Dalle sezioni del PCL
AZIONE PROLETARIA
A Parma un nuovo collettivo politico di giovani studenti e operai. Ne diffondiamo ben volentieri l'atto costitutivo. Buon lavoro compagni.
9 Ottobre 2014
Documento politico fondativo del gruppo politico
"Azione Proletaria"
La "rivoluzione tradita" e le conseguenze del movimento operaio.
Per muovere la nostra analisi sul reflusso del movimento operaio che, da più di vent' anni a questa parte, subisce l' attacco padronale più violento della storia dal dopoguerra ad oggi, in un quadro sociale di profonda crisi economica, è bene partire dall'analisi della costruzione della repubblica "democratica" italiana nata come una fenice dalle ceneri del fascismo.
Alla fine della guerra di liberazione una parte dei combattenti volle proseguire la lotta armata per passare dalla "liberazione" alla rivoluzione; ma questa componente venne scaricata dal P.C.I. per garantire al padronato la ripresa economica e di produzione in rispetto alle sfere di influenza delle due superpotenze (USA E URSS).
Uno dei mezzi che usò la classe borghese per accelerare la "ripresa" ed indebolire la classe operaia fu il PIANO MARSHALL, le cui risorse servirono all' incremento della produzione industriale, aumentando così la disparità sociale gettando le basi dello sfruttamento della forza-lavoro. Partiti di massa come il P.C.I. e forze sindacali come la C.G.I.L. non rispondevano alle esigenze del proletariato, tantoché gli industriali poterono esercitare una pressione maggiore sui lavoratori; inoltre l'introduzione della catena di montaggio che comportò l'aumento dei ritmi di lavoro, dequalificò la figura professionale dell' operaio specializzato esercitando un controllo maggiore sulla fabbrica. A partire dagli scioperi del marzo '43, per dieci anni, gli operai della FIAT si mobilitarono organizzando lotte caratterizzate da un forte orientamento politico rivoluzionario (rifiuto del lavoro a cottimo, delle gerarchie del lavoro padronale, rifiuto di sottomettersi ai tempi del capitale). Questa linea d' azione così radicale, indipendente e spontanea rispetto alle direttive del P.C.I. venne denunciata e non tollerata da quest' ultimo.
Basti pensare a ciò che dichiarava Il segretario del P.C.I. di Torino :" Tendenza a formare gruppi illegali (...) ci considerano emissari di Mosca, dei rinunciatari. Non riusciamo a spiegare le politiche nazionali, vi è troppo operaismo nel nostro partito" Il '53 è un anno cruciale in cui il gruppo dirigente della FIAT perpetra un attacco diretto alla classe operaia. Vennero applicate restrizioni sulla libertà di sciopero, un premio per chi non ne partecipasse, vennero distribuiti volantini che propagandavano i vantaggi ricavati dagli interessi aziendali. Oltretutto vennero indebolite ulteriormente le avanguardie sindacali e si promosse il sindacalismo aziendale. Il risultato di questa operazione è stato lo sventramento dell' unità del fronte operaio con astensione agli scioperi e i sindacalisti più esposti emarginati, o licenziati. In alternativa al licenziamento, infatti, vennero istituiti dei reparti di confino per gli operai rivoluzionari ; la più celebre era l'officina Sussidiaria Ricambi, e battezzata poi "officina stella rossa". Al loro interno la disciplina era ferrea e la sorveglianza era altissima ( vi era addirittura un tribunale per gli operai).
