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Giù le mani dai macchinisti!
20 Aprile 2015
L'assalto condotto da media, partiti e istituzioni borghesi ai macchinisti della metro di Roma, protagonisti la settimana scorsa di uno sciopero (definito peraltro "in piena regola" persino dal Corriere della Sera) è sconcertante e nauseante per il meschino livore che lascia trasparire e per la dose letale di ipocrisia e di falsità che contiene. È un assalto funzionale all'ideologia spacciata a piene mani dall'attuale governo, quella che vede i lavoratori dipendenti (fannulloni, privilegiati, assistiti, viziati ecc.) responsabili dei mali e problemi dell'Italia.
Il poderoso e ben collaudato meccanismo attraverso il quale è prodotta, confezionata e veicolata questa ideologia, intimamente e squisitamente padronale, si nota dal modo in cui viene spudoratamente manipolata e negata la realtà, fin dai suoi elementi minimi e basilari. I macchinisti (quando non i vigili urbani, o gli impiegati comunali ecc.) vengono definiti "casta". Si parla di loro "super-stipendi". Si tira in ballo il loro orario lavorativo "troppo basso". Si vaneggia di "privilegi", di "intollerabili garanzie", di "difese corporative". Di "eccessiva sindacalizzazione". Di "politicizzazione".
Il governo Renzi e l'attuale giunta di Roma hanno solo portato al parossismo questo discorso, che da anni viene formulato, in forme e stili vari, da tutti i protagonisti del consesso politico-istituzionale-culturale borghese, dal PD alla destra leghista e berlusconiana, passando per le anime belle grilline. Fino ad oggi, lo sappiamo, l'obiettivo materiale è stato quello di poter sfruttare sempre più a fondo e su larga scala determinati settori di lavoro dipendente, aumentare carichi e orari di lavoro, smantellare condizioni e diritti. Il salto di qualità avviene quando l'attacco arriva fino in fondo, ed è costituito dall'aggressione duplice e complementare - sotto gli occhi di tutti ormai da tempo - al contratto nazionale e allo sciopero in quanto tale, cioè in quanto strumento di rivendicazione e difesa (anche e in primo luogo del contratto nazionale).
Non solo. Oggi, l'ulteriore e principale obiettivo è quello di dare in pasto al capitale, attraverso privatizzazioni, cessioni e aziendalizzazioni, quote sempre crescenti di lavoro "improduttivo", cioè di lavoro non direttamente finalizzato alla produzione del profitto capitalista.
Tutto questo disegno può trovare applicazione solo se sostenuto e legittimato da un certo consenso. E può appoggiarsi sul consenso soltanto se è visto dall'opinione pubblica e da larghi strati di stessi lavoratori come una naturale necessità tesa a salvaguardare l'interesse e il bene di tutti a scapito degli inaccettabili "privilegi" di pochi. Ecco il principio che tiene insieme tutto. Ecco l'operazione criminale di menzogna e di discredito, che scatta ormai puntualmente secondo schemi ben precisi e sempre uguali, tesa a colpire ora questo ora quel settore di dipendenti statali.
Alla base di tutto questo, nel caso dell'Atac, c'è il fatto che come al solito l'azienda vuole far pagare la sua crisi ai dipendenti, accusandoli di lavorare poche ore rispetto ai colleghi di altre città e tenendoli sul filo del rasoio del ricatto della privatizzazione e della vendita "ai cinesi".
Invitiamo tutti, a partire dai lavoratori, a non cadere in questa trappola e a non prestare il minimo sostegno a queste interessatissime manovre. La crisi di Atac non è "colpa" dei lavoratori, ma di anni e anni di malversazioni e ruberie di centrodestra e centrosinistra (e rispettive dirigenze aziendali di riferimento), come quella dei biglietti falsi (sottratti alle casse pubbliche un miliardo di euro in dieci anni), come quella dello scandalo "parentopoli" (giunta Alemanno), come quella degli appalti che vengono pagati il triplo, come quella dei dirigenti che si aumentano lo stipendio nel bel mezzo della crisi aziendale. È "colpa" di un gestore che riesce nell'impresa di andare in perdita pur essendo un'azienda pubblica e in posizione di monopolio. È colpa del fatto che è il profitto a generare corruzione, e non il contrario.
Che siano i macchinisti a "risanare" l'azienda, cacciando dirigenti, burocrati sindacali e loro mandanti politici, e aprendo i libri contabili.
Che siano i macchinisti a respingere le disgustose provocazioni padronali di Comune, azienda e procura, facendo rimangiare a Ignazio Marino le sue ridicole minacce di licenziamento.
Che siano i macchinisti, di Roma e delle altre città, ad intraprendere una lotta coordinata ed unitaria per le loro condizioni di lavoro, a partire dalla riduzione dell'orario lavorativo e la ripartizione del lavoro. La rabbia e il coraggio dei tranvieri di Genova, novembre 2013, indicano la strada.