Interventi

«Io sono il mondo»

Ricondurre l'antispecismo a una prospettiva marxista

7 Agosto 2015
Specismo

INTRODUZIONE

D'ALEMBERT Lo riconosco: un essere che esiste da qualche parte e non corrisponde ad alcun punto dello spazio; un essere inesteso che occupa dell'estensione; che è tutto intero sotto ciascuna parte di questa estensione; che differisce essenzialmente dalla materia e le è assimilato; che la segue e la muove restando immobile; che agisce su di essa e ne subisce tutte le vicissitudini; un essere di cui non ho la minima idea; un essere insomma di natura così contraddittoria è difficile da ammettere. (1) Ma altre oscurità attendono al varco colui che lo rifiuta; perché, se questa sensibilità che gli sostituite è una qualità generale ed essenziale della materia, bisogna in fin dei conti che la pietra senta.
DIDEROT Perché no?
D'AL È difficile crederlo.
DID Sì, per chi la spezza, la taglia, la frantuma e non la sente gridare.
D'AL Vorrei proprio che mi diceste che differenza fate tra l'uomo e la statua, tra il marmo e la carne.
DID Poca. Si fa del marmo con la carne, e della carne con il marmo.
D'AL Ma l'uno non è l'altra.
DID Così come ciò che chiamate la forza viva non è la forza morta.
D'AL Non vi capisco.
DID Mi spiego. Il trasferimento di un corpo da un luogo ad un altro non è il movimento, è solo l'effetto del movimento. Il movimento è ugualmente presente così nel corpo come nel corpo immobile.
D'AL Questo è un modo nuovo di concepire le cose.
DID Cionondimeno è vero. Rimuovete l'ostacolo che si oppone al trasferimento da un luogo all'altro del corpo immobile, e sarà trasferito. Sopprimete, attraverso un'improvvisa rarefazione, l'aria che circonda questo enorme tronco di quercia, e l'acqua che vi è contenuta, venendo ad espandersi improvvisamente, lo disperderà in centomila pezzi. Altrettanto dicasi per il vostro corpo.
D'AL E sia. Ma che rapporto c'è tra il movimento e la sensibilità? Per caso voi riconoscereste una sensibilità attiva ed una sensibilità inerte, come esistono una forza viva ed una forza morta? Una forza viva che si manifesta attraverso la traslazione, una forza morta che si manifesta attraverso la pressione; una sensibilità attiva caratterizzata da certe azioni significative nell'animale e forse nella pianta, e una sensibilità inerte che si manifesterebbe nel passaggio allo stato di sensibilità attiva.
DID A meraviglia. L'avete detto.
D'AL Così la statua ha solo una sensibilità inerte, e l'uomo, l'animale, perfino la pianta, forse, sono dotati di una sensibilità attiva.
DID C'è senza dubbio questa differenza fra il blocco di marmo e il tessuto di carne; ma capite bene che non è la sola.
D'AL Certamente. Per quanta somiglianza possa esserci tra la forma esteriore dell'uomo e della statua, non vi è però alcun rapporto tra le loro organizzazioni interne. Il cesello del più abile scultore non riesce a creare neppure un'epidermide. Ma per far passare una forza morta allo stato di forza viva c'è un procedimento molto semplice; è un'esperienza che si ripete sotto i nostri occhi cento volte al giorno; non vedo invece molto bene come si possa far passare un corpo dallo stato di sensibilità inerte allo stato di sensibilità attiva.
DID Il fatto è che non volete vederlo. È un fenomeno altrettanto comune.
D'AL E questo fenomeno altrettanto comune qual è, di grazia?
DID Visto che volete subire quest'umiliazione, ve lo dirò: ciò accade tutte le volte che mangiate.
D'AL Tutte le volte che mangio!
DID Sì, perché mangiando, che cosa fate? Rimuovete gli ostacoli che si opponevano alla sensibilità attiva dell'alimento. Lo assimilate a voi stesso, lo rendete carne, lo animalizzate, lo rendete sensibile; e ciò che voi eseguite su un alimento, io lo eseguirò quando mi piacerà sul marmo.
D'AL Come?
DID Come? Lo renderò commestibile.
D'AL Rendere il marmo commestibile... non mi sembra facile.
DID Tocca a me indicarvene il procedimento. Prendo la statua che vedete, la metto in un mortaio e a gran colpi di pestello.. […] Quando il blocco di marmo è ridotto in polvere impalpabile, mescolo questa polvere con dell'humus o terra vegetale; li impasto bene insieme; innaffio la miscela, la lascio putrefare un anno, due anni, un secolo; il tempo non mi importa. Quando il tutto si è trasformato in una materia press'a poco omogenea, in humus, sapete che cosa faccio?
D'AL Sono certo che non mangiate humus.
DID No, ma c'è un tramite di unione, di appropriazione, tra l'humus e me, un “latus”, come vi direbbe il chimico.
D'AL E quel “latus” è la pianta?
DID Per l'appunto. Vi semino piselli, fave, cavoli e altre piante leguminose. Le piante si nutrono della terra, ed io mi nutro delle piante.
D'AL Vero o falso che sia, mi piace questo passaggio dal marmo all'humus, dall'humus al regno vegetale, e dal regno vegetale al regno animale, alla carne. (2)


