un attentato, sapendo di lasciarci la pelle con certezza o molto probabilmente, non mi sembra un vigliacco; se per vigliaccheria s’intende mancanza di coraggio a prescindere dal valore etico delle motivazioni. E poi, in questo caso vigliaccheria, coraggio, abnegazione ecc. mi sembrano atteggiamenti più letterari che reali, o meglio più culturali che naturali e sociali: la guerra è barbarie e a infiocchettarla non cambia.

Quelli che cambiano sono i modi di farla ma questo dipende dalla tecnologia. Questa etica patriottica, che è quella dei padroni dei soldi e dei militari al loro servizio, fa abbastanza vomitare!

Un altro si è cimentato con la letteratura retorico-lacrimevole descrivendo il destino radioso che aspettava quei ragazzi uccisi al “Bataclan”.

Erano studenti, ricercatori, manager, ecc.: gente che conta, la crema d’Europa, future classi dirigenti, mica proletari di “banlieue”.

“Chissà quali grandi scoperte avrebbero fatto per il bene dell’umanità e che figli meravigliosi avrebbero generato, se fossero vissuti”, ha scritto, trasudando a ogni battuta autocompiacimento scrittorio.

Papapovero ha sfoderato invece una fila di ovvietà che se ne ricaverebbe all’istante un vocabolario: i bambini che muoiono sotto le bombe, il mercato delle armi ecc. Però stavolta non se l’è cagato quasi nessuno perché adesso il palcoscenico è occupato da cipigli guerreschi; per cui i discorsi pacioso-pacifisti e pacificanti non vanno di moda. In sostanza bisogna che la gente se la faccia sotto e quindi il buonismo non va e nemmeno è funzionale alla bisogna, nel senso che ora bisogna bombardare, punto e basta.

Allora Papapovero dovrà inventarsi caroselli migliori se vuole rimanere al centro dell’attenzione.

Qualche giorno dopo gli attentati, i media a reti unificate ci hanno mostrato il pubblico inglese della partita amichevole di calcio Inghilterra- Francia cantare la Marsigliese: commovente tributo di solidarietà ai vicini d’oltremanica a difesa dei valori di libertà e democrazia dei quali l’Occidente sarebbe portatore nel mondo.

A prescindere che libertà, uguaglianza e fratellanza sono valori universali e sottoscrivibili, anche se alquanto generici, fa un certo effetto che i più irriducibili e storici nemici della rivoluzione francese si identifichino nel simbolo che più la caratterizza.

Un effetto che assomiglia al disagio che prova quello che recatosi a casa di un amico da sempre vegetariano, appena varcata la soglia, sente giungergli all’olfatto odor di soffritto a base di pancetta.

Oggi sono altri tempi naturalmente, ma che la retorica sia l’unica risorsa dell’Europa per simulare l’inesistente politica comune sul Medio Oriente, la dice lunga sulla competizione globale a ”geometria variabile” degli innumerevoli attori in campo a partire, oltre che dai singoli Stati europei, anche dalla Russia e dagli Stati Uniti.

I dotti analisti ed esperti ci vogliono convincere che il problema è Assad. Come a dire che risolto il problema siriano la strada sarà in discesa. Certo che ora l’epicentro del caos è la Siria ma prima era la Palestina, poi l’Afganistan, la Jugoslavia , l’Iraq, la Libia. Un movimento continuo di collocazioni più o meno imprevedibili, ma che sono state e sono in misura crescente l’espressione di una crisi economica globale dove gli Stati sembrano contare sempre meno rispetto agli interessi dei grandi gruppi multinazionali finanziari e industriali.

Nonostante la ripresa americana il commercio ristagna anche per via della crisi dello Yuan cinese. Inoltre i capitali in eccesso prodotti dal precedente ciclo economico sono lungi da essere riassorbiti nell’economia reale. Il calo dei prezzi energetici e le politiche di ”spending review” hanno frenato la recessione in Europa ma al prezzo di una crisi sociale che vede la radicalizzazione di grandi masse popolari verso populismi, razzismi e fondamentalismi di ogni genere. Il fallimento delle rivoluzioni arabe e l’attuale passività delle classi lavoratrici a livello mondiale è in ultima analisi la vera ragione dell’aggravarsi della situazione.

Per quanto sia determinata e mediaticamente efficiente, se una piccola organizzazione come l’ISIS è diventata protagonista lo si deve non certo alla sua forza oggettiva, ma al fatto che si colloca nella terra di nessuno fra i grandi interessi economici in competizione fra loro: un vuoto lasciato dalla sinistra politica e dal movimento operaio internazionale.

Stefano Falai

CONDIVIDI

FONTE