Interventi

Mini dossier su Electrolux e Titan

L'offensiva padronale, la risposta di lotta operaia, la strategia concertativa dei sindacati.

23 Novembre 2014

Appunti sulle lotte in Electrolux e Titan.

ELECTROLUX
UNA LOTTA OPERAIA SVENDUTA DALLA BUROCRAZIA SINDACALE

L'Electrolux è la seconda azienda più grande del mondo (dopo la Whirpool) nel campo degli elettrodomestici: colosso multinazionale svedese, ha 22 stabilimenti in Europa, circa 13 miliardi di euro di fatturato annuo e circa 60.000 dipendenti. Di questi, diverse migliaia si trovano in Italia nei 5 stabilimenti di Solaro, Pordenone, Porcia, Susegana, Forlì.
All'inizio del 2013, nonostante il quadro generale di espansione dell'azienda, con migliaia di assunzioni fra 2001 e 2012, l'Electrolux ha messo seriamente in questione la produzione negli stabilimenti italiani, prospettando una forte riduzione della sua presenza, in particolare a Porcia, Susegana e Solaro. L'intenzione era quella di delocalizzare altrove, perlopiù in Polonia e in Ungheria. Electrolux decise di avviare un'analisi per singola linea di prodotto, arrivando alla conclusione che le sue produzioni italiane non erano competitive con le stesse produzioni realizzate nell'Europa orientale; da ciò ricavava un piano di tagli che prevedeva la riduzione del personale impiegatizio (200) e dei rami di ricerca e struttura commerciale, il trasferimento di parte della produzione delle lavastoviglie fatte a Solaro e dei frigoriferi fatti a Susegana. Ciò significava il licenziamento di 461 tra operai e impiegati oltre a 1.100 lavoratori con contratto di solidarietà. I numeri dell'offensiva 2013 erano la conseguenza logica degli attacchi in corso dal 2010 che avevano sempre al centro diminuzioni del salario, esuberi e disinvestimento.

All'inizio del 2014 si arrivò addirittura ad ipotizzare tagli del 20% del salario. Quando, a febbraio, dopo che i sindacati non si erano opposti alla diminuzione della produzione, si presentarono i camion per portarsi via i macchinari, partì una lotta operaia, con picchetti e blocco delle merci in uscita. A Forlì, in particolare, gli operai si organizzarono per scioperare immediatamente e presidiarono la fabbrica per due mesi. La burocrazia della FIOM, sindacato egemone nello stabilimento, fece da subito di tutto per prendere il controllo della lotta e neutralizzarla in vista dell'accordo con i padroni; accordo che arrivò, votato dalla maggioranza dei dipendenti su pressione dei sindacati, che prevedeva: la riduzione del 50% della pausa aggiuntiva nello stabilimento di Porcia avuta in un precedente accordo sulla massimazione dei ritmi; la riduzione di oltre 60% dei permessi sindacali; aumenti dei ritmi già definiti dall'azienda già portati al limite in questi ultimi anni, per gli stabilimenti di Forlì e Solaro in particolare di un 15% circa per alcuni reparti - aumenti che permettono di poter avere la stessa produzione di 8 ore nelle 6 ore di lavoro previste dall'incentivo dell'accordo. Sì, perché venivano ritirati i licenziamenti a fronte della possibilità di mettere sotto contratto di solidarietà gli operai. Tutto questo senza nemmeno la contropartita di un vero piano industriale, visto che l'accordo durerà fino al 2017 e nulla è stato detto di ciò che dovrà succedere dopo.