INQUADRARE IL PROBLEMA

Prima dell'avvento della rivoluzione industriale gli animali venivano impiegati principalmente come forza lavoro, ad esempio nelle varie fasi della produzione alimentare, nel trasporto, nella guerra ecc. in proporzione minore venivano utilizzati come cibo. L'avvento del capitalismo ha sostituito l'animale non-umano con l'operaio salariato, con le nuove scoperte tecnologiche e con il sistema produttivo seriale della catena di montaggio. Eppure questo passaggio storico, invece di “liberare” l'animale dall'assoggettamento secolare nei confronti dell'uomo, lo ha invece “declassato” al livello di materia prima – massicciamente impiegata – all'interno del nuovo sistema produttivo.
Parallelamente sono sorti molti movimenti filosofici e politici che in vario modo hanno tentato di promuovere la tutela e i “diritti” dell'animale non umano. La maggior parte di questi movimenti si uniscono sotto la bandiera estremamente variegata dell'antispecismo. Tradizionalmente quindi i movimenti antispecisti prendono in considerazione il rapporto fra l'uomo e l'animale non umano e operano all'interno di questo orizzonte. Come marxisti non possiamo sottrarci ad un confronto con queste realtà eterogenee e spesso contraddittorie, stando però molto attenti nel non farci trascinare nella melma degli sguardi parziali. Ad esempio ritengo che l'ideologia specista, a differenza di come è stata concepita e descritta dai primi teorici dell'antispecismo, (3) abbia una portata molto più vasta, che sconfina la semplice relazione con l'animale non umano per coinvolgere il rapporto dell'uomo con l'intero sistema-mondo. È ampiamente dimostrato che il dibattito intorno a tematiche ambientali ed ecologiche abbia fatto parte a più riprese della tradizione del marxismo fino al suo definitivo affossamento da parte dello stalinismo (4). Il nostro obiettivo come rivoluzionari è quello di liberarci definitivamente da queste scorie ideologiche e lavorare alla fondazione di un'ecologia marxista; per questo il confronto con la tematica dello specismo e dell'antispecismo è un passaggio necessario per costruirne l'epistemologia.
In questo testo non intendo discutere alcuni temi “caldi” delle lotte antispeciste, come ad esempio se sia giusta o meno la sperimentazione animale, non perché non abbia già una prospettiva in merito, ma perché ritengo che la questione non possa essere risolta senza prima una riflessione più ampia sull'intero sistema scientifico e medico. Non ho comunque difficoltà a esprimere contrarietà nei confronti della sperimentazione sull'animale non umano per la produzione di massa di cosmetici (5). Inoltre rivendico anche totale opposizione all'inutile uccisione di animali da destinare al mercato del lusso. Non sono per principio contraria al lusso o alla vanità, non ambisco in nessun modo ad un'estetica o ad una morale austere, anzi, rivendico la necessità della frivolezza e della ricerca del piacere e del piacersi in tutte le sue forme. Ma il lusso come strumento delle classi superiori per ribadire e rinfacciare il loro dominio e il loro disprezzo nei nostri confronti mi pare un insulto che non dovremmo concedergli.


