Internazionale

Lussemburgo, un granducato al servizio delle multinazionali

Tesori nascosti (n.3)

17 Ottobre 2015

Da tempo, quasi tutte le banche e le più grandi aziende internazionali cercano rifugio nei paesi cosiddetti offshore, cioè paesi che offrono particolari vantaggi fiscali, allo scopo di pagare meno tasse possibili, mediante tecniche finanziarie di evasione o elusione fiscale.

Tra i più noti paesi offshore, c' è il Lussemburgo, un piccolo Granducato stretto tra Francia, Germania e Belgio, che conta poco più di 500 mila abitanti. Dagli anni '70 è una delle mete preferite da molte grandi aziende alla ricerca di un trattamento fiscale di favore. Dalle multinazionali alle banche, dalle imprese immobiliari ai grandi marchi della moda, migliaia di società - italiane e straniere - hanno qui la propria sede fiscale.

A Novembre 2014 il Lussemburgo era finito sotto i riflettori mediatici per lo scandalo LuxLeaks, raccontato dal settimanale L' Espresso (nel numero del 6-11-2014, con articoli di P.Biondani-V.Malagutti-L.Sisti), e basato sulle informazioni contenute in un dossier di 28 mila pagine, redatto dal network americano The International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ). In quel dossier venivano descritti gli accordi siglati da 350 società di tutto il mondo, tra cui 30 italiane, con le autorità lussemburghesi. Grazie a questi accordi, in gergo “ruling” (di 20-30 pagine ciascuno), il peso delle tasse è stato notevolmente ridotto o, addirittura, azzerato. Si trattava, come scrisse L’Espresso, di “miliardi di euro sottratti al fisco grazie alla certificazione perfettamente legale di strutture e scatole societarie in Lussemburgo”.

Gli accordi sono stati tutti siglati sotto la supervisione di Pricewaterhouse (PwC),il colosso della revisione e della consulenza che ha assistito le aziende nel negoziato con il governo del Lussemburgo, e che conta più di 2.400 dipendenti. E le informazioni -su file- contenute nel dossier furono fornite proprio da un coraggioso dipendente di PwC.

Tra queste 350 grandi società internazionali coinvolte (aziende e banche), spiccano i nomi di Amazon, Abbott Laboratories, Abn Amro, Aig, Aviva, Axa, Barclays, Banco Bradesco, Bayerische Landesbank, Bnp Paribas/Credit Agricole, Black e Decker, banca Marche e Sella, British American Tobacco, Burberry, Carlyle Group, Citigroup, Commerzbank, Credit Suisse, Deutsche Bank, Dolce e Gabbana, E.On Group, FedEx, Gazprom, General Electric, Glaxo-SmithKline, Finmeccanica, Intesa SanPaolo, International Flavours e Fragrances, Ikea, Hsbc, Heinz, Hines, Jp Morgan, Lehman Brothers, Lvmh, McGraws-Hill, Office Depot, Pepsi, Prada, Procter & Gamble, Sinopec, Skype, Sportfive Group, Staples, Unicredit, Verizon, Vodafone, Volkswagen, Walmart, e Disney.

Un sistema cresciuto, negli anni, con la complicità di Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo dal 1995 al 2013 e dal Gennaio scorso alla guida della Commissione Europea. Nonostante le varie smentite di facciata di Juncker, i documenti dimostrano legami evidenti tra lui e le varie aziende coinvolte. E la sua elezione alla guida della Commissione Europea - eletto anche grazie al voto del governo Renzi - la dice lunga sulle reali intenzioni dei governi europei in tema di lotta all' evasione fiscale.

Il cuore del sistema lussemburghese sono il segreto bancario e i ”tax ruling”, ovvero i trattamenti fiscali predefiniti mediante accordi firmati tra aziende e autorità lussemburghesi, che molto spesso prevedono strumenti finanziari ibridi - ad esempio i prestiti infragruppo - che permettono di schivare le tasse nel Paese di origine e di pagarne poche, o nessuna, in Lussemburgo. Tra l' altro, la legge lussemburghese è molto più generosa di quella italiana anche sugli interessi: quelli passivi si possono detrarre senza limiti dai redditi, mentre per quelli attivi la tassazione è bassa o nulla. Irrisorie anche le tasse sui profitti, regolate proprio dai ruling: le holding pagano l’1 per cento; le sub-holding lo 0,25; le sub-subholding lo 0,125 per cento. Significa che per ogni milione di profitti incamerati in Lussemburgo, la tassazione massima è di diecimila euro. !