La cosa grave è che, se da una parte i sindacati hanno gridato vittoria quando invece la sconfitta era palese (e non poteva essere altrimenti, quando la priorità è cercare un accordo che vada bene innazitutto ai padroni), l'intero arco delle forze politiche ha di fatto sostenuto l'accordo e l'attacco dei padroni contro gli operai: il presidio di Forlì si trasformò in una platea per comizi elettorali (erano in vista le comunali), specie per gli esponenti del PD, lo stesso partito che, da quando esiste, ha sempre fatto la politica degli industriali e dei banchieri, non certo dei lavoratori.
In quell'occasione emerse con chiarezza anche la vera natura del Movimento 5 Stelle di Grillo, che assunse subito la logica dei padroni lamentandosi dell'eccessivo costo del lavoro in Italia – insomma il profitto viene prima di tutto, dei diritti sindacali degli operai come del loro bisogno di vivere decentemente. La soluzione grillina dava risposte concrete: tagliare l'IRAP, cioè tagliare le tasse ai padroni! E agli operai? Arrangiatevi!
Non a caso, la Confindustria e il suo presidente Squinzi furono entusiasti dell'accordo e del comportamento dei sindacati confederali che, alla richiesta di straordinari il sabato, non si arrischiarono mai nemmeno di minacciare di fare saltare il tavolo e di portare avanti la lotta, mentre si assicuravano di emarginare il sindacato di base CUB che, pur essendo il sindacato maggiormente rappresentativo all’interno della fabbrica di Solaro, sulla base degli accordi nazionali siglati fra Confindustria e CGIL-CISL-UIL e subito recepiti da Electrolux, non veniva riconosciuto come controparte dalla direzione della multinazionale. 


TITAN

ELECTROLUX 2 - LA VENDETTA

La tattica di Marchionne dell'attacco generale in FIAT modellato stabilimento per stabilimento, ripresa dalla stessa Electrolux e che non trovò a suo tempo nessun'opposizione reale né dalla FIOM né degli altri sindacati confederali, è stata usata anche dalla Titan per disinvestire in Italia e spostare altrove la produzione (dove le merci costano meno, dove i lavoratori vivono in condizioni peggiori – vedi minor salario!). In particolare, da oltre quattro anni l'azienda ha deciso di chiudere lo stabilimento di Crespellano, fuori Bologna, che conta ora 186 operai che producono freni e dischi per macchinari agricoli. Negli ultimissimi mesi, la Titan ha sferrato l'attacco finale: lettera di licenziamento a tutti i dipendenti, annuncio di chiusura dello stabilimento. Se gli operai hanno subito agito di conseguenza bloccando le merci e presidiando l'azienda per non far portare via i macchinari, la FIOM (a cui sono iscritti quasi tutti gli operai dello stabilimento) ha da subito cercato l'accordo, la concertazione coi padroni, arrivando a ignorare le indicazioni e il piano di ristrutturazione degli operai e entrando subito nell'ottica della chiusura dello stabilimento. Ciò ha portato alla firma di un accordo, teoricamente definitivo (con 111 sì [tra cui i dirigenti e quasi tutti gli impiegati], 58 no e diversi astenuti) , che costringe 85 operai alla mobilità "volontaria" con 45.000 euro lordi se si accetta subito, o 30.000 se ci si pensa su (sul proprio destino!) per oltre un mese; altri dovranno spostarsi allo stabilimento di Finale Emilia (coi relativi disagi dei 40 km di distanza) – peccato che sono stati annunciati esuberi anche per Finale Emilia! Di fronte a questa minaccia, anziché lavorare per unire gli stabilimenti in un'unica lotta che sarebbe stata più incisiva, i sindacati a Finale sono stati immobili sperando nella clemenza dei padroni, che è come chiedere clemenza a degli squali che ti hanno già tra la fauci.

Anche la Titan è una multinazionale importante, prima nel suo settore in Europa. In particolare, gli stabilimenti di Titan Italia fanno capo a Titan Europe, che controlla decine di stabilimenti in tutti i continenti, e che dipende da Titan Internation, cioè alla sede americana che possiede anche parte della Goodyear. L'anno scorso il boss della Titan International, Maurice Taylor, si lamentò di quanto fossero improduttivi i lavoratori francesi e disse che per lui era conveniente, piuttosto che investire in Francia, assumere operai in Cina o India dove "li può pagare meno di un euro all'ora". Ecco cosa importa all'azienda della vita e della dignità dei suoi operai!