In continuità con queste correnti rivoluzionarie in netta rottura con il revisionismo della dottrina marxista avviato dalle correnti riformiste del P.C.I. e dalla C.G.I.L, "luglio 1960" rappresenta la prosecuzione della fase embrionale di autonomia politica dei gruppi indipendenti ai partiti istituzionali della sinistra, che hanno reso possibile l' unità d' azione delle diverse componenti di movimento ( operai e studenti), aprendo la strada ad una nuova fase rivoluzionaria in Italia. Il 2 luglio di quell' anno venne fissato a Genova il congresso del M.S.I. Città di forte tradizione antifascista non fece attendere molto una risposta immediata. Il 25 giugno scesero in piazza studenti, impiegati e giovani, che si concentrano nell' usuale ritrovo dei portuali genovesi. Le sirene della polizia allarmano i portuali e gli operai delle fabbriche limitrofe e interrompono il lavoro accorrendo in aiuto degli studenti. Nacque così la prima unione tra studenti e operai, che poi si consoliderà negli anni successivi, condividendo le rivendicazioni,la strategia politica ed uscendo, così, dalle strutture classiche partitiche e sindacali. Per il 30 giugno venne indetto lo sciopero generale, che raccolse 300.000 partecipanti dando origine a scontri violentissimi con le forze dell'ordine. A gettare acqua sul fuoco della rivolta ci pensarono ANPI e dirigenti politici, sindacali, che cercarono di ristabilire la calma, nonostante i manifestanti reclamassero armi e l'intervento degli ex partigiani. Per il giorno successivo non erano state previste altre manifestazioni, ma l'agitazione era tale che riprese spontaneamente ed anche questa volta i dimostranti vennero lasciati soli dalle istanze della sinistra istituzionale. In solidarietà alla mobilitazione di Genova vennero comunque indetti scioperi a Torino, Roma, Palermo, Catania e Reggio-Emilia. Il bilancio sarà di dieci operai uccisi dallo stato e dal silenzio istituzionale delle forze della sinistra. Per il 17 febbraio '77 a Roma era stato fissato il comizio del segretario C.G.I.L. Luciano Lama a Roma, in Piazzale della Minerva, di fronte all'università della Sapienza occupata dagli studenti del movimento contro la riforma Malfatti. L'intenzione del P.C.I. era ristabilire l'ordine all'interno dell'università, in cui gli occupanti avevano espresso chiaramente la determinazione a non avere partiti guida che si ponessero come forza egemone nelle facoltà. L'intenzione espresse da Lama in merito alla giornata erano tese ad un dialogo con il movimento. Il confronto cominciò di prima mattina quando il servizio d'ordina del P.C.I. cancellava meticolosamente le scritte dei compagni sui muri dell'università. In seguito alle provocazioni del servizio d'ordine del P.C.I., i compagni dell'autonomia si armarono di ciò che era a loro disposizione, rispondendo agli aggressori e distruggendo il palco su cui si stava tenendo il comizio. Questo avvenimento segnò la frattura finale tra le forze istituzionali della sinistra e il movimento rivoluzionario, spaccatura cominciata dai fatti di luglio 60'. Dalle contraddizioni interne al "movimento" operaio, nate in seguito all'opportunismo politico delle correnti riformiste, incapaci di dare risposte alle esigenze materiali del movimento stesso, ad oggi, le divergenze tra le diverse componenti della sinistra riformista e non, si sono ancor più acuite. Il tradimento della sinistra istituzionale non è il solo freno che pone limiti di prospettiva alla classe operaia, bensì, a ciò si aggiunge l'incapacità della sinistra extraparlamentare, nelle sue articolazioni gradualiste, di opporsi efficacemente al processo di asservimento delle fasce popolari. L'attuale fase d'inasprimento della crisi ed il conseguente aumento profondo del divario sociale che divide chi è sempre più ricco e detiene le redini del potere da chi è sempre più povero e subisce incondizionatamente la gestione affaristica di una società basata sullo sfruttamento, è la diretta conseguenza di un modo di produzione che vede nell'accentramento di capitale, in mani sempre più esigue della classe borghese, il mantenimento del ruolo dominatore della classe padronale. Da dieci anni a questa parte le formule politico-economiche liberiste attraverso le quali è stato possibile, per i capitalisti, avanzare come forza di classe, sono state: la deregolamentazione del mercato del