Dalle sezioni del PCL
LA BUONA SCUOLA non é UNA RIFORMA
è una RESTAURAZIONE AUTORITARIA
15 Maggio 2015
La riforma renziana della Scuola Pubblica è parte integrante e prosecuzione dell'attacco ai beni comuni, ai diritti sociali e al lavoro.Per imporla, assecondando i voleri delle elites economiche/finanziarie, Renzi ricorre ancora una volta all'autoritarismo, nel metodo e nei contenuti.
Dopo anni di tagli e restrizioni ,  il sistema dell’istruzione pubblica del nostro Paese necessita sicuramente di  incisivi e profondi  interventi  in grado di rilanciarlo e riqualificarlo.
Ma il  rilancio e la riqualificazione della Scuola Pubblica non possono che realizzarsi  in coerenza con i valori costituzionali, ampliando  la partecipazione democratica di tutte le sue componenti, garantendo il libero confronto delle idee e rendendo effettivo e universale il diritto allo studio.
Con il DDL  paradossalmente intitolato “la Buona Scuola”,  il Governo a guida PD – Renzi  sta invece utilizzando il giustificato bisogno di  cambiamento, il disagio e il sentire sociale per capovolgere  quei principi e introdurre un modello di Scuola assolutistico, pesantemente condizionato da interessi  esterni e di parte.
Quel provvedimento, autoritario per i suoi contenuti e per il metodo della sua discussione parlamentare, INFATTI
1.	Limita sensibilmente, se non elimina del tutto, la libertà dell’insegnamento prevista in Costituzione a garanzia del pluralismo delle idee e della formazione;
2.	ridisegna  sui più deteriori modelli aziendali un’Istituzione pubblica  sorta quale luogo di formazione del cittadino; 
3.	non  risolve gli attuali innegabili problemi della Scuola Pubblica, ma ne abbassa  anzi la qualità complessiva  a vantaggio di  interessi  privati;  
4.	è contrario ai principi costituzionali che garantiscono l’eguale diritto dei cittadini ad un’istruzione pubblica,  democratica e pluralista;
5.	trasforma il sapere, da fattore di maturazione civile  e di formazione critica,  a semplice somma di nozioni, tra l’altro  subordinandolo in buona parte ai valori, alla pratica e agli interessi degli operatori  privati  territoriali;
6.	sottrae tempo alla formazione civile e culturale degli studenti per avviarli alla “formazione d’impresa”,  nella quale , con prestazioni gratuite o irrisoriamente compensate, impareranno a lavorare ma non “a pensare”,  ad accettare le regole di un lavoro senza, o con marginali, diritti;
7.	impoverisce ancora di più la Scuola dei poveri e favorisce quella dei più agiati, fabbrica schiavi a mezzo di schiavi;
8.	rende i Presidi dei piccoli “Marchionne”, uomini soli al comando - padroni assoluti di una Scuola non più democraticamente gestita   -  inevitabilmente interessati a compiacere i finanziatori e i loro indirizzi culturali;
9.	attraverso la chiamata diretta dei docenti, la loro valutazione sulla base dei risultati  delle prove-quiz INVALSI,  la temporaneità  degli incarichi,  l’insegnamento senza abilitazione,  li pone  sotto ricatto  e li costringe  ad adeguarsi alla volontà ed alle scelte didattiche di un  Preside condizionato dagli “sponsors”;
10.	 per gli stessi motivi, deprime  seriamente la qualità  dell’insegnamento, appiattito su test nozionistici, non più libero ma legato a precise opzioni culturali, dequalificato   e sottoposto ad un’ulteriore e crescente discontinuità didattica;
11.	alimenta e accentua fenomeni di clientelismo e servilismo, sostituendo alla collegialità della funzione docente una nuova forma di “guerra fra poveri”,  in cui i vincitori non saranno certo gli insegnanti migliori.
Ma soprattutto, per  la  filosofia di fondo e le finalità che lo ispirano, il provvedimento  si colloca organicamente  nel solco delle politiche di privatizzazione dei beni pubblici e dei diritti  sociali (istruzione, salute, pensione, ecc.) che sempre più diverranno, per i cittadini,  merci acquistabili sul mercato e,  per le cordate economiche e finanziarie, nuove, voraci occasioni di profitto.
E se è questo il reale e fondamentale scopo  del Disegno di Legge, le modifiche consentite non potranno che essere marginali, illusorie e di facciata,  incapaci di  mutarne la natura e la sostanza, del tutto ininfluenti sul progetto di riforma aziendalistica  della Scuola pubblica,  tanto caro a Confindustria,  a cui l’attuale dirigenza del Paese, e gli interessi che vi sono dietro, non intendono in alcun modo rinunciare.
In questo quadro si collocano e si spiegano tanto l’autoritarismo di un metodo che rifiuta ogni effettivo confronto di merito, tanto la centralizzazione del potere in ambito scolastico.
Il metodo,  per le limitazioni che sta imponendo sia al dibattito parlamentare sia al confronto  con le organizzazioni di categoria, “blinda” infatti il DDL e sterilizza la protesta e la proposta sociale.
 “L’uomo solo al comando” – cinghia di trasmissione di volontà, indirizzi e valori  esterni alla comunità scolastica – è a sua volta  necessario per la piena e coerente attuazione della “Scuola Azienda”, una Scuola  dove non c’è più posto per la libertà d’insegnamento e la partecipazione democratica.
La figura di un Preside-Padrone, dotato di un enorme potere di ricatto verso i docenti, che impone indirizzi e scelte didattiche, è,  infatti, centrale e indispensabile per la piena realizzazione di un progetto che persegue, tra gli  obiettivi fondamentali,  la subordinazione della formazione culturale  alle pratiche e ai valori di un mondo imprenditoriale  liberato dai “lacci e lacciuoli” e sempre più distante dalla civiltà e dignità del lavoro.
Il disegno di legge sulla “Buona Scuola” non è dunque né una Riforma democratica  né una Riforma  utile al Paese e ai cittadini; è, piuttosto, in spregio di fondamentali principi costituzionali,  una RESTAURAZIONE AUTORITARIA, utile solo a una parte del Paese.
LA “BUONA SCUOLA” NON DEVE ESSERE EMENDATA MA ELIMINATA!

			






