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Risoluzione politica - Comitato Centrale del PCL, ottobre 2015

2 Novembre 2015
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Il Comitato Centrale del PCL dello scorso luglio ha sottolineato la crisi del renzismo (sconfitta elettorale alle amministrative e sconfitta del Partito della Nazione), ma nel contempo la sua determinazione a perseguire la svolta bonapartista in corso (riforma costituzionale e cambiamento autoritario delle relazioni di classe nel paese). In questo quadro, ha rimarcato il pericolo dei populismi reazionari d’opposizione e la profonda crisi della sinistra (chiusura della lotta contro il Jobs Act per volontà condivisa di Camusso e Landini; isolamento del movimento di massa della scuola). In questo contesto, il CC di luglio indicava il fronte unico di lotta contro il governo come asse della propria linea: “Fare come la scuola” per... estendere sul piano generale... un vero fronte di massa. Innescare un movimento politico che ponga la necessità di una direzione alternativa, di una piattaforma generale unificante, di una radicalizzazione delle forme di lotta e di un’autorganizzazione democratica di massa. Nel quadro di questo asse d’intervento, il CC individuava quattro linee d’azione prioritarie.

1. Costruire nelle mobilitazioni comitati di lotta e coordinamenti, come embrioni di contropotere. Sebbene all’inizio tale intervento potrà essere sopratutto propagandistico, si può concretizzarlo concentrando le forze e coinvolgendo militanti e organizzazioni sindacali classiste disponibili.
2. Sviluppare una campagna propagandistica sul nostro programma, per caratterizzarci nel panorama della sinistra intorno ad alcuni elementi riconoscibili ed avere presa in larghi strati di classe e di avanguardia.
3. Costruire nel corso dell’estate e in autunno una campagna d’intervento sulla sinistra, centrata sulla critica a Landini (FIOM) e la crisi del PRC, in quanto questa realtà, al di là del logoramento in corso, coinvolgono ancora decine di migliaia di militanti politici e sociali.
4. Concentrare l’attenzione del partito sulle principali realtà metropolitane, per la prossima tornata elettorale in diversi importanti capoluoghi (a partire da Torino, Milano, Bologna, Napoli e forse Roma).

L’autunno è iniziato con un nuovo protagonismo del governo Renzi. Dopo aver superato senza cadere le sconfitte primaverili, ha riproposto in una versione aggiornata ed aggressiva il suo progetto politico, centrato su tre diversi aspetti: partito della nazione (partito liberale di massa); asse programmatico con il padronato; revisione costituzionale. Ha lanciato in grande stile una nuova manovra populista, centrata sulla riduzione tasse sulla casa, mirando allo sfondamento nel blocco sociale di centrodestra. Ha aperto il fronte del diritto di sciopero (interviste estive, assemblea al Colosseo), per sfaldare nei prossimi mesi il contratto nazionale. Ha serrato i ranghi nel PD e con i fuoriusciti berlusconiani (NCD e amici verdiniani), per confermare la riforma costituzionale (passaggio parlamentare di queste settimane). Questa politica si regge però su una manovra economica è complessa da attuare, per le resistenze in sede UE e sul terreno nazionale (Bankitalia, tecnici MEF e Parlamento). Una manovra necessaria per ottenere un consenso di massa e quindi un’investitura plebiscitaria nel referendum 2016 sulle riforme. La sua azione antisindacale mantiene, al momento, un certo consenso padronale, e quindi il sostegno dei media e della struttura di potere profonda del paese, oltre che la benevolenza dell’UE. Ma tutto questo non garantisce di per sé il successo di questa linea d’azione.
In questo quadro, il CC del PCL conferma l’analisi avanzata: il renzismo è limitato da contraddizioni di fase (populismo senza risorse, nel quadro di una crisi mondiale) e del suo progetto politico (difficoltà ad inglobare settori di centrodestra nel suo costituendo blocco sociale); si sviluppano le forze reazionarie d’opposizione, di destra (Lega nazionale) e populiste (CinqueStelle); Renzi è determinato a risolvere queste contraddizioni con una svolta bonapartista, cambiando i rapporti di forza strutturali tra le classi, grazie all’assenza di un opposizione sociale e di sinistra (referendum costituzionale, diritto di sciopero, contrattazione); l’obbiettivo politico prioritario di questa fase è la costruzione di un movimento politico di massa, come unica possibilità di battere questo tentativo autoritario e nel contempo limitare lo sviluppo delle forze reazionarie d’opposizione.