CHE COS'È LO SPECISMO

Per prendere posizione sull'antispecismo, è necessario capire prima che cosa sia lo specismo. Con questo concetto vorrei descrivere quell'ideologia tipicamente occidentale, risultata dalla combinazione di due processi storici: da un lato la secolarizzazione del motto “E dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza” che si è insinuato nelle nascenti scienze moderne, divenendone il principio implicito; dall'altro è il risultato della nascita della categoria di “natura” come qualcosa di separato rispetto alla sfera dell'umano e posto sotto il suo controllo. Lo specismo consiste dunque in uno sguardo fideistico sulla realtà, che rivendica da un lato l'unicità della condizione umana: l'uomo sarebbe l'unico animale dotato di autocoscienza, capace di comunicare e di diversificarsi in culture, che grazie alla sua “ratio” è dotato di libero arbitrio e non è schiavo delle leggi di necessità come avviene per il resto del mondo animale e vegetale; dall'altro, in virtù di questa specificità della condizione umana, lo specismo separa l'uomo dal resto del mondo, lo pone ad un livello separato e superiore gerarchicamente nei confronti del mondo non-umano, che viene identificato con la così detta Natura. La Natura quindi è tutto ciò che non è umano e di cui l'uomo può appropriarsi e servirsi. Il passo seguente inquadra da un'angolatura peculiare la genesi di questo concetto moderno:

« Per arbitraria che possa sembrare tale genealogia, non posso fare a meno di associare l'emergere della concezione moderna di natura a un piccolo disegno intravisto qualche anno fa nella fredda luce di una galleria del Louvre. […] Il disegno mostra un'austera gola rocciosa che apre sullo sfondo di un'ampia valle dove tra boschetti e fattorie dall'aspetto sontuoso, serpeggia un fiume dai larghi meandri. Nell'angolo inferiore sinistro un personaggio visto di schiena è seduto, minuscolo nel mezzo dei blocchi di calcare. Portando mantello e piuma sul cappello, è occupato a schizzare dal vero la vista che gli si presenta. […] Il Paysage montagneux avec un dessinateur di Savery (1606), nella storia della pittura occidentale, non è certo la prima rappresentazione di un paesaggio.
Durer [uno dei primi paesaggisti] è anche il primo pittore nel mondo germanico a padroneggiare i fondamenti matematici della prospettiva lineare che Alberti aveva codificato una cinquantina di anni prima. Infatti l'emergere del paesaggio come genere autonomo dipende dalla sua composizione secondo le nuove regole della Perspectiva Artificialis: la disposizione e il campo nel quale si dispongono sono ormai comandati dalla vista dall'alto dello spettatore, come attraverso un piano trasparente, dentro uno spazio esteriore ed insieme infinito, continuo e omogeneo.
In un celebre saggio, Panofsky ha mostrato come l'invenzione della prospettiva lineare nella prima metà del XV secolo induceva un rapporto nuovo tra il soggetto e il mondo, tra il punto di vista di colui che osserva e uno spazio reso sistematico, dove gli oggetti e gli intervalli che li separano non sono che delle variazioni proporzionali di un continuum senza incrinature. Le tecniche di scorcio impiegate nell'arte antica mirano a restituire la dimensione soggettiva della percezione delle forme attraverso una deformazione metodica degli oggetti rappresentati, ma lo spazio dove questi si inscrivono resta discontinuo e come residuale. Invece la prospettiva moderna mira a restituire una coesione del mondo perfettamente unificato in uno spazio razionale, matematicamente costruito per scappare alle costrizioni psicofisiologiche della percezione. Ora, questa nuova “forma simbolica” di comprensione del mondo presenta un paradosso che Panofsky ha messo bene in luce. Lo spazio infinito e omogeneo della prospettiva lineare è nondimeno costruito e imperniato su un punto di vista arbitrario, quello della direzione dello sguardo dell'osservatore. È quindi un'impressione soggettiva che serve da punto di partenza per la razionalizzazione di un mondo dell'esperienza nel quale lo spazio fenomenico della percezione è trasposto in uno spazio matematico. Tale “oggettivazione del soggetto” produce un doppio effetto: crea una distanza tra l'uomo e il mondo restituendo all'uomo la condizione di acquisizione di autonomia nelle cose, sistematizza e stabilisce l'universo esteriore proprio conferendo al soggetto il dominio assoluto sull'organizzazione di questa esteriorità nuovamente conquistata. La prospettiva lineare istituisce così, nel campo della rappresentazione, la possibilità di questo confronto tra l'individuo e la natura che diventerà caratteristica dell'ideologia moderna e della quale la pittura del paesaggio diventerà l'espressione artistica. » (6)

Quindi l'ideologia specista appena descritta, è frutto di un processo piuttosto recente interno al continente europeo che si è successivamente espanso insieme allo sviluppo capitalistico.