lavoro, la riduzione del salario, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi. Conseguentemente a ciò si è verificata: la centralizzazione del capitale che ha garantito la crescita della massa dei lavoratori salariati rendendo possibile il monopolio borghese, il prolungamento dell'orario di lavoro e quindi maggiore sfruttamento della forza lavoro (plusvalore assoluto), intensificazione dei ritmi (plusvalore relativo), smantellamento dei contratti di lavoro, aumento della precarietà, disoccupazione e delocalizzazione d'industrie dove la manodopera costa meno. I capitalisti per poterlo attuare si sono serviti dell'appoggio dei governi borghesi, sia essi di centrosinistra che di centrodestra. L'Italia, in quanto Paese capitalista ed imperialista per assolvere al compito di tutela degli interessi particolari del ceto dominante ha sviluppato la sua ultima metamorfosi politica dalla quale è nato il governo Renzi. Governo, quest'ultimo, diverso rispetto ai precedenti poiché differente è il modo con cui ha costruito i rapporti con le istituzioni. La differenza di questa forma di governo rispetto a quelle passate sta nella composizione e distribuzione dei ruoli ministeriali elargiti per principio "vassallatico" dal "senior" (Renzi) che, rispettivamente per ordine d'importanza dei ministeri, si è circondato di persone provenienti dal cerchio della Leopolda, le quali ricoprono cariche istituzionali di maggior rilievo. Un governo autocentrato che ha cambiato la base d'appoggio determinando uno spostamento d'asse nei rapporti d'interesse con l'alta burocrazia statale ridisegnando gli equilibri di potere e riducendo il margine d'agibilità politica indipendente di forze istituzionali collaterali come, ad esempio, Provincie, Regioni, Prefetture e Magistratura, ottenendo così egemonia politica a livello nazionale. Si è, quindi, reso possibile l'allargamento di terreno sul quale Renzi può esercitare autonomamente il programma della borghesia, mantenendo contemporaneamente il suo prestigio politico. Inoltre, fedele alla sua figura di "rottamatore" e uomo del cambiamento, ha ridimensionato lo spazio della mediazione con le organizzazioni sindacali e Confindustria rafforzando la sua autonomia d'indipendenza politica, affermando la sua immagine di politico difensore degli interessi comuni, sia della classe lavoratrice che dei padroni. Ciò conferma la natura populista di un governo che muove riforme reazionarie e le maschera abilmente attraverso, ad esempio, l'elemosina degli 80 euro che mette nelle tasche degli operai, i quali dovranno utilizzarli per coprire le spese dei tagli a servizi pubblici, pubblico impiego, sanità, scuola, per un totale di 32 miliardi di euro in tre anni. Oltre a ciò vi è il decreto Poletti che non fa altro se non incrementare la precarizzazione del lavoro, aumentando la licenziabilità senza giusta causa.
Tra le forze della reazione e la risposta del "movimento" Al populismo di "governo" si contrappone quello di "opposizione" guidato dal Movimento5 Stelle. Quest'ultimo, per quanto dissestato da lotte intestine che evidenziano un percorso altalenante nelle risposte di consenso ad elezioni amministrative, ha ancora un notevole seguito a livello nazionale. L'alternativa di gestione politica delle contraddizioni economiche di questo sistema non vede un riscontro effettivo né nel programma del Movimento5 Stelle, tanto meno nella sua applicazione pratica in amministrazioni pubbliche come, ad esempio, quella di Parma. La continuità della giunta "pentastellata" con quelle precedenti di centrodestra si è mostrata da subito evidente nell'attuazione di politiche liberiste, di dismissione dei beni pubblici, di privatizzazione e subordinazione agli interessi delle banche. La doppiezza di tale soggetto politico che, da un lato, mostra il volto pacifico e propenso al dialogo anche con le istanze della sinistra extra-parlamentare, e dalla'altro alza la mannaia dei provvedimenti antipopolari, è funzionale alla crescita di legittimazione istituzionale all'interno del quadro di gestione capitalistica contingente al mantenimento di un consenso popolare di massa. Un esempio concreto d'attuazione di tale pratica politica si verificava l'aprile 2014 in cui, la giunta 5 Stelle, a pochi giorni dalla formulazione dell'art. 5 di Renzi, varò l'ordinanza di sgombero dello spazio popolare autogestito "Sovescio" e di altre occupazioni abitative. Una tale sintonia tra le due forze reazionarie (PD e M5S) che si battagliano quotidianamente per la guida del Paese, si venne a creare con l'approvazione di un atto violento a sostegno delle peggiori politiche di ordine pubblico del governo Renzi. Ne seguì una manifestazione spontanea che raccolse, sotto i portici del grano (trampolino di lancio mediatico per il M5S nel 2011), varie componenti della sinistra radicale di Parma, segno dell'importante ricomposizione politica avvenuta in seno al "Sovescio". La dimostrazione di forza espressa dall'antagonismo, aprì un tavolo di trattative e l'inizio di una mediazione con il "Comune". Il "Sovescio", da questa esperienza, è stato in grado di creare una saldatura tra il nuovo soggetto proletario composto di immigrati, mosso dall'esigenza di trovare una soluzione abitativa, e le avanguardie di classe. Altre realtà occupate, nate per rispondere alla sola esigenza materiale di chi non aveva una casa dove poter vivere, se confrontate all'esperienza del "Sovescio", è possibile evincere quanto sia stato rilevante il percorso di crescita politica delle famiglie immigrate che, fianco a fianco con la parte militante, hanno innalzato la propria coscienza di classe crescendo nelle diverse occasioni di partecipazione ad iniziative di lotta. Per questa ragione si è capita l'importanza di mantenere legati l'aspetto abitativo e lo spazio politico anche nel processo di mediazione con il "Comune", poiché l'unione di immigrati e militanti all'interno di un'unica struttura è utile al mantenimento di ricomposizione di classe oltre che politica. Nel mese di agosto, in un momento in cui sembrava incrinarsi il quadro di patteggiamento e ci si preparava alle "barricate" in difesa dell'occupazione, il M5S sfoderava la sua ultima carta vincente: l'assegnazione di un palazzo, di proprietà ecclesiastica dato in comodato d'uso al Comune di Parma per un arco temporale di tre anni, che potesse ospitare le famiglie dell'occupazione "Sovescio", quelle dell'ex cinema "Lux" (occupazione a solo scopo abitativo) e le attività nate all'interno dello s.p.a. (biblioteca e corsi sportivi della palestra). L'interpretazione del tutto positiva che alcune anime della sinistra di movimento hanno dato all'attuale evoluzione politica degli eventi e l'accettazione dello stabile offerto dalla giunta comunale, hanno generato posizioni contrastanti nell'analisi della situazione particolare e territoriale, e nella scelta d'indirizzo politico di prospettiva. Il trasferimento in un luogo offerto dalla controparte istituzionale ed il conseguente abbandono della struttura occupata è un segno di debolezza ed incoerenza politica che vincola nella libertà d'azione politica il movimento cittadino. Alcune realtà organiche all'area movimentista di Parma, tra cui il nostro collettivo ed il P.C.L., hanno denunciato il chiaro intento della giunta 5Stelle di riaffermazione del diritto di proprietà privata; di stabilizzazione politica e normalizzazione del conflitto. Il M5S in quanto soggetto politico reazionario, agisce in quanto sovrastruttura e sarebbe, perciò, un errore definirlo come una forza politica portatrice di novità che si pongono in contraddizione con l'ordine costituito, o addirittura, come è sostenuto da diversi ambienti della sinistra politica e sindacale a livello nazionale, come possibile alleato. Lo sgombero e la conseguente difesa potevano essere, in definitiva, il pretesto per un rilancio della mobilitazione alzando il livello di tensione sociale, utile a sviscerare le diverse esperienze di lotta di classe, nel segno di un'unificazione dei vari fronti di lotta in cui il "movimento" è protagonista.
Direzione rivoluzionaria nelle scuole ed università
L'inserimento degli studenti nelle dinamiche della lotta di classe e, quindi, la loro partecipazione alla costruzione del conflitto è quanto mai utile per costituire la base d'affiancamento del movimento operaio, vero soggetto protagonista, in funzione di apripista per la radicalizzazione del conflitto. Non dimentichiamoci, a tal proposito, il '68 in Italia, il Maggio francese, il movimento studentesco greco nel 2008, la composizione del movimento degli "indignados" in Spagna nel 2011. Esempi utili a far capire come la componente giovanile sia stata anticipatrice dell'inasprimento della lotta.