La conferma di quest’asse d’analisi si confronta nel contempo con la consapevolezza di tre mutamenti nel quadro complessivo.

Primo, l’approfondimento della crisi. La dinamica di questi mesi è stata segnata dall’accenno di una svalutazione dello Yuan e dalla grande crisi borsistica cinese. Cioè dalla conferma dei segnali primaverili (caduta della Borsa di Shangai di giugno, riduzione ordinativi, calo dei prezzi immobiliari), che indicano una possibile incipiente conclusione del lungo ciclo iperespansivo cinese, trainato nell’ultimo decennio dagli investimenti più che dalle esportazioni. Questa possibile prossima conclusione ha già profondi effetti nel mondo: dal crollo dei prezzi delle materie prime (con la relativa crisi d’adattamento dei paesi esportatori), allo sviluppo di una strategia imperialista cinese (Vie della Seta, proiezione internazionale dello Yuan, costruzione di un’area commerciale asiatica), passando per il rallentamento del commercio mondiale e nuove occasioni d’instabilità finanziaria. Il rinvio del previsto aumento dei tassi USA è solo la prima, e più immediata, di queste conseguenze. Viene quindi confermata la profondità della Grande Crisi mondiale in cui siamo immersi: una lunga crisi di sovrapproduzione di capitale (la grande massa di risparmio senza possibilità di valorizzazione oggi circolante sui mercati), nel quadro di una tendenza alla caduta del saggio di profitto che l’espansione dei mercati capitalisti (Cina, Asia e Africa), i nuovi prodotti (IT e servizi sociali), le bolle finanziarie, la divisione internazionale del lavoro e l’aumento dello sfruttamento non hanno saputo contrastare adeguatamente.
Questa dinamica non può che pesare nelle prospettive del governo Renzi e del suo tentativo di stabilizzazione autoritaria. L’imprevista vittoria di Tsipras, garantendo continuità alla capitolazione di Syriza, aveva regalato al continente europeo una nuova stabilità, protetta dallo scudo monetario del quantitative easing della BCE. Ma questa stabilità, che doveva offrire una base ed una cornice alla ripresa economica renziana, è stata travolta in poche settimane da un quadro mondiale sempre più contradditorio ed instabile.
L’Unione Europea è stata infatti sommersa delle crescenti pressioni geopolitiche ai suoi confini (sia sul versante orientale, in Ucraina; che su quello mediterraneo, con i conflitti in Libia, in Siria ed in Sinai). La tragica vicenda delle centinaia di migliaia di profughi, i muri eretti dal governo nazionalista e reazionario ungherese e gli imbarazzanti voltafaccia della cancelliera tedesca, hanno esplicitato la crisi politico-istituzionale Europea. La divergenza tra centro e periferia, l’assenza di un bilancio federale e di una politica fiscale continentale, l’inceppamento dei meccanismi di governo dell’Unione, la progressiva evaporazione della Commissione, hanno rafforzato le spinte centrifughe, tra gli Stati (prossimo referendum inglese) e negli Stati (autonomismo scozzese e catalano). Questa crisi politico-istituzionale della UE, comunque, pur rendendo più incerta la stabilità europea, concede nel contempo al governo Renzi un maggior spazio di manovra per le sue politiche populiste: l’assenza di risorse per una manovra fiscale sulla prima casa, e la netta opposizione delle istituzioni europee a questa politica, tenta oggi di esser superata con un aumento del deficit, proprio grazie all’indebolimento politico complessivo delle istituzioni europee in questi ultimi mesi.
Il CC del PCL, in questo quadro, ritiene imprescindibile una riflessione più approfondita sul quadro mondiale della crisi, sulla crescita delle contraddizioni tra poli imperialisti, sulle prospettive dell’Unione Europea, sulla tragica conclusione delle primavera arabe e la difficile fase del movimento democratico turco, sul cambiamento di assetti ed alleanze mediorientali in corso. In poche parole, sulle relazioni attuali fra dinamica ineguale e combinata del modo di produzione capitalista, crisi, politiche di potenza e prospettiva di grandi conflitti armati. A queste tematiche decide quindi di riservare la prossima riunione del CC.

