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Venezuela: golpismo cronico
Trad. da Prensa Obrera online, 5 marzo 2015
10 Marzo 2015
Una delle caratteristiche della storia del Venezuela chavista è lo stato di golpismo permanente. Dopo un inizio “neoliberale”, con un Ministero dell’Economia affine alla linea dell’FMI, l’orientamento nazionalista e la fisionomia bonapartista del nuovo governo determinarono, nell’opposizione di destra, una politica orientata a porre anticipatamente fine al nuovo regime. Il golpe civile-militare dell’aprile 2002 e il lock-out (serrata) petrolifero e delle imprese alla fine di quell’anno non furono eccezioni alla regola. L’opposizione di destra boicottò a lungo dopo l’avanzata del governo chavista le elezioni e la lotta parlamentare. Anche quando corresse, con la partecipazione elettorale, quello che definì un “errore politico”, fu duramente criticata da una sua ala, che l’accusò di “legittimare” il governo; la tendenza golpista non ha mai smesso di esser presente nell’opposizione nemmeno quando ha accettato la contesa elettorale. L’ingerenza internazionale fu molto evidente nel golpe del 2002, quando cercò di predisporre una “mediazione” costituita da sei paesi. Tuttavia, durante il sabotaggio economico a partire della fine di quell’anno, le banche internazionali, non smisero mai di rifinanziare i pagamenti del debito estero. Fino ad oggi, il governo del Venezuela ha mantenuto relazioni eccellenti col sistema bancario internazionale e con le aziende petrolifere alle quali è associata la PDVSA nel bacino dell’Orinoco; nel caso del conflitto con la Exxon ha accettato di pagare gli indennizzi stabiliti dalla sentenza della Giustizia nordamericana.
Il chavismo, ad ogni modo, non rinunciò alle “buone maniere” quando l’opposizione, tardivamente, si piegò alla lotta elettorale: dopo le parlamentari del 2011 intervenne in tutte le amministrazioni economiche sotto la sovranità provinciale o municipale, il che diede alle autorità elette dall’opposizione un potere cerimoniale. Il golpismo oppositore fu rimpiazzato nello scenario politico dal golpismo governante. La tendenza golpista e contro-golpista del processo politico raggiunse le forze armate, con il passaggio all’opposizione del generale Baduel, niente meno che l’uomo che sbaragliò il golpe del 2002 e riportò Chavez al governo. A causa di questi eventi, Chavez trasformò le forze armate venezuelane in un custode politico del regime e in una barriera extra costituzionale contro qualsiasi opposizione politica. Infine, quando l’opposizione mise in discussione la legittimità delle elezioni che Hugo Chavez aveva vinto di stretta misura su Henrique Capriles, il governo ufficiale rispose con il divieto di parola ai deputati che non respingevano pubblicamente questa contestazione, e recentemente con la loro espulsione dall’Assemblea Nazionale. Ne nel golpe del 2002, ne durante il lock-out massiccio del 2002/3, il governo chavista ricorse alla mobilitazione popolare; ancor meno all’occupazione delle imprese sabotatrici o all’armamento del popolo. Nel golpe dell’aprile 2002, la resistenza popolare sorse dal basso e fu congedata da Chavez con la “classica” raccomandazione di andare da “casa al lavoro”. Durante il sabotaggio petrolifero, ci fu in varie raffinerie una mobilitazione dei petroliferi classisti, che assicurarono in questo modo il loro funzionamento.
Obama
Chavez aveva costruito un regime plebiscitario sostenuto dalle forze armate. Con Maduro, la base plebiscitaria si sta polverizzando a causa del caos economico, l’arbitrato passa alle forze armate e il governo sembra avere due o più teste. La crisi generale del regime chavista accelera la nuova ondata golpista, che comincia agli inizi del 2014 e che divide l’opposizione. Il termine golpista (o putchista) è del tutto adeguato, dal momento che chiama ad azioni di piazza con lo scopo dichiarato di rovesciare il governo. Passa ad una lotta extralegale, che definisce “la soluzione”, in opposizione alla lotta legale che continua a portare avanti il settore maggioritario della coalizione d’opposizione. Non ha un carattere rivoluzionario ma restaurazionista – è cioè reazionario nel gruppo dirigente e nel programma. Ma è un golpismo minoritario, la cui unica possibilità di trionfo, come avvenne in Argentina nel 1955, è in una defezione militare o politica all’interno del chavismo. Ha ragione Maduro quando individua le fucine di questo golpismo minoritario in Miami e nella Colombia, i suoi fomentatori sono quindi la destra repubblicana e l’uribismo colombiano. Però è proprio per questo motivo che tale golpismo è condannato al fallimento, poiché l’imperialismo e la maggior parte degli Stati latinoamericani hanno puntato tutto sul successo del disarmo delle FARC colombiane, un’operazione che conta sull’appoggio insostituibile del Venezuela e di Cuba. L’ultima cosa che vuole il governo Obama è una vittoria di questo putchismo; tra Maduro e Leopoldo Lopez, per dirla in termini chiari, Obama “sta” con Maduro. La preoccupazione degli Stati Uniti è che l’enorme bancarotta economica del Venezuela produca un cambiamento politico ostile ai negoziati del governo colombiano con le FARC.