Così come nel lavoro anche nella scuola e nell'università, la logica del profitto è la costante ideologica che si ritrova. L'ossessiva attenzione al rispetto delle regole in funzione, ad esempio, di un riconoscimento di voto più alto, non porta ad uno stimolo reale d'apprendimento e ad una acquisizione di volontà di miglioramento di sé stessi, bensì, ad un'accesa competizione che divide per meritocrazia chi è più bravo da chi è meno bravo. Nei luoghi di lavoro vige lo stesso principio di differenziazione tra chi è più produttivo e chi meno. Il giudizio umano sulla persona è subordinato a quello del risultato matematico che uno studente ottiene in una prova. Più hai risultati alti e più vali. In questa logica di ricompensa non si tiene conto che la massa di studenti non parte da un livello culturale comune poiché esso dipende dalle condizioni materiali di ogni singolo studente. E' evidente che, in larga misura, un giovane che cresce in una famiglia agiata ha più facile accesso al sapere perché ha maggiori risorse economiche da investire nella sua istruzione, mentre un ragazzo di estrazione sociale più bassa ha magari la necessità di contribuire all'entrate in famiglia e deve iniziare a lavorare prima. La scuola è l'affresco più nitido in grado di esplicare la disparità di diritti tra studenti appartenenti alla classe borghese e studenti proletari. I primi potranno, ad esempio, più facilmente accedere a corsi o attività extra curriculari perché hanno disponibilità economica. La scuola è, quindi, il luogo di crescita e selezione dei membri che andranno a comporre la futura classe dirigente, a discapito dei figli della classe operaia, "confinati" in istituti professionali meno qualificanti, che potenzialmente andranno a ricoprire, secondo principio ereditario, il lavoro dei propri padri, costituendo l'"esercito" del precariato di riserva. La scuola è lo "schermo" attraverso il quale, il potere centrale, riverbera l'ideologia liberista, corrispondentemente all'affermazione del corporativismo nei rapporti socio-produttivi, che si esprime con la pratica fascista di sottomissione della massa ai dettami della classe dominante. Queste contraddizioni non riguardano solo la scuola privata ma interessano anche la scuola pubblica. Per queste ragioni riteniamo riduttivo contrapporre ai crescenti finanziamenti della scuola privata la difesa acritica della scuola pubblica, poiché entrambe assolvono alla stessa funzione di indottrinamento ideologico a sostegno delle politiche del ceto dominante. Il cambio di rotta deve essere radicale. Alle rivendicazioni di obbiettivi parziali che mirano al solo miglioramento della scuola pubblica all'interno dell'ordine costituito, devono essere necessariamente affiancate rivendicazioni in netta rottura con il sistema capitalistico quali, ad esempio, la modifica dei programmi scolastici in particolar modo di storia; materia di studio, quest'ultima, che sempre di più è condizionata da pressioni politiche governative che intendono plasmare ideologicamente determinati periodi storici come la Resistenza, facendola passare come frutto di una collaborazione tra americani e partigiani nel segno di una comune libertà, avvalorando tesi di revisionismo storico come per la questione delle foibe, di cui s'impone una visione nazionalista e razzista senza che venga fatta luce sui crimini del colonialismo italiano in Jugoslavia e non solo. Riteniamo, inoltre, necessario superare la distinzione tra licei ed istituti professionali, per poter abbattere la svalutazione del diploma delle scuole ritenute di "serie B" (ITIS, IPSIA, FORMA FUTURO ed ENAIP) eliminando le distinzioni tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Una scuola unica e di massa consentirebbe una strutturazione ed unificazione degli studenti, i quali potrebbero accedere a specializzazioni inserite come opzioni all'interno della scuola unica, intercomunicanti e che non presentino differenze gerarchiche nei titoli di studio. La scolarizzazione deve essere estesa fino ai 18 anni e devono essere garantiti a tutti 10 anni di scuola abolendo le bocciature per realizzare il potenziamento delle aree d'interesse degli studenti. Vediamo, quindi, l'esigenza di batterci affinché programmi e metodi di studio possano essere modificati "dal basso" secondo le esigenze di studenti e lavoratori. Per le università crediamo opportuno eliminare il numero chiuso e gli esami di preselezione universitaria che vedono favoriti gli studenti di famiglie agiate; cancellare la disparità di livello tra le diverse lauree per poter offrire agli studenti la possibilità di scegliersi il proprio piano di studi attraverso l'ampliamento di scelta