Secondo. Il ripiegamento dell’opposizione sociale. L’unico movimento di massa contro il governo della scorsa primavera, quello della scuola, non sta ripartendo dopo la sconfitta dell’approvazione del DDL e la lunga pausa estiva. Le direzioni sindacali, compresa FLC-CGIL, di fronte alle attese ed agli sbandamenti di larghi settori del corpo docente, hanno avviato un confuso ripiegamento (indicazioni ambigue sul contrasto scuola per scuola della legge; rifiuto di indicare scadenze di lotta nazionali; spostamento dell’accento sulla contrattazione piuttosto che sull’applicazione della "buona scuola"). La lotta sembra quindi tornare a raccogliersi intorno alle avanguardie (autoconvocati e comitati; sinistra CGIL; LIP; sindacati di base; studenti; realtà metropolitane e contesti scolastici esemplari), che pur rilanciando piattaforme radicali e inclusive (assemblea del 6 settembre a Bologna), non riescono a darsi una dimensione di massa.
A questo si aggiunge l’incapacità della sinistra, ad oggi, di definire appuntamenti di lotta, in grado di rilanciare l’opposizione al governo nell’immaginario e nella realtà. La CGIL, focalizzata in una nuova svolta organizzativa dal carattere centralizzatrice (volta a stabilizzare il nucleo dirigente camussiano), si aggrappa all’ennesima riproposizione di un accordo di fase con CISL e UIL, ma non riuscendo nemmeno a definire una piattaforma comune (modello contrattuale e diritti sindacali), posponendo di conseguenza nel tempo la mobilitazione. La FIOM, dopo aver consumato l’effimera alleanza con Camusso nello scontro sui futuri gruppi dirigenti della CGIL (primarie e candidatura di Landini), ha consumato la Coalizione Sociale, riducendola ad una struttura di raccordo con piccoli settore antagonisti ed un associazionismo compatibile (ARCI, Libera, ecc), senza nessuna reale capacità di mobilitazione e senza nessuna prospettiva di sviluppo politico. L’appuntamento del 17 ottobre è rapidamente evaporato, vedremo se e come sarà capace di tornare in campo con una mobilitazione della categoria su contratto, pensioni, sanità. Nel mondo dell’antagonismo, registriamo lo stato di crisi permanente dei rapporti unitari nel sindacalismo di base (dopo la spaccatura sullo sciopero anticipato del 24 ottobre e i diversi comportamenti sull’accordo del 10 gennaio) e le divisioni paralizzanti tra i diversi circuiti nazionali dopo l'esperienza di piazza del Primo Maggio a Milano. Di conseguenza, si rischia che per la prima volta da qualche anno questi settori non siano neppure in grado di definire una data unitaria di mobilitazione.
Di fronte ad una nuova e rinnovata offensiva contro lo stato sociale (sanità), il contratto nazionale pubblico e privato, il diritto di sciopero, si rischia di non trovare nelle prossime settimane nessuna risposta ricompositiva, politica e sociale, contro governo e padronato.

