Dalle sezioni del PCL

Rosso contro tricolore. Internazionale proletaria contro il partito della nazione

3 Gennaio 2015

Napolitano, nel “discorso di fine anno”, riconosce che “dalla crisi mondiale in cui siamo precipitati almeno dal 2009, nemmeno nell’anno in corso siamo riusciti a risollevarci. Parlo dell’Europa e in particolare dell’Italia”. La storia si vendica su chi, caparbiamente, si aggrappa al mito dell’intramontabilità del capitalismo in quanto ritenuto in grado di predisporre sempre gli strumenti per superare le sue crisi e rilanciarsi. Napolitano appartiene a questo tipo politico. L’amara constatazione, subito dopo, viene addolcita con la ricaduta nel mito: “Gli Stati Uniti, da cui partì – anche per errate scelte politiche – la crisi finanziaria, conoscono un’impennata della ripresa già avviata e guardano all’Europa per uno sforzo corrispondente, benché in condizioni assai diverse”. Napolitano, come tutti gli ex riformisti passati al nemico di classe, i rinnegati, ha conservato l’idea che sia possibile salvare il capitalismo con “scelte politiche non errate”, come se la volontà fosse avulsa dalle condizioni e dalle leggi immanenti del modo di produzione esistente. Le “scelte errate” dei governi USA sono quelle della finanziarizzazione dell’economia. Napolitano dimentica che la speculazione finanziaria è una controtendenza alla caduta tendenziale del saggio del profitto, la volontà dei capitalisti di orientare gli investimenti alla speculazione è determinata dallo scopo e dall’essenza del capitalismo: fare profitti e questi si ottengono da un capitale valorizzato. Da quanto dice Napolitano sulle “errate scelte politiche” si dovrebbe dedurre che l’attuale governo USA opera con discontinuità rispetto al passato. Quando Napolitano parla così soddisfa i sostenitori dell’ “imperialismo democratico”, come la giornalista del TG3, Giovanna Botteri. Per i comunisti la constatazione che procura amarezza a Napolitano è la conferma che quanto più le controtendenze al crollo del capitalismo, invece di salvarlo, ne portano le contraddizioni allo spasimo fino guerra imperialista, anch’essa una controtendenza. Così è stato nel 1914 e nel 1939. Come allora l’ipocrisia dei governanti è stomachevole e Napolitano è ipocrita sommo. Nel suo discorso era presente uno dei luoghi comuni più reazionari e aberranti della propaganda imperialista: “la selvaggia persecuzione dei cristiani”. La difesa del cristianesimo fu uno dei temi dell’alleanza imperialista contro la rivolta del Pugno della Giustizia e della concordia che la propaganda imperialista chiamò la rivolta dei boxer. I rivoltosi cinesi che massacrarono cinesi convertiti e missionari perché vedevano in questi ultimi gli apripista della colonizzazione. I boxer sui missionari non dicevano niente di diverso dai marxisti. I vescovi cattolici pretendevano di essere equiparati ai governatori. L’imperialismo Usa, europeo e giapponese (l’Alleanza delle otto nazioni) si coalizzò contro quella rivolta anticoloniale e la repressione fu terribile, Lenin nel suo saggio su l’imperialismo scrisse “ricordatevi come fu sedata la rivolta dei boxer”. I “valori della cristianità” sono difesi pure da Poroshenko e dalle bande dei sicari banderisti.
Napolitano elogia se stesso per aver fatto del suo maglio “per rappresentare e rafforzare l’unità nazionale”. La condizione dell’unità della nazione è una classe operaia sottomessa dalla burocrazia sindacale agli interessi del grande capitale e del suo stato impegnato nella spartizione imperialista del pianeta, cioè portare a termine la restaurazione dell’imperialismo nelle aree che le erano state sottratte dalla rivoluzione d’Ottobre, da quella cinese e da guerre di liberazione nazionale. L’espansionismo imperialista viene mascherato dal linguaggio geopolitico: “l’emergere di inauditi fenomeni e di disegni di destabilizzazione…..Dal disegno di uno o più stai islamici integralisti da imporre con