degli esami dell'area di studio di riferimento; superare l'attuale sistema di atomizzazione formativa del soggetto studente che lo vede specializzato in un unico settore, mediante l'attuazione di materie integrative che consentano lo sviluppo di un sapere complessivo e completo di più aspetti. Si devono, infine, abbattere i costi economici dello studio abolendo le tasse sull'istruzione; i costi dei libri di testo e degli alloggi per studenti. La scuola come i luoghi di lavoro devono passare al controllo delle fasce popolari della società affinché si possa attualizzare la loro emancipazione. Tenendo conto dei precedenti storici sopracitati, opponiamo alla limitatezza d'intervento politico basato su iniziative rituali ed estemporanee che segnano, solitamente, l'autunno di ogni anno, di gruppi più o meno egemoni nelle scuole che si rifanno a reti nazionali (tendenze riformiste quali "Rete degli studenti medi" ed "UDU", oppure centriste come "Global Project"), la costruzione di un'organizzazione che sia in grado di valutare, attraverso appropriati strumenti d'analisi adeguati e mai divenuti obsoleti (materialismo storico), il quadro sociale complessivo su cui intervenire per poter intraprendere un percorso politico di lungo termine nella prospettiva dell'abbattimento del sistema capitalistico. Oltre ad avere come referenti politici i settori d'avanguardia di classe, una tale struttura non può trascurare il rapporto di massa che deve coltivare con la parte di studenti non organizzati, nell'interesse di sviluppare in loro una coscienza critica che possa avvicinarli alla pratica rivoluzionaria. Per combattere il neofascismo che, sempre di più, acquista terreno nelle scuole, è bene inserirlo all'interno di un conflitto generale, facendolo rientrare all'interno delle dinamiche della lotta di classe. Uscita dai cliché di lotta attraverso la tattica del fronte unicoLa mancanza di convergenza delle lotte e di prospettiva politica sono la causa dell'impotenza di un movimento sempre più debole e schiacciato dalla repressione. Per questo motivo è necessaria la costituzione di un fronte unico di lotta come unica possibile espressione dell'unità d'azione fra tutte le avanguardie di classe. La tattica del fronte unico venne proposta per la prima volta nel 1921 durante il 3° Congresso dell'Internazionale comunista dove, in previsione di nuove lotte, venne proposta tale tattica in funzione del raggruppamento delle forze rivoluzionarie, da realizzare attraverso la conquista della maggioranza del proletariato, permettendo così la metamorfosi dei partiti comunisti da movimenti d'avanguardia a movimenti di massa. Questa linea venne proposta in un periodo in cui, in Europa, nacquero e si svilupparono diversi partiti comunisti (es. il PCd'I, nato in seguito alla spaccatura tra riformisti e rivoluzionari). Il fronte unico, era necessario per l'unità di tutti gli operai che volevano lottare contro il capitalismo, indipendentemente dal loro credo politico. Sempre nel 1921 il consiglio generale della UAI (Unione anarchica italiana) espresse la sua riconoscenza all'organizzazione degli Arditi del Popolo per l'operazione di difesa del proletariato. Questo interesse derivava dal fatto che esso apparve come la messa in pratica del fronte unico, da tempo sostenuto dagli anarchici organizzati della UAI per i quali, questa scelta tattica, significava un legame rivoluzionario nato dal "basso" a livello locale fra individui appartenenti a partiti diversi, ma con un minimo denominatore comune espresso nella creazione di un esercito proletario capace di vincere le resistenze statali per poter organizzare la vita su basi differenti da quelle imposte. Oggi riteniamo necessario riproporre la tattica del fronte unico per raggruppare le avanguardie di classe trasformando l'unità d'intenti fra esse in unità d'azione, e di conseguenza pianificare un programma comune in grado d'inasprire il conflitto sociale e rinsaldare il proletariato, per rendere maggiormente efficace la lotta contro il capitalismo. Per rendere tutto ciò possibile è opportuno abbandonare lo sterile antagonismo di "movimento", trasformando la lotta di "sopravvivenza" in lotta rivoluzionaria. Alle manifestazioni d'opinione che si verificano, ad esempio, attraverso chiamate nazionali di mobilitazione generale su piattaforme rivendicative arretrate che paiono non porsi obiettivi di rottura definitivi con i pilastri della società borghese e poco portano all'avanzamento sociale del movimento ("Controsemestre europeo"), è utile riappropriarci di strumenti di lotta e di modalità d'azione che consentano lo sviluppo della capacità creativa di sperimentazione della prassi. A tal proