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Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista
19 Novembre 2015
PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO
Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.
IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”)
La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?
L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.
UN EPILOGO ANNUNCIATO
Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.
UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO
Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.
Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.
A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni.
Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.
Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.
Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.