Terzo. Si accentua il quadro di crisi della sinistra politica italiana. Diversi appuntamenti degli ultimi mesi, analizzati nel loro insieme, rivelano la potenzialità di una sinistra libera dalla gestione governativa, da coinvolgimenti nell’austerità o da complicità nelle politiche neoliberiste. È questo il segnale convergente che possiamo trarre dalle elezioni greche del gennaio scorso, dalle amministrative spagnole della scorsa primavera, dall’incredibile vittoria di Corbyn nel Labour, dalle elezioni catalane di poche settimane fa. Casi diversi e soggetti differenti, ma che rivelano grandi movimenti d’opinione, in cui ampi settori di giovani e della classe lavoratrice si rivolgono a progetti politici di alternativa, reagendo ai duri anni della crisi e delle politiche d’austerità. Purtroppo, l’alternativa d’opinione che rimane dominante è quella nel sistema, nell’illusione di ricostruire, su basi diverse, politiche keynesiane o un nuovo compromesso capitale-lavoro proprio nel pieno di una grande crisi generale del sistema capitalista. In questo quadro la sinistra italiana, indebolita dal profondo ripiegamento della coscienza di classe degli ultimi anni, è stata travolta dal suo coinvolgimento nelle politiche governative, locali e nazionali (che hanno prima aperto la strada e poi rilanciato questo indebolimento). Ed è oggi sbandata dall’assenza di figure capaci agganciarla a questi recenti movimenti di opinione (ad esclusione, parzialmente, di Landini, grazie al ruolo della FIOM ed all’immagine che questa organizzazione si è costruita con l’opposizione alla FIAT, che però non ha voluto ancora avviare nessun percorso politico).
In questo quadro si inserisce oggi il profondo ridimensionamento dell’immagine di Tsipras, seguito alla capitolazione di luglio ed alle divisioni estive in Grecia. Al di là dell’ultimo successo elettorale, Syriza infatti non rappresenta più né una speranza di resistenza, né l’esemplarità di un percorso politico-organizzativo ricompositivo in grado di salvaguardare pluralismi indentitari e progettuali. Ed anzi, le linee di frattura emerse ad Atene (riforma dell'Unione o uscita dall'Unione) serpeggiano in tutta la sinistra europea, come rivelato dal recente appello firmato congiuntamente da Varoufakis, Melenchon (portavoce Front de Gauche), Lafontaine (fondatore Die Linke, ex leader SPD) e Fassina (fuoriuscito dal PD). In questo quadro reso più complesso da queste nuove linee di frattura, si aggravano le difficoltà dei tentativi di ricomposizione unitaria in Italia. Mancando perennemente un punto attrattore dotato della necessaria forza evocativa, persa l’occasione favorevole degli scorsi mesi (in parallelo con l’ondata europea, raccogliendo la mobilitazione autunnale contro il Jobs Act e quella in corso contro la scuola), i diversi soggetti in campo sembrano intralciarsi reciprocamente e collassare congiuntamente. In questa confusione, si innestano nuove divisioni con le prossime amministrative, stante le diverse prospettive nei confronti delle giunte con PD, eredi della precedente stagione (da Pisapia a Milano a Zedda a Cagliari). La sinistra riformista italiana rischia quindi di subire il contraccolpo delle divisioni europee, senza aver mai potuto beneficiare dell’ondata crescente che è emersa negli ultimi mesi.

In questo scenario complessivo il CC del PCL ribadisce quindi l’asse politico definito lo scorso luglio: la proposta di fronte unico di classe e di massa contro il governo e il padronato, a partire dalla necessità di una mobilitazione generale e di un vero sciopero generale. Una proposta che dovrà esser presentata, ribadita e articolata in ogni contesto di mobilitazione, conflitto, confronto, in contrasto frontale con l'immobilismo delle burocrazie e in polemica con ogni logica di autocentratura minoritaria.
Questa linea deve però affrontare anche il quadro maggiormente arretrato di questi mesi, rispetto alle condizioni della scorsa primavera, alle nostre aspettative ed alle nostre speranze. La dinamica del movimento della scuola rende necessaria l’apertura di una riflessione pubblica, in tutta l’avanguardia, sull’incipiente sconfitta di quel movimento e sulle sue cause (dal ritardo nell’innesco della lotta al suo isolamento, passando per incertezze e sbandamenti della direzione sindacale). E quindi rende inattuale la parola d’ordine presentata nello scorso CC, “Fare come nella scuola”, proposta nel contesto di una dinamica di massa non ancora ripiegata.
Una linea che deve anche affrontare la difficoltà di prospettare oggi, in questo quadro di ripiegamento che pare accentuarsi, l’evoluzione di comitati di lotta e assemblee in organismi permanenti (di fabbrica, dei servizi, della scuola e del pubblico impiego), organi di contropotere a livello locale e in prospettiva nazionale. Cioè è difficile oggi, in un momento di ulteriore dispersione e frammentazione delle lotte, proporre una prospettiva agitatoria di sviluppo dell’opposizione sociale attraverso l’autorganizzazione democratica delle mobilitazioni, alternativa alle centrali sindacali burocratiche. Sebbene, in ogni caso, l’autorganizzazione democratica e la critica alle centrali sindacali burocratiche rimangano un elemento centrale dell’intervento propagandistico del partito.
In questo quadro generale, il CC richiama e definisce di conseguenza alcune iniziative specifiche per i prossimi mesi.

In primo luogo, chiama il partito a sviluppare una proposta di mobilitazione politica nazionale contro il governo Renzi, rivolta a tutte le sinistre, a partire da un corteo nazionale entro la fine dell’autunno a Roma.

In secondo luogo avanza una proposta di coordinamento di scopo tra forze classiste sul terreno specifico dell'immigrazione, rivolta innanzitutto a SiCobas, che possa dare continuità ad una iniziativa controcorrente sul piano nazionale, dopo la manifestazione del 19/9 a Bologna.

In terzo luogo, conferma la campagna propagandistica sul lavoro tesa a valorizzare il profilo programmatico del partito sul terreno della lotta di classe, secondo la decisione dell'ultimo CC, attorno alla presentazione di un nucleo centrale di rivendicazioni (ripartizione generale del lavoro, cancellazione delle leggi di precarizzazione, salario garantito ai disoccupati) . Una campagna da concentrare nel corso dell’inverno, da accompagnare con iniziative pubbliche territoriali delle sezioni, da sostenere con specifici mezzi di propaganda di massa attraverso i canali internet, capaci di darle una più ampia cassa di risonanza e di richiamo nell'ambito dell'avanguardia larga.

In quarto luogo, si conferma la decisione dello scorso CC di prevedere un’iniziativa nazionale articolata localmente in occasione dell'anniversario della fondazione del PCd'I (21 Gennaio 2016), con conferenza stampa nazionale e attivazione di iniziative pubbliche delle sezioni sul proprio territorio. Un'iniziativa con cui avviare la campagna di tesseramento 2016, prevedendo per tempo la stampa dei relativi materiali.

In quinto luogo, conferma l’importanza di sviluppare un intervento specifico sulla crisi del PRC, che ha conosciuto un’ulteriore precipitazione a ridosso della vicenda Tsipras (divisione sull’indicazione di voto nei gruppi dirigenti e tra i militanti), anche attraverso un inserimento attivo e orientato nella polemica pubblica che percorre i social. Un intervento mirato ad inserirci nello scontro aperto tra settori di base e segreteria nazionale, ai fini della polarizzazione e della conquista al PCL degli elementi più radicali, da sviluppare sottolineando.

Infine, la preparazione alla campagna elettorale delle prossime amministrative, a partire dalla presentazione delle liste del partito in tutte le principali città coinvolte (Torino, Milano, Bologna, Napoli, Cagliari) e nel maggior numero possibile di centri minori. I coordinamenti regionali del partito definiranno regione per regione il quadro di presentazione, secondo i criteri definiti dal CC di luglio.


CC del PCL,
Bologna, 10 ottobre 2015

Approvato con 17 favorevoli, 1 contrario ed 1 astenuto

Partito Comunista dei Lavoratori

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