CONFRONTARSI CON IL RESTO DEL MONDO

La stragrande maggioranza delle culture però non concepiscono una separazione dualistica fra la sfera dell'umano e quella del “naturale”. In molte culture poi, gli animali o addirittura le piante non vengono concepiti come entità altre rispetto alle persone. In proposito propongo solo alcuni esempi etnografici anche se la letteratura antropologica in merito è vastissima e non può essere esaurita in questa sede. Ad esempio Kaj Arhem (7) mostra come il popolo Makuna, che abita la foresta amazzonica della Colombia, concepisce e classifica gli umani, le piante e gli animali come “persone”, le cui principali caratteristiche (la mortalità, la vita sociale e cerimoniale, l'intenzionalità e la conoscenza) sono identiche. Oppure Descola spiega come negli ultimi anni gli Aborigeni australiani contestino al governo nazionale l'utilizzo del termine “wilderness” per qualificare i territori che abitano:

« È chiaro che per gli Aborigeni, come per altri popoli che vivono di predazione, l'opposizione tra selvaggio e domestico non ha molto senso, non solo perché le specie addomesticate mancano, ma soprattutto perché la totalità dell'ambiente percorso è abitato come una dimora spaziosa e familiare. » (8)

Tra l'altro questo caso etnografico, oltre ad essere interessante di per sé, è ulteriormente utile perché testimonia il conflitto in atto per il controllo del territorio fra gli Aborigeni ed il governo australiano, che sfruttando la connotazione di “terra nullius”, di natura selvaggia, impone la costruzione di riserve naturali esautorando di fatto i suoi inquilini millenari. Oppure, tornando all'Amazzonia, lo studioso William Balée (9) ha mostrato come alcuni gruppi sociali concepiscano la foresta come un orto e non come qualcosa di selvatico.
Inoltre è necessario ricordare che esiste anche uno specismo all'interno della stessa specie Homo: il colonialismo è certamente la testimonianza storica più eloquente di una cultura – quella dei conquistatori – che vedeva i conquistati come popoli ad un livello inferiore di umanità. Così gli africani, gli aborigeni australiani o le popolazioni precolombiane venivano descritti da zelanti antropologi evoluzionisti come “primitivi”, come reperti viventi di un'umanità ancestrale e senza storia, pre-logica e pre-scientifica lontana anni luce dalla civiltà – la nostra – e dal progresso – il nostro. Ancora oggi quest'atteggiamento non è stato superato, basti vedere in Italia le politiche attuate nei confronti degli immigrati o delle popolazioni sinti e rom.


SGUARDI ERETICI IN OCCIDENTE

È stato mostrato come lo specismo sia la tendenza ideologica egemonica in occidente, è però doveroso prendere in considerazione alcune voci fuori dal coro che si sono affermate nel tempo e che per alcuni aspetti hanno aperto una breccia significativa all'interno di questo paradigma. Uno dei più celebri avversari dell'idea che il raziocinio e la libertà di scelta siano caratteristiche esclusivamente umane fu Montaigne, che nei Saggi afferma:

« Perché il ragno ispessisce la sua tela in un punto e l'allarga in un altro? Perché si serve ora di questo tipo di nodo, ora di quello, se non ha la facoltà di scelta, di pensiero e di concludere? » (10)
« Non siamo né al di sopra, né al di sotto del resto […]. C'è qualche differenza, ci sono degli ordini e dei gradi; ma tutto sotto la facciata di una stessa natura. » (11)