Nei documenti dell' inchiesta compare anche l' azienda pubblica Finmeccanica, che nel 2010 ha stipulato ruling con le autorità lussemburghesi per ristrutturare le proprie società con sede nel Granducato, evitando tasse aggiuntive. Dai documenti emerge che Finmeccanica ha creato, negli anni '90, delle società schermo in Lussemburgo per raccogliere prestiti all’estero e abbattere le imposte in Italia. Con un risultato a dir poco beffardo e truffaldino: un’azienda di Stato che, attraverso un paese offshore, è riuscita a pagare meno tasse allo stesso Stato (Italia) che la controlla e la finanzia con soldi pubblici.

Nonostante la pubblicazione di questi documenti in ben 31 paesi e nonostante lo scandalo che ne è seguito, nei mesi successivi non ci sono state né indagini adeguate né processi. Il motivo? è semplice: si trattava di informazioni rubate e tanto bastava alle autorità giudiziarie e politiche per non riconoscerne la validità e il loro utilizzo. L' unico a finire sotto processo è stato proprio il coraggioso dipendente della PwC che aveva passato le informazioni, un ragazzo francese di 28 anni, di nome Antoine Deltour, che oltre a perdere il lavoro è finito sotto processo per furto di informazioni riservate.

Non c' è da stupirsi di ciò. Perchè quello dei paradisi fiscali è un sistema che si autoprotegge, mediante circoli di potere chiusi, controlli blandi, leggi di facciata, omertà diffusa, partiti collusi, media compiacenti, corruzione, repressione, e, quando serve, con la collaborazione della criminalità organizzata.

Di fatto, i paradisi fiscali sono macchine legislative private al servizio della grande borghesia finanziaria (che controlla fondi d' investimento, grandi banche, multinazionali, ecc.). E sono troppi gli interessi e le complicità, a tutti i livelli, politici ed economici, di cui gode questa ristretta ma molto potente borghesia.

Daltronde il boom dei paradisi fiscali coincide con l' aumentare delle disuguaglianze sociali in tutto il mondo, a tutto vantaggio delle classi ricche e a svantaggio di quelle povere. I dati parlano chiaro (fonte OCSE): a causa del sistema offshore, nella sola Unione Europea, l' evasione fiscale ammonta a 1.000 miliardi di euro annui, piu’ di tutta la spesa sanitaria europea, che e’ di 800 miliardi.! E, per esempio, proprio il settore della Sanità è ovunque in continuo declino, anche a causa del minor gettito fiscale incassato dagli Stati. Oltre che per l' avanzare delle privatizzazioni, per gli sperperi e le ruberie del settore pubblico, e per il sistema-rapina del debito pubblico. Col risultato che il diritto a essere curati gratuitamente non esiste più, e in molti paesi europei sempre più persone rinunciano a curarsi.

Detto in altri termini, il boom dei paradisi fiscali è iniziato negli anni '70, proprio a seguito delle numerose e significative conquiste sociali da parte dei lavoratori, almeno di quelli nei paesi più industrializzati. Da quel momento in poi, le classi borghesi non hanno fatto che preoccuparsi di come evitare di dover rinunciare a fette importanti dei loro profitti che, attraverso il pagamento delle tasse, sarebbero state destinate ai salari e ai servizi per le classi popolari. Da qui la nascita e la crescita dei paradisi fiscali.

Perciò i tre elementi: Grande Finanza, disuguaglianza crescente e paradisi fiscali, vanno analizzati insieme, in quanto parti di un unico sistema socio-economico, che si chiama capitalismo. Ed è un sistema funzionale agli interessi di una specifica classe sociale, la borghesia, che si regge sullo sfruttamento delle masse popolari, a partire dalla classe dei lavoratori salariati. Pertanto i paradisi fiscali sono un altro strumento in mano alla borghesia per condurre a suo vantaggio la lotta di classe contro le classi popolari, e sono destinati ad esistere fino a quando esisterà il sistema capitalista, e a perire con esso, quando cioè le masse popolari saranno in grado di unirsi a livello internazionale in un processo di lotte rivoluzionarie vittoriose contro il sistema capitalista, e tutti i suoi servi.

