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La conferenza degli studenti del PCL
Un progetto rivoluzionario per le lotte studentesche
29 Aprile 2015
La conferenza studentesca del PCL tenutasi recentemente a Genova conferma gli assi su cui continuare l'azione politica nel movimento studentesco: portare all'interno del movimento studentesco un punto di vista coerentemente e conseguentemente rivoluzionario, e affrontare in questo modo anche fra gli studenti la lotta per la trasformazione socialista di questa società.
Portare all'interno del movimento studentesco un punto di vista coerentemente e conseguentemente rivoluzionario, e affrontare in questo modo anche fra gli studenti la lotta per la trasformazione socialista di questa società. È questo, in estrema sintesi, il senso del progetto di costruzione di una tendenza studentesca rivoluzionaria che il PCL pone al centro della propria azione nelle scuole e nelle università e affida ai suoi giovani militanti, con l'obiettivo di dare impulso ad un percorso non solo di intervento (già peraltro avviato e in alcuni casi consolidato), ma di vera e propria impostazione di un discorso e di una battaglia politica generali.
I due giorni di ricco dibattito su questi temi (28 febbraio e 1 marzo, a Genova), giunti al termine di un confronto durato oltre un anno e mezzo, hanno permesso di determinare con più precisione il contenuto di un lavoro politico che assume centralità proprio in ragione dei compiti strategici generali che si impongono ai marxisti rivoluzionari, e che sono resi ancor più chiari ed urgenti dall'odierno contesto politico e sociale. Ciò che infatti fa da sfondo allo scenario attuale, e che oramai nessuno può più negare, è una crisi capitalista permanente, che in Italia come altrove impatta le vite di milioni e milioni di esseri umani, soprattutto giovani. Ed è appunto nell'incidenza di questa vera e propria crisi di civiltà sull'esistenza delle giovani generazioni che si determina un cambiamento del fattore soggettivo, che si riflette su una consapevolezza e talvolta una volontà di agire, dettate più da elementi materiali che da un'effettiva presa di coscienza. Lo abbiamo visto in questi ultimi anni nelle Primavere arabe; lo abbiamo visto nelle rivolte in paesi come la Spagna, la Turchia, il Brasile; lo vediamo nella Grecia soffocata dai tentacoli del disfacimento dell'UE; lo vediamo nelle incalzanti fibrillazioni sociali dell'America Latina.
È sulla base di questa primaria consapevolezza, che sempre più si fa largo in ampi strati di giovani e di studenti ai quattro angoli del pianeta, che per la prima volta dalla fine dell'Unione Sovietica e dalla caduta del muro di Berlino matura la possibilità storica concreta di rimettere apertamente in discussione questo ordine politico ed economico. E quindi di lavorare in quella direzione.
La definizione di un'area di classe ed anticapitalista all'interno del movimento studentesco non riveste, per noi, carattere di mera propaganda e di presenza organizzata all'interno di un settore ben preciso, come lo è stato in passato e lo è tuttora per molte formazioni politiche. Quasi tutte queste formazioni, e fra esse anche alcune che pure si definiscono comuniste, caratterizzano il proprio intervento in chiave di una proiezione della propria organizzazione fra gli studenti, in una logica in fin dei conti sterile e autoconservativa, che molto spesso finisce per coincidere con impostazioni "sindacaliste". Per noi, viceversa, il progetto di una tendenza studentesca, cioè di una linea di identificazione politica all'interno del movimento, si inserisce all'interno di una strategia che ruota intorno a due assi.
Il primo è quello dell'azione volta ad immettere all'interno di un terreno di massa (quale è quello di milioni di studenti) una posizione e dei contenuti di classe, cioè legati ad una analisi particolare e portatori di interessi determinati. Partendo dalla comprensione che "[…] scuola e università sono gli ambiti privilegiati all'interno dei quali la borghesia ha sempre e ovunque esercitato e conservato il suo comando, a partire dalle forme ideologiche e culturali in cui esso si manifesta e si riproduce" (dal documento approvato alla conferenza nazionale di Genova). Questa posizione di classe trova per noi una valenza prima di tutto come chiara e concreta proposta politica, che sia immediatamente percepibile dagli studenti come tale. È chiaro che dire ciò equivale a far sì che questa proposta politica si definisca in un vero e proprio programma, che costituisce il fondamento della costruzione della tendenza.