Dunque per Montaigne non è giustificabile perpetuare l'idea di una supremazia intellettuale e morale degli umani sul resto del mondo animale poiché entrambi sono sottomessi alle stesse leggi e agli stessi limiti naturali. Altri pensatori e soprattutto molti teorici dell'antispecismo punteranno invece l'indice sulla continuità fisica all'interno del regno animale che implica quindi che la capacità di sentire – e dunque di provare piacere o dolore – sia patrimonio comune a tutte le specie. A partire dagli anni '70, all'interno delle scienze naturali, e specialmente grazie ai contributi pionieristici di alcuni etologi, si è aperto un dibattito molto acceso che potrebbe condurre alla messa in discussione della pretesa esclusività e singolarità della condizione umana. Ad esempio Donald Griffin in Progress towards a cognitive ethology sostiene che, in base ad osservazioni empiriche sul comportamento, si possa attribuire un pensiero cosciente e soggettivo agli animali. Oppure nel 1978 William Mc Grew e Carolin Tutin pubblicarono un articolo (12) in cui sostenevano, riportando i risultati del loro studio comparativo, che gli scimpanzé soddisfano la maggior parte dei criteri con i quali viene caratterizzata la cultura: l'osservazione mostrava che vi è una varietà comportamentale fra popolazioni differenti che vivono allo stato selvaggio, dove è probabile che nuove “tecniche” individuali emergano e si diffondano all'interno di un gruppo radicandosi in modo stabile e differenziandosi da comportamenti appresi in altri gruppi. Successivamente Mc Grew ha pubblicato un articolo in cui recensisce almeno una ventina di casi di utilizzo di utensili all'interno di popolazioni di scimpanzé (13) . Anche se sono molto importanti perché comunque smentiscono le pretese di esclusività della nostra condizione, non sono questi risultati scientifici la garanzia per la costruzione di un antispecismo marxista. Infatti, affermare che gli scimpanzé hanno sviluppato capacità tecnologiche, o azzardarsi in proposizioni come “sono animali pre-culturali” significa comunque aver mantenuto uno sguardo antropocentrico in cui si analizza il resto del mondo a partire dal livello di umanità che lo contraddistingue. Significa in ultima istanza, che l'uomo continua a considerarsi come principio e unità di misura del reale, ossia come qualcosa di separato, superiore e necessario. L'uomo quindi, nell'ideologia specista considera se stesso come il centro e il destino del mondo.


LIMITI DELL'ATTUALE ANTISPECISMO

Alcune considerazioni adesso sull'attuale antispecismo. Due mi paiono essere i limiti principali di questi movimenti: il primo sta nello sguardo parziale e nella mancanza di una prospettiva conseguentemente anticapitalista; il secondo discende dal primo ed è la proposta politica che ne deriva che spesso assume i caratteri dell'individualismo. Su questo secondo punto vorrei fare alcuni accenni; molti movimenti antispecisti propongono ad esempio il veganesimo come pratica politica – per non parlare dell'autoproduzione come modello economico alternativo – e lo fanno in virtù dell'idea che “il cambiamento parta dal soggetto” o “dalle buone pratiche”. Personalmente non ho nulla contro le scelte alimentari delle persone ed anzi penso che scegliere un percorso personale che comporti lo stare meglio con se stessi e con il resto del mondo sia solo elogiabile segno di libertà. Ma le scelte alimentari, o “il buon esempio” in sé e per sé non possono incrinare un sistema come quello capitalista, che tra l'altro ha saputo benissimo attrezzarsi per proporre una vastissima gamma di prodotti vegetali e a base di soja, che non sono più “etici” di quelli dell'industria della carne. Inoltre, è importante ricordarlo, all'interno del capitalismo l'accesso al cibo di qualità è irrimediabilmente condizionato dall'appartenenza di classe. Questo lo ribadisco perché non può esistere la coerenza etica individuale all'interno del capitalismo (14) ; per questo l'antispecismo, se vuole veramente essere efficacie deve integrarsi in un progetto coerentemente anticapitalista.


IO SONO IL MONDO: VERSO UN ECOLOGISMO MARXISTA

L'obiettivo di un antispecismo marxista è dunque secondo me quello di ricondurre l'uomo nel mondo, come parte di esso e non separato e al di sopra di esso. L'uomo è nel mondo ed è in continuità con esso. Marx di ciò ne era ben consapevole ed infatti afferma:

« La natura è il corpo inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con se stessa, perché l’uomo è una parte della natura. » (15)

Il marxismo riafferma con forza la materialità dell'uomo. Tutto è materia e le forme complesse che compongono la realtà non sono altro che forme organizzate della materia. La vita stessa è il risultato dell'organizzazione della materia e di una successione infinita di forme organizzate assunte da essa, come sostiene anche il filosofo Denis Diderot:

« Che cos'è un essere? La somma di un certo numero di tendenze.. Posso forse essere altro che una tendenza? No, vado verso un termine.. E le specie? Le specie sono solo tendenze verso un termine comune che è proprio ad esse.. E la vita? La vita, un seguito di azioni e reazioni.. Da vivo, agisco e reagisco in massa.. da morto, agisco e reagisco in molecole.. quindi non muoio affatto? No senza dubbio, non muoio affatto, in quel senso, né io né qualsiasi cosa.. Nascere, vivere e trapassare, significa cambiare forma.. E che importa una forma o un'altra? Ogni forma ha la felicità e l'infelicità che le è propria. Dall'elefante al pidocchio.. dal pidocchio alla molecola sensibile e vivente, origine di tutto, non un punto nella natura intera che non soffra o non goda. » (16)