COME FA IKEA A PAGARE SOLO LO 0,0018% DI TASSE

Tra le multinazionali coinvolte nello scandalo LuxLeaks c' è Ikea - la multinazionale del mobile low cost - accusata di utilizzare un sistema di aziende con sede in diversi paradisi fiscali, per pagare il minor numero di imposte possibili. Il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung in un articolo del 12-11-2014 (citato dal sito www.giornalettismo.com) illustra questo sistema.

Ikea ha 300 filiali in tutto il mondo. Ognuna di queste deve trasferire il 3% di ogni prodotto venduto a Inter Ikea Systems, che ha sede in Olanda, e che detiene tutti i diritti legati a Ikea, dallo sviluppo dei prodotti al logo. In questo modo il gruppo può approfittare di un regime fiscale, quello olandese, che tutela i redditi da brevetti e li tassa di appena il 5%; e grazie ai tax ruling concessi dal Lussemburgo, alla fine Ikea arrivava a pagare solo un' aliquota effettiva dello 0,0018%.

Infatti, la holding Inter Ikea Systems, che detiene i diritti del marchio Ikea e che ha sede in Lussemburgo, nel 2010 ha pagato solo 48 mila euro di tasse, su un profitto di oltre 2 miliardi e mezzo di euro: un’aliquota effettiva dello 0,0018%. Questo è possibile anche perchè la holding Inter Ikea System appartiene a una fondazione di nome Interogo, che si trova in Liechtenstein, altro paradiso fiscale.

Inoltre, le carte di LuxLeaks mostrano come Ikea abbia un’altra società con sede in Lussemburgo, la Inter Ikea Finance, che ha il compito di prestare denaro alle filiali del gruppo. In tal modo, le filiali che ricevono prestiti possono scaricare gli interessi (sui prestiti) dai propri profitti, riducendo l' imponibile fiscale. Ikea quindi approfitta di un altro vantaggio fiscale, benchè il denaro circoli sempre al suo interno.

Eppure, nonostante questi trucchi truffaldini per pagare meno tasse possibili, Ikea, non contenta, ha scelto di colpire i diritti dei suoi 6 mila dipendenti in Italia, nella recente vertenza per il contratto integrativo aziendale (CIA), che ancora non si è risolta.
Si sa l' appetito vien mangiando, ma Ikea si è dimostrata davvero insaziabile...!

Infatti, lo scorso Giugno, con una brutalità di cui solo i padroni sono capaci, Ikea ha spiegato che siccome la concorrenza è spietata e le commesse sono poche, che “l' Italia del 2015 non è più quella del 2000”, i lavoratori di Ikea devono accettare pesanti riduzioni ai propri salari: un taglio netto alle maggiorazioni economiche per il lavoro domenicale e festivo, e la cancellazione dell' importo fisso del premio aziendale. Un taglio lineare che per molti dei 6 mila dipendenti, di cui il 70% con contratti part time, significa una riduzione di almeno 200 euro al mese, indispensabili per arrivare a fine mese.

E quando i lavoratori - in tutti i 21 ipermercati italiani - hanno iniziato a mobilitarsi contro il nuovo piano, Ikea non si è fatta scrupoli nel promuovere il crumiraggio: sostituendo con lavoratori interinali chi decideva di scioperare; e facendo pressioni su quelli più deboli, chiedendo loro di non scioperare e ingannandoli con la promessa di straordinari ben pagati per sostituire quelli in sciopero.

Quanto fatto da Ikea ha del vergognoso, ed è necessario che ogni lavoratore, di Ikea e non, si arrabbi per questo. Un' azienda che fa profitti miliardari, che - grazie a metodi truffaldini - paga in percentuale meno tasse dei suoi dipendenti (che in media pagano un' aliquota del 23 o 27% ), e si permette pure di colpire i già bassi salari dei suoi lavoratori, è un' azienda che andrebbe espropriata alla velocità della luce, senza nessun indennizzo e sotto controllo dei lavoratori.

Invece, dal momento che questa azienda può continuare indisturbata nel suo andazzo, grazie ai sostegni e alle complicità istituzionali di cui gode, e non è affatto la sola ad agire in questo modo, occorre fare una riflessione più ampia sul sistema socio-economico in cui viviamo e sulle sue leggi. Che porta ad unica conclusione: un sistema che consente questo tipo di comportamenti non può essere affatto un sistema da difendere, ma è un sistema assolutamente da abbattere. Il prima possibile.!

Leo S.

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