Dalle sezioni del PCL
La condizione catastrofica della Glencore, gli operai sardi dell’Alcoa e la dura lezione non appresa della crisi inarrestabile del capitalismo
11 Ottobre 2015
Il 12 aprile del 2012 la multinazionale svizzera delle materie prime, la Glencore, che controlla oltre un decimo della capacità produttiva dello zinco e il 40% di quella europea, manifestò interesse per l’acquisizione dell’Alcoa, ribadito il 5 settembre dello stesso anno con una lettera al ministero dello sviluppo economico.
Le fabbriche di Portovesme per la lavorazione dello zinco e del piombo furono costruiti dall’EFIM (una delle tre imprese del capitalismo di stato della cosiddetta I repubblica) nei primi anni ’70. In seguito all’ondata di privatizzazioni dei primi anni ’90, nel 1992 gli impianti furono comprati dalla multinazionale americana Alcoa. Con l’accordo di acquisto la multinazionale americana si assicurò una fornitura decennale di energia elettrica, con una tariffa per megawatt/ora pari alla metà di quella media del mercato. L’energia elettrica è un fattore produttivo determinante perché per estrarre dal metallo l’allumina è necessario un processo elettrochimico che richiede grandi quantità di energia. Ciò ha garantito all’Alcoa profitti stabili per un decennio. Alla scadenza del contratto e con la privatizzazione dell’Enel, con due decreti governativi la fornitura agevolata di energia fu scaricata sulle bollette della popolazione. Nel 2009 la Commissione europea considerò la fornitura agevolata di energia un sussidio di stato e da quel momento l’Alcoa iniziò le attività di dismissione e, contemporaneamente, gli operai dell’Alcoa di Portovesme aprirono il fronte della lotta. Il Partito Comunista dei Lavoratori, presente in tutti i momenti di lotta sia nell’isola sia nel continente, nella sua iniziativa politica, con realismo rivoluzionario, ha cercato di far comprendere ai lavoratori che per loro ci sarebbe stato il logoramento e la sconfitta se non si fossero battuti per la nazionalizzazione senza indennizzo della fabbrica e lo strumento della lotta doveva essere un comitato di lotta indipendente coordinato con le altre lotte operaie nell’isola: quelle nel petrolchimico di P. Torres e nell’area industriale di Ottana e di Macomer. Gli operai sardi, nonostante le forme di lotta che in molti casi hanno rotto con la legalità, rimanevano imbrigliate dalla burocrazia sindacale. La sua tattica era ed è quella di snervarli con l’illusione che qualche padrone li avrebbe salvati. A Porto Torres doveva essere il veneto Fiorenzo Sartor. I petrolchimici di P. Torres sono stati sconfitti.
Le trattative avviate dal governo Monti subito dopo la lettera della Glencore del 5 settembre del 2012 fallirono alla fine dello stesso mese perché nel quadro della legislazione UE non era possibile soddisfare la richiesta della multinazionale svizzera, che chiedeva che il costo dell’energia per i prossimi 10 anni non superasse i 25 euro/Mwh. Il ministro Passera per continuare a tener buoni i lavoratori disse che c’erano altri interessati. I burocrati sindacali gli fecero da megafono. A metà novembre del 2012 quando Passera e Barca arrivarono a Carbonia per continuare la pantomima furono cacciati via dagli operai e scapparono in elicottero. La trattativa tra governo, giunta regionale e Glencore viene ripresa nel 2014 e il 10 novembre dello stesso anno fu approvato un ‘memorandum’. Il segretario della FIM-CISL, Marco Bentivogli, fece il seguente commento: “è una notizia di grande importanza che attendavamo dal mese di agosto. Ancora non conosciamo nella sua completezza il testo del memorandum ma è importante che si sia superato questo primo ostacolo per l’avvio del negoziato finale tra Alcoa e Glencore per l’acquisizione dello stabilimento di Portovesme. Il memorandum scioglie gran parte dei nodi posti da tutti gli investitori che hanno manifestato interesse per l’impianto in termini di infrastrutture, energia e investimenti e eventuale contratto di sviluppo”. Quest’altro è il commento di Roberto Puddu, segretario generale del lavoro Cgil Sulcis. “Questo risultato è merito dei lavoratori e della lotta portata avanti e delle buoni ragioni di un impianto che può ripartire e riniziare a produrre alluminio”. Il 24 novembre arrivarono, invece, le prime lettere di licenziamento. Quel cane morto di Bentivogli di fronte ai licenziamenti rilasciò questa dichiarazione: “Mentre è appena partito il confronto tra Alcoa e Glencore all’indomani della firma del Memorandum of Understanding è di oggi l’arrivo delle prime lettere di licenziamento per i lavoratori Alcoa. A questo punto serve dettate un agenda serrata di