la forza sulle rovine dell’Iraq, della Siria e della Libia; al moltiplicarsi o acuirsi di conflitti in Asia , in Medio Oriente, nella regione che dovrebbe essere ponte tra Russia e l’Europa”. La geopolitica è la negazione del materialismo storico: nelle analisi geopolitiche le classi, la loro lotta e i suoi riflessi su scala nazionale e internazionale scompaiono. La guerra civile in Ucraina non sta sullo stesso piano dell’ISIS. Quest’ultimo è il risultato del fallimento di tutte quelle forze, dall’Esercito del Mahdi alla resistenza nazionalista, che non sono riuscite a trovare l’unità su un programma minimo di liberazione nazionale: fronte unico militare per cacciare gli occupanti e assemblea costituente.
La resistenza popolare e le insurrezioni contro l’occupazione sono state eroiche ma delle direzioni totalmente inadeguate e irresponsabili. La guerra civile in ucraina è lotta tra un governo che applica i piani del Fondo Monetario Internazionale e la popolazione che vi si oppone. La guerra civile scoppiata nel Donbass già nel luglio e nell’agosto del 2014 ha prodotto i suoi effetti nel resto del paese con le diserzioni dall’esercito sostenute dalla popolazione e con la maggioranza dell’estrema sinistra europea zitta. A fine dicembre ci ha pensato il governo con la sua politica a scatenare l’opposizione popolare: il 23 dicembre hanno manifestato a Kiev impiegati statali, insegnanti medici e studenti contro i tagli al bilancio dello stato del 10% che mettono in ginocchio assistenza sociale, sanità e scuola, già pesantemente colpite dai governi precedenti. I lavoratori della Ukraspirit, produzione bevande alcoliche, si oppongono alla privatizzazione del settore e hanno occupato le autostrade che collegano Karkov a Kiev e Chernovtsy a Ivano-Frankovost, la parola d’ordine è “No alle privatizzazioni”. A questi si sono aggiunti i lavoratori di altre distillerie e gli agricoltori. Questo è un dato interessante, la popolazione del centro e dell’ovest inizialmente era filoeuromaydan. In Ucraina le masse si battono contro gli stessi programmi economici contro i quali si batte la classe salariata e gli strati intermedi impoveriti dell’Unione Europea. Ma a Napolitano non interessa la verità. L’imperativo categorico è disciplinare le masse alla politica estera imperialista: “Farci, ciascuno di noi, partecipi di un sentimento di solidarietà e di un impegno globale – sconfiggendo l’insidia dell’indifferenza – per fermare queste regressioni e degenerazione, è un comandamento morale ineludibile”. La retorica di Napolitano è il ricostituente della piccola borghesia di sinistra per mobilitarla sulle parole d’ordine dell’imperialismo democratico. Noi comunisti abbiamo “il vantaggio, sulla restante massa del proletariato, di conoscere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario”, questo vantaggio ci fa comprendere l’importanza strategica della lotta contro tutte le tendenze politiche piccolo borghesi che vivono da parassite sopra il corpo del movimento operaio.
Napolitano va via e il corpo militante indipendente del movimento operaio lo ricorderà come il presidente della repubblica che ha abolito l’art. 18 dei lavoratori. Ormai la borghesia italiana non ha più a disposizione uomini politici in grado di esercitare una direzione politica organica nel movimenti operaio, come Togliatti, Berlinguer e Napolitano. Nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici iniziano a lottare privi delle tutele cancellate dall’offensiva borghese. La burocrazia sindacale attuale privata della concertazione è in uno stato confusionale e non ha dietro di sé un patrimonio di lotte che le assicuri autorevolezza come l’avevano i Lama, i Trentin, i Pugno. Tutto questo favorisce la nostra lotta per l’egemonia sul proletariato

Gian Franco Camboni sezione provinciale di Sassari del partito Comunista dei Lavoratori per la IV Internazionale

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