L'interesse della Titan come di qualsiasi altra azienda sta nel fare profitti, e qui sta il problema: le vendite della Titan International nel 2014 sono circa un decimo in meno di quelle del 2013: questo però non ha nessuna proporzione con il licenziamento di centinaia di operai a Crespellano in pochi anni. Quello che è calato di più è il guadagno: da 150 a 68 milioni di dollari nel secondo e terzo trimestre rispettivamente del 2013 e del 2014. Il profitto netto da spartirsi, e questo interessa ai padroni e agli azionisti, è passato da 21 milioni di dollari a "soli" (poverini!) 11 milioni di dollari che lor signori hanno intascato il 30 settembre scorso! Capite che questa differenza i padroni non la vogliono tirare fuori di tasca loro: la vogliono far tirare fuori a voi, coi sacrifici, con i soldi pubblici, con gli ammortizzatori sociali, con le riduzioni di salario (e questo, lo dice l'azienda stessa sul suo sito, l'hanno fatto proprio quest'anno con gli operai di Titan Russia) e, come se questo non fosse già troppo, via coi licenziamenti! Sapete quanti lavoratori aveva Titan Russia a gennaio? 2300. Ecco, la Titan vuole arrivare a quota 1000 (non mille in meno, mille in tutto!) per il prossimo gennaio. Cosa impedisce di credere che non possano fare cose del genere in Italia? Perché siamo i più belli?
Insomma, la morale è questa: è calata la domanda? Le conseguenze devono essere pagate dai lavoratori e solo da loro, secondo i padroni della Titan. E se invece fossero solo i padroni a pagare le conseguenze della loro incapacità di sopravvivere sul mercato?

Perché devono essere licenziati gli operai Titan che hanno sempre lavorato bene, facendo arricchire l'azienda, quando i padroni, per crescere sul mercato internazionale, dal 2006 a oggi hanno preso OLTRE 400 MILIONI DI DOLLARI a prestito da nientedimeno che GOLDMAN SACHS! Goldman Sachs è quella banca per investimenti che è stata tra i principali responsabili della bolla finanziaria del 2007-2008 che ha fatto scoppiare la crisi di oggi. Sono veri e propri delinquenti che recentemente hanno comprato 5.000 appartamenti in Spagna, appartamenti che prima erano a equo canone. Ebbene, cosa ci fa Goldman Sachs con questi appartamenti? Chiede il doppio dell'affitto che c'era prima, e chi non paga verrà sfrattato! Una pratica che ricorda molto il dramma che sta vivendo il comitato inquilini di via Gandusio nel quartiere di San Donato a Bologna, a cui sono state triplicate le bollette dopo che gli è scaduto l'affitto con contratto a termine.

Ecco, la Titan spende e spande con i capitali che le procura Goldman Sachs, poi se ci sono problemi coi profitti, viene a chiedere conto agli operai! Se i profitti calano, ecco che si ricorre alle materie prime in Cina, dove costano meno; si delocalizza la produzione all'estero, in particolare in Turchia, dove ci sono meno tutele e salari più bassi: tutto questo solo per abbattere i costi e fare maggiori profitti – come ha scritto un operaio Titan: Oggi i padroni, o producono dove costa meno o devi produrre e costare meno tu! Allora vedete che il vostro interesse, che è poi l'interesse a vivere dignitosamente e a mantenere le vostre famiglie, si scontra con l'interesse dell'azienda, che è l'interesse ad abbassare i costi e ad aumentare i profitti, e basta!
E l'azienda i suoi interessi li sa portare avanti, gli operai della Titan lo sanno: è dal 2009 che si va avanti con cassa integrazione, esuberi, mobilità "volontaria", letterine di babbo natale varie, omertà sul fatto delle merci cinesi. E l'azienda è riuscita a mandare a casa una parte degli operai, nonostante la loro lotta. Cosa dovrebbe essere cambiato, oggi? Ieri l'azienda voleva mandare a casa un tot di operai, e l'ha fatto. Oggi vuole chiudere lo stabilimento, e se gli operai non rigettano l'accordo, lo chiude, lo chiude lo stabilimento! E non c'è da illudersi che le istituzioni possano migliorare la situazione per i lavoratori, basta vedere che cosa è successo in passato: a chi sono andati i soldi per il terremoto del 2012? Agli operai o ai padroni? Ai padroni, alla Titan come all'electrolux l'anno scorso! Mentre gli operai Titan dovevano a lavorare anche il sabato. E come ripaga l'azienda gli sforzi degli operai? Licenziandoli!
Allora è giunto il momento di perdere l'illusione che ci possa essere un accordo che vada bene a tutti: o si imporrà l'interesse dell'azienda, o si imporrà l'interesse degli operai. E l'interesse degli operai può imporsi non con la delega in bianco alla burocrazia sindacale, a quei burocrati che hanno svenduto l'Electrolux e la Titan!