Anche lo spirito, a differenza di quello che sosteneva Cartesio, non è che una forma di organizzazione della materia. Questo principio è stato portato avanti da Engels e successivamente da Lenin nella loro battaglia politica contro tutti gli individualismi antropocentrici e liberali, che nel tempo hanno assunto varie forme come il dualismo cartesiano, il positivismo e l'empiriocriticismo ecc. Lenin ad esempio, in aspra polemica con il solipsismo di matrice positivista afferma

« Il materialismo considera come dato primordiale la materia e come dato secondario la coscienza, il pensiero, la sensazione; poiché la sensibilità è connessa, in una forma chiaramente espressa, unicamente alle forme superiori della materia.
[…] Abbiamo già visto quali sono le vere concezioni dei materialisti. Queste concezioni non consistono nel dedurre la sensazione dal movimento della materia o nel ridurre la sensazione al movimento della materia, ma nel considerare la sensazione come una delle proprietà della materia in movimento. » (17)

Questa è l'unica prospettiva che libera l'umanità da ogni destino e presunzione di dominio sul mondo, sia umano che non umano. È lo sguardo imprescindibile che dobbiamo utilizzare per la fondazione di un'ecologia marxista. È la prospettiva che dobbiamo necessariamente riassumere nella nostra battaglia per la conquista del comunismo.



NOTE:

(1) L'implicito di queste affermazioni di D'Alembert è il concetto di anima.
(2) D. DIDEROT, Il sogno di D'Alembert, Sellerio editore, Palermo, 1994 (1769); pp. 9 – 13.
(3) «Se non c'è giustificazione morale all'ignorare la sofferenza quando è presente – ed essa è presente nelle altre specie – che cosa dire del nostro atteggiamento nei confronti di queste altre specie? Richard Ryder […] usa il termine speciesism («specismo») per definire la nostra convinzione di aver diritto a trattare i membri di altre specie in una maniera che non sarebbe ammessa per i membri della nostra stessa specie. Il termine rende bene le analogie tra questo atteggiamento e il razzismo». Definizione tratta da: P. SINGER, Le sofferenze inflitte agli animali, in Comunità, edizione 170, 1973; pag. 251.
(4) Vedi ad esempio: Tiziano BAGAROLO, Lenin sconosciuto: la rivoluzione sovietica e l'ecologia, in Marxismo Rivoluzionario, n. 9, 2014; pp. 25 – 37.
(5) Tra l'altro, il fatto stesso che i prodotti cosmetici debbano essere testati sugli animali prima di entrare in commercio ci dà la cifra di quanto siano scadenti.
(6) P. DESCOLA, Oltre Natura e Cultura, SEID editori, Firenze, 2014; pp. 83 – 85.
(7) K. ARHEM, Ecosofia Makuna, in F. COMEA (dir.), La senva humanizada. Ecologia alternativa en el Tropico humedo colombiano, Bogota, Istituto Colombiano de Antropologia, 1996, pp. 105 – 122.
(8) P. DESCOLA: opera citata; p. 62.
(9) W. BALEE, Footprints of the forest Ka'apor ethnobotany, New York, Columbia University Press, 1994.
(10) M. MONTAIGNE, Essais, Paris, Gallimard, 1950 (1580); p. 501.
(11) Ibid. p. 506.
(12) W. MC GREW, C. TUTIN, Evidence for a social custom in wild chimpanzees?, in Man, 13, 1978; pp. 234 – 252.
(13) W. MC GREW, Chimpanzee material culture implications for human evolution, Cambridge, Cambridge University Press, 1992.
(14) È anche per questa consapevolezza dell'impossibilità di condurre una lotta individuale contro al capitale che noi marxisti rivoluzionari ci uniamo e agiamo attraverso lo strumento del partito.
(15) Karl Marx in T. BAGAROLO, Un posto nella storia dell'ecologia per Marx ed Engels?: http://www.rproject.it/?p=221#posto.
(16) D. DIDEROT, opera citata: 49.
(17) V. I. LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 2004 (1909); pp. 57 – 59.

Clelia Mazzei

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