confronto tra le due aziende affinché si superino presto i nodi aperti. Vogliamo che il Governo faccia pressing in questo senso e apra un confronto al più presto su gli ammortizzatori sociali, cogliendo anche le opportunità delle iniziative previste nell’ambito del Piano Sulcis. Le crisi di questi mesi sono drammatiche per i lavoratori diretti delle aziende coinvolte. Sono una vera vergogna nazionale quelle dei lavoratori degli appalti. Ammortizzatori sociali in deroga che nei rimpalli tra regioni e governo lasciano senza reddito i lavoratori. Sia chiaro, non saremo certo noi a gettare la spugna, ci batteremo fino all’ultimo per tenere accesa la speranza e risolvere positivamente la vertenza simbolo, del vuoto della politica, nella difesa e il rilancio dell’ industria italiana”. La FIOM di Landini stava a cuccia dietro la FIM-CISL. Il 6 di febbraio del 2015 nuovo incontro al MISE, coordinato dal vice ministro De Vincenti, con i rappresentanti del governo regionale, i burocrati sindacali per fare il punto su “misure utilizzabili per il contenimento del costo dell’energia e le necessarie bonifiche”. Il 19 di marzo del 2015 un altro incontro tra il presidente della giunta regionale sarda, Francesco Pigliaru (votato, anche, da SEL e PRC) questo è il comunicato che sintetizza l’incontro “Passi in avanti sul percorso avviato dalla Giunta Pigliaru per risolvere la vicenda Alcoa. La trattativa tra la multinazionale americana e Glencore prosegue nel rispetto di quanto previsto nel Memorandum siglato nel dicembre scorso”. Il 24 luglio 2014 altro incontro di Pigliaru con i burocrati sindacali in cui ha confermato che “che le interlocuzioni tra le commissioni energia della U.E e del Ministero dello Sviluppo Economico continuano senza interruzioni. Come pure quelle tra i due soggetti interessati alla cessione della fabbrica, le multinazionali Alcoa e la Glencore”.
Il 19 agosto scorso l’agenzia Bloomberg riferì che la Glencore aveva chiuso il primo semestre con crollo del profitto del 56% a 797 milioni di euro (882 milioni di dollari) dal miliardo e 81 milioni dello stesso periodo del 2014. Alla fine di settembre gli uragani della Borsa che hanno preso il via dalla Cina, che secondo gli apologeti del capitalismo doveva mettere questo al riparo dalle crisi, ha spazzato via più di 5 miliardi di euro del valore della Glencore. Le azioni della società hanno perso circa il 30%, mettendo a nudo un debito enorme che diventa sempre meno sostenibile a causa della prolungata discesa dei prezzi dei metalli a livello mondiale, rame e carbone in testa. Il valore delle azioni è sceso addirittura dell’85% rispetto al valore del loro debutto nel 2011. L’amministratore delegato Ivan Glasenberg ha dovuto cedere alle pressioni degli azionisti per una sostanziale ristrutturazione, sospendendo i dividendi e mettendo in programma la vendita di beni per fare cassa. Perciò ha già cominciato a vendere alcune attività, come quelle relative al nichel in Brasile, cedute alla Horizonte Minerals per 8 milioni di dollari, una frazione di quello che erano costate. L’indebitamento netto della Glencore è di 30 miliardi di dollari. Gli economisti della Bank of America, però, sottolineano che bisogna tener conto delle obbligazioni, delle linee di credito revolving (linea di credito erogata attraverso un fido sempre aperto), dei prestiti garantiti e delle lettere di credito, così si arriva ad un indebitamento complessivo di 100 miliardi di dollari. L’allarme è grande tanto che la Banca d’Inghilterra ha chiesto alle banche britanniche di comunicare la loro esposizione verso la Glencore e le altre compagnie di materie prime. Per cercare di sostenere i prezzi la Multinazionale svizzera ha deciso di ridurre l’estrazione dello zinco, del rame, del carbone, del platino, complessivamente un calo di produzione di centomila tonnellate. Il “rallentamento” dell’economia cinese, cioè del maggiore consumatore di materie prime è la causa immediata del tracollo. Gli economisti borghesi sono sconfortati: “il grave è che nessuno sa quando e se la domanda cinese ripartirà, quindi le prospettive per l’intero settore estrattivo sono incerte”(Nicol Degli Innocenti, Sole 24 ore 29 settembre).
I burocrati sindacali, come gli intellettuali e i dirigenti politici della Sinistra Radicale, che della permanenza “eterna” del capitalismo hanno fatto un atto di fede, volutamente chiudono gli occhi di fronte alla crisi inarrestabile le cui eruzioni non sono casi isolati ma la norma. Il nostro partito ha come compito quello di far diventare consapevole di ciò la classe operaia. Questa è la condizione per diventare la direzione rivoluzionaria delle masse.