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Napoli. Sugli sviluppi del caso Bifolco

7 Maggio 2015

E’ stata fissata per il 3 giugno 2015 la data dell’udienza preliminare, nella quale – finalmente - si deciderà se il carabiniere che ha sparato Davide Bifolco la notte tra il 4 e il 5 settembre dovrà essere sottoposto ad un processo o meno.

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E’ stata fissata per il 3 giugno 2015 la data dell’udienza preliminare, nella quale – finalmente - si deciderà se il carabiniere che ha sparato Davide Bifolco la notte tra il 4 e il 5 settembre dovrà essere sottoposto ad un processo o meno.
Le indagini svolte dal Sostituto Procuratore della Procura di Napoli, dott.ssa Persico, hanno evidenziato moltissimi punti critici nel comportamento degli agenti, che quella notte svolgevano la loro attività nel rione Traiano.

Resta un dato incontrovertibile. Quella notte Davide è stato centrato da un colpo di pistola sparato da uno degli agenti presenti sulla volante dei carabinieri. Chiarire la dinamica è sempre un salto nell’incertezza, perché quando si parla di agenti dello Stato che uccidono, la rete di depistaggi e trame oscure si fa sempre più fitta e l’incolumità di chi accusa è seriamente messa in discussione.
Quello che è emerge è il fatto che ancora una volta, nell’immediatezza dei fatti, il comportamento dell’arma sia stato “ambiguo”, i depistaggi siano stati palesi.
Basti pensare agli articoli giornalistici (potremmo definirli quasi come delle “veline” del Comando dei Carabinieri) in cui la morte di Davide sembrava quasi fosse imputabile al ragazzo, e solo a lui. Strategia questa già sperimentata in tutti gli altri innumerevoli casi in cui sono stati coinvolti appartenenti alle forze dell’ordine. Pensare e far pensare all’opinione pubblica che in fondo chi è morto se l’è meritato. Vedasi il “delirante” Federico Aldrovandi, il “tossico” Stefano Cucchi o l’”energumeno” Riccardo Magherini.

Davide ha scontato il prezzo di essere nato e di esser vissuto in un quartiere di quelli che la borghesia chiama “difficili”; periferie del capitalismo in putrefazione, nel caso specifico di una metropoli come Napoli, dove tutte le contraddizioni sociali vengono fuori fino ad esplodere.
Davide ha pagato anche il prezzo di esser napoletano, per questo.
Stava facendo un giro con due suoi amici e ha pagato il fatto di vivere in un quartiere in cui la repressione riesce ad esprimersi nelle sue forme più violente. E’ stato – a detta dell’Arma – “confuso” (che sbadati!) con un latitante che il comando dei carabinieri del quartiere ricercava da mesi e con il quale avrebbero quasi ingaggiato una “lotta” personale (dunque dobbiamo pensare che il “latitante” sarebbe stato ammazzato se fosse stato acciuffato e ciò giustifica, in effetti, la volontà di costui di scappare).
Tutto questo detto e diffuso come se fosse giustificatorio sparare ad una persona perché questa sia latitante. Tutto ciò, persino ai fini processuali democratico borghesi, è inaccettabile.

I quartieri delle periferie sono luoghi in cui la classe dominante ha relegato tutti quegli appartenenti ad un substrato sociale scomodo, in qualche modo considerato “un problema” per i cicli di riproduzione capitalistici e che mette in difficoltà la normalità, il “naturale” scorrere della vita sociale. Tale segmento di popolazione va, quindi, represso e trattato alla stregua di carne da macello. A giustificare il tutto una fitta e potente rete d’informazione, che muove l’opinione pubblica di massa a seconda degli interessi e dei compromessi della borghesia.

Chi muore in quei quartieri è perché in fondo appartiene ad una classe oppressa, che la borghesia non vuole in libertà, non sopporta persino di vederla, è il simbolo di problemi, delle contraddizioni e pertanto non merita rispetto, va repressa, se necessario, ammazzata.

Vorrebbero convincerci che la morte di Davide sia solo il frutto di una “svista”, di un “errore umano”. No, non ci stiamo! Davide è morto perché lo Stato borghese in determinati posti crede di poter agire impunemente, crede di poter disporre della vita della povera gente, di militarizzare i quartieri, tanto chi ci vive non ha “santi in paradiso”, sarà sicuramente ignorante, poco curato e “camorrista”. La verità è che per chi comanda il Paese la vita della povera gente non ha senso, in quanto, per la borghesia il senso reale degli uomini è il denaro, l’essenza di questi è lo scambio.

Il percorso intrapreso a Napoli con famiglia Bifolco, amici di Davide, persone del quartiere e realtà anticapitaliste è importante. Noi non c’illudiamo – e lo diciamo anche a costo di sembrare impopolari, perché pensiamo che uno dei doveri dei comunisti sia dire sempre la verità, anche quando è scomoda – tra quelli che credono nelle parole “verità e giustizia”, perché sappiamo che questi due concetti non sono compatibili con l’ordine sociale esistente. Non vi può essere ne’ verità ne’ giustizia nelle aule dei tribunali, perché sono parte delle strutture sociali di dominio di chi gestisce lo Stato. Ma tale battaglia è importante ugualmente, perché servirà a dimostrare agli occhi delle masse il vero volto dello Stato. Non lo “Stato al di sopra delle classi” che regolamenterebbe la vita dei “cittadini”, bensì lo Stato come espressione di potere coercitivo e di organizzazione delle classi ricche contro quelle povere.

Conduciamo questa battaglia sin dai primi giorni dell’assassinio di Davide, per sottolineare come siano estremamente interconnesse dinamiche di ghettizzazione proletaria e violenza da parte dello Stato.
Ciò pone la possibilità di aprire la questione, di interrogarsi su quanto è accaduto, per rendere chiaro che tutto ciò è successo perché è stato permesso. Perché questo stato di cose organizza una repressione tanto ampia da rendere giustificabile la morte di un ragazzo senza nessun motivo concreto ed evidente, solo perché vivendo al Traiano … aveva sicuramente fatto qualcosa, per lo Stato.
Uno Stato da abbattere!

Napoli, 07/05/2015

PCL Napoli

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