Il secondo asse è la conseguente battaglia per l'orientamento del movimento studentesco su quelle posizioni e di quei contenuti, che va combattuta non solo all'interno delle lotte e delle mobilitazioni, ma anche attraverso una demarcazione pratica e teorica da posizioni magari rivoluzionarie a parole, ma conservatrici nei fatti (si pensi ad esempio alle tematiche e alle parole d'ordine proprie dei movimenti di ascendenza strutturalista, autonoma o post-operaista).
Se questi sono gli obiettivi, quindi, una tendenza studentesca rivoluzionaria non potrà certo essere il semplice trasferimento del capo d'azione di un partito all'interno del corpo studentesco, o la formazione di un'area più o meno ristretta che a quel partito fa riferimento. Al contrario, essa non potrà che configurarsi come uno spazio politico largo ma ben definito, che sia capace cioè di far avanzare posizioni anticapitaliste in maniera tale che da rivendicative diventino egemoni.
È evidente quanto i due assi strategici abbiano la potenzialità di sottolineare e di far valere nella realtà il nesso fra lotta studentesca e lotta di classe, contro tutte le tendenze che, apertamente o meno, mirano a negare o a rompere il legame che le unisce. Legare lotta degli studenti e lotta di classe significa innanzitutto riconoscere la connessione che c'è fra mondo del lavoro e mondo del lavoro "in formazione", e le relazioni che fra questi due ambiti si stabiliscono all'interno del modo di produzione e di scambio capitalistico. Come abbiamo detto a Genova, "[...] per i giovani proletari, e non solo per loro, la scuola, nel sistema capitalistico, assume il compito di formarli teoricamente, ideologicamente e nella pratica come forza-lavoro egemonizzata, allineata e assuefatta alle necessità del mercato del lavoro e della massimizzazione del profitto (precarietà, flessibilità, meritocrazia, competizione estrema, individualismo) [...]".
A chi pensasse che si tratta di fumose petizioni ideologiche, basta dare un'occhiata a tutta la legislazione da vent'anni a questa parte riguardante scuola e università, di qualsiasi colore e segno politico. O più semplicemente, agli ultimi temi all'ordine del giorno in materia di istruzione: l'alternanza scuola-lavoro (ormai largamente applicata e diffusa) e il sempre più insistente disegno dell'introduzione di un ciclo scolastico separato per la formazione professionale, in cui una parte notevole della didattica sarebbe costituita dalla pura e semplice prestazione lavorativa ai privati (ovviamente gratuita). L'intenzione di questa iniziativa è fin troppo evidente: regalare generosamente forza-lavoro ai padroni allo scopo di sorreggere le loro attività, che la crisi di valorizzazione del capitale ha reso tanto improduttive quanto incapaci di creare domanda.
La ripresa della lotta di classe, quindi, dovrebbe trascinare con sé l'avvio di un nuovo ciclo di mobilitazioni studentesche proprio nel verso di una unificazione delle istanze di lotta e di legame su un programma politico che le esprima e le faccia oggetto di un'unica vertenza generale. È sotto questo aspetto che ha senso il nesso lotta studentesca-lotta di classe, al di fuori di ogni retorica e stereotipo vuoti di significato politico.
All'interno di questo quadro, la portata della sconfitta storica della politica delle sinistre riformiste (che è andata di pari passo con la rapida trasformazione liberale della sinistra derivante dal PCI) è enorme, e le contrastanti conseguenze che ne derivano trovano una loro tangibile espressione nello stato di arretratezza di tutte le lotte sociali (e quindi anche delle lotte studentesche), laddove pur in presenza di numerose spinte al cambiamento non emerge il minimo spessore di coscienza politica che possa recepirle. Nel totale cedimento delle sinistre riformiste, si è registrata all'interno del movimento studentesco la scomparsa quasi definitiva delle organizzazioni giovanili ad esse legate, in primo luogo dei Giovani Comunisti (legata al Partito della Rifondazione Comunista). La triste parabola discendente di queste organizzazioni giovanili nell'arco dell'ultimo decennio è stata causata proprio dalle politiche compromissorie e di collaborazione di classe di cui si sono resi protagonisti i partiti di riferimento, e si è manifestata dapprima con un crescente isolamento dalle (e nelle) lotte - come conseguenza della perdita di credibilità - e poi con un loro sempre maggiore logoramento e la perdita del loro ruolo.
L'assenza di una prospettiva politica che inserisca le lotte degli studenti all'interno di un progetto rivoluzionario è ciò che ha caratterizzato la storia delle mobilitazioni successive al Sessantotto, e che ha maggiormente segnato in negativo la possibilità di una radicalizzazione delle stesse lotte studentesche. Sta a noi cominciare ad invertire la rotta.