Il governo del Venezuela ha appena accusato il sindaco di Caracas, che appartiene all’ala putchista, di tentativo di golpe insieme a militari in pensione e in attività. I resoconti descrivono azioni spericolate e criminali dalle caratteristiche disperate, che quelli coinvolti, tuttavia, negano e che il governo non ha provato materialmente. Immediatamente, tuttavia, l’opposizione di destra si è unificata intorno ad una posizione di partecipazione alle elezioni parlamentari di quest’anno. L’insistenza, anche da parte dei putchisti dell’opposizione, nel qualificare come costituzionale la richiesta che limita ad una dimissione di Maduro, suggerisce che specula con una definizione all’interno del chavismo che rimuova Maduro, che è oggetto di critiche reiterate dalle fila della PSUV, da parte della destra, ma specialmente della sinistra, di fronte alla catastrofe economica che non smette di aggravarsi. Se l’opposizione otterrà la maggioranza parlamentare, sarebbero inevitabili le dimissioni di Maduro o lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, che dovrebbe avere il sostegno militare. L’alternativa a questa opzione sarebbe la formazione in un governo transitorio di unità nazionale, il cui antecedente si manifestò lo scorso anno quando si costituì una “tavola della pace”, sotto la mediazione internazionale e del Vaticano.
“Boliborghesia”
La repressione scatenata dal governo contro le “garimbas” (provocazioni di piazza) dell’opposizione non mira a contrastare un golpe che non è ancora sostenuto dall’imperialismo ne dalla principale corrente dell’opposizione di destra. Nel pieno di una penuria e di una quasi iperinflazione che distrugge le condizioni di vita delle masse, è un avvertimento contro qualsiasi tentativo di fronteggiare il governo dal lato delle rivendicazioni popolari. Il governo denuncia una “guerra economica” dei padroni senza accorgersi che la base oggettiva di questa guerra è la disorganizzazione economica imposta dal governo e che gran parte di essa ha come protagonista la sua stessa “boliborghesia.” È ciò che ha denunciato Jorge Giordani, ministro dell’economia con Chavez. Il chavismo ha pagato a peso d’oro le nazionalizzazioni, che oggi vegetano al causa del saccheggio impostogli dalla burocrazia statale. La nazionalizzazione del monopolio delle comunicazioni, Verizon, è stata fatta a prezzi di Borsa, ben al disopra del suo valore reale; quella della Sidor ha lasciato in mano allo Stato tutti i passivi nascosti del gruppo Techint. Hanno prodotto un dissanguamento dello Stato e oggi sono responsabili della penuria e dell’aumento delle importazioni. Le importazioni sono state finanziate con l’emissione di debito pubblico, che si è rapidamente convertito in debito estero. Il sistema dei cambi è stato la fonte di un’enorme accumulazione finanziaria, incoraggiata dallo Stato. Le autorizzazioni ad importare, a 6.50 bolivares, sono deviate al mercato nero, che oggi quotizza a 175 bolivares. Per arrestare questo sabotaggio economico, l’ala sinistra del PSUV chiede la nazionalizzazione del commercio estero, cioè l’abolizione del commercio privato delle importazioni e il controllo operaio dell’industria nazionalizzata, ma ciò è incompatibile con un governo impelagato nell’accumulazione capitalista. La sinistra del PSUV sferza(fustiga) il “capitalismo di Stato”, però non si accorge che il suo superamento dipende dall’esistenza di una classe operaia indipendente che contenda il potere ai “capitalisti di Stato”.
Indipendenza
In questa situazione di estrema crisi, sarebbe semplicemente suicida l’accodamento al chavismo, che ricorre alle minacce di golpe della destra affinché la classe operaia continui a rimanere saldamente legata al carro bolivariano. È bastata la caduta del prezzo del petrolio perché “il socialismo del XXI secolo” perdesse la propria base redditiera di sostentamento. La stessa ha cominciato a colpire i governi bolivariani di Bolivia ed Ecuador, e il governo “lavoratore” del Brasile. Perché i lavoratori possano sconfiggere un colpo di stato della destra, ciò che è all’ordine del giorno oggi è la conquista della loro indipendenza politica. Quando la repressione statale, che si rivolge contro la destra, si esaurirà per via della crisi economica, lo stesso regime che denuncia un golpe finirà con lo stabilire un compromesso con l’opposizione di destra.
È urgente l’appello a costruire in Venezuela un partito operaio indipendente.