Rassegna stampa

Verso il 9 giugno

Da Il Manifesto del 3 giugno 2007

5 Giugno 2007

No war in piazza aspettando Bush
La carovana antimilitarista manifesta non distante dalla sfilata militare. E si prepara ad accogliere il presidente Usa
Stefano Milani
Roma

«Pochi ma buoni». Lo dicono con orgoglio i trecento partecipanti alla controparata, quelli che il 2 giugno hanno preferito festeggiare «l'altra Repubblica». I «tanti ma cattivi» sono al gala ufficiale, un paio di chilometri più in là lungo i Fori Imperiali, a sfilare nelle loro divise grigioverdi sopra mezzi cingolati e auto blu. A Ponte Sant'Angelo gli unici mezzi «pesanti» sono i tre camper partiti lo scorso 19 maggio da Sigonella, Trieste e Novara e arrivati ieri in mattinata nella capitale dopo aver girovagato in lungo e in largo per la penisola toccando i punti nevralgici dell'Italia militarizzata. Il tour è stato quello classico: Vicenza, Camp Darby, Bagnoli, Aviano, ma non solo. La carovana contro la guerra e per il disarmo ha fatto visita anche a luoghi simboli di pace come Assisi, a località in perenne emergenza come Acerra e la Val di Susa, fino a ritrovarsi tutti davanti alla fabbrica di armi di Colleferro specializzata nella costruzione di bomber clust, le famose bombe a grappolo impiegate dalla Nato nel Kossovo e dagli Usa in Afghanistan e Iraq. Due settimane di marce, sit-in, mobilitazioni, per affermare ancora una volta i valori di pace di quel famoso articolo 11 della Costituzione sempre meno in voga. A sfilare il mondo civile, quello dei movimenti e delle associazioni, dalla rete Lilliput a quella italiana per il disarmo, da Attac Italia al Movimento No Dal Molin. «Siamo qui per chiedere il disarmo e per radunare persone che sinceramente ripudiano le guerre e detestano le parate militari» dice Nella Ginatempo, una delle portavoci della Rete contro la guerra, inaugurando il corteo.
Ai piedi di Castel Sant'Angelo, tra pellegrini diretti a San Pietro e la polizia che controlla in disparte, le bandiere arcobaleno si mischiano a quelle rosa del Partito umanista, a quelle rosse del Partito comunista dei lavoratori e dei Cobas, a quelle viola della sinistra critica. I gazebo invitano a firmare la petizioni per la revoca dell'accordo sullo scudo spaziale e illustrano due leggi di iniziativa popolare: una sul disarmo atomico e l'altra contro le basi militari per la revisione degli accordi militari che impongono all'Italia servitù di guerra. Ci sono anche i volontari di Emergency con la gigantografia di Hanefi e un signore con un cartello al collo a ricordare che l'Italia è il settimo esportatore di armi nel mondo. C'è chi vende fischietti e chi magliette. La più apprezzata è quella con la scritta «No Prodi», costo 10 euro. Il presidente del consiglio, insieme al ministro degli esteri D'Alema, è senza dubbio il bersaglio preferito dai no war. Sulla sua testa pende una finanziaria scellerata dove le spese militari sono aumentate dell'11,3% rispetto allo scorso anno, raggiungendo i 21 miliardi di euro. E così, fanno sapere gli organizzatori, la grande manifestazione del 9 giugno prossimo a Roma non sarà solo contro Bush ma anche contro Prodi e la sua politica internazionale. «Specie dopo che il presidente americano ha rivendicato in toto la politica di Prodi considerandolo un suo fidatissimo alleato», ribadisce Marco Ferrando che non risparmia critiche neanche alla sinistra radicale rea, secondo il leader del Partito Comunista dei Lavoratori, di «preferire l'unità della maggioranza a scapito dell'autonomia del movimento». A rincarare la dose ci pensa Massimo Paolicelli, presidente dell'Associazione Obiettori Nonviolenti, che rimprovera all'esecutivo «la firma di un memorandum di accordo quadro, tenuto nascosto, per fare entrare il nostro paese sotto l'ombrello dello scudo antimissile Usa, progetto che ci sta riportando in un clima da guerra fredda con la Russia».
Il conto alla rovescia per la manifestazione anti-Bush è dunque cominciato. La presenza dei movimenti è ovviamente sicura, quella degli esponenti politici ancora no. Prodi non fa in tempo a mettere le mani avanti invitando i suoi a non prendere parte, che gli risponde il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. «L'invito del presidente del consiglio è comprensibile se è rivolto ai ministri e non alle forze politiche della maggioranza. - ha precisato l'esponente del Prc - Comunque, un invito è pur sempre un invito». E Prodi già suda freddo.

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