LA VITTORIA SI OTTIENE CON LA LOTTA! Gli operai dell'INNSE di Milano, che sono venuti a proiettare il documentario sulla loro lotta, ce l'hanno detto. Ma la lotta non si fa da soli, non si può fare da soli, sopratutto ora che il danno che si può fare al padrone è sempre minore. Allora vanno coinvolti prima di tutto gli operai di Finale Emilia: loro hanno avuto l'aiuto di Crespellano col terremoto del 2012, adesso tocca a loro sostenere i propri compagni nella lotta. Ma potrebbe non bastare. Abbiamo visto che i padroni fanno fronte compatto, quando serve, dietro a Confindustria e simili: ecco, agli attacchi frontali bisogna rispondere con UN FRONTE UNICO OPERAIO che coinvolga tutte le altre realtà a rischio e in lotta del territorio e della regione, quindi la Kemet, la Guaber di Casalecchio (dove 80 operai rischiano il licenziamento e la chiusura dello stabilimento), l'Electrolux, la Marcegaglia, quanti più stabilimenti possibile! L'azienda deve avere paura, bisogna fare paura con la forza dell'unione nella lotta. E la lotta per il posto di lavoro è importante, sì, ma non basta: dev'essere un'occasione per riflettere, per confrontarsi sul fatto che non è possibile che vincano sempre gli interessi dei padroni, che tutta la nostra società è basata sui loro interessi, che a questo modello di società bisogna opporre un'alternativa dove siano invece gli interessi delle masse e dei lavoratori a dettare l'agenda.




Di fronte a un attacco radicale del padrone, serve una risposta radicale di lotta, senza alcun illusione di salvezza per mano delle istituzioni o dei sindacati.

La lotta può continuare fintanto che gli operai potranno stare dentro le mura della fabbrica e controllarla, a Crespellano come a Finale Emilia!

Gli operai e le operaie non possono che difendere le fabbriche e i macchinari di produzione, opponendosi alla scelta dei padroni di buttare sul lastrico centinaia di famiglie da un giorno all'altro!

I padroni non hanno più nulla da dare e sfruttano la crisi per sfruttare ancora di più gli operai: l'unica prospettiva concreta è la lotta della classe operaia, è prendere il controllo della produzione negli stabilimenti sotto attacco e OCCUPARE le fabbriche a rischio chisura!


Per lottare bisogna però organizzarsi: gli operai Titan devono farsi promotori di un COMITATO DI LOTTA OPERAIO, autonomo dal sindacato e democraticamente eletto, riunito in assemblea permanente con rivendicazioni chiare:

_AZZERAMENTO DI OGNI ATTUALE DELEGA E DESIGNAZIONE DI RAPPRESENTANTI OPERAI IN TOTALE AUTONOMIA, REVOCABILI IN OGNI MOMENTO

_RIFIUTO DI QUALSIASI ACCORDO CHE PREVEDA LICENZIAMENTI

_OCCUPAZIONE TOTALE DELLA FABBRICA DI CRESPELLANO

_UNITA' DI LOTTA CON I COMPAGNI DI FINALE EMILIA

_ESTENSIONE DI UN COORDINAMENTO DEI LAVORATORI ALLE ALTRE FABBRICHE DEL TERRITORIO, CON ADESIONE DEI LAVORATORI ALDILÀ DELL'APPARTENENZA SINDACALE

_CREAZIONE DI UNA CASSA DI RESISTENZA PER SOSTENERE SCIOPERI E OCCUPAZIONI

_PREPARARSI PER UNO SCIOPERO CONTINUATO E DIFFUSO FINO ALLA VITTORIA

_Se i padroni non sono in grado di gestire l'azienda, NAZIONALIZZARE SOTTO CONTROLLO OPERAIO LA TITAN E TUTTE LE FABBRICHE A RISCHIO CHIUSURA!

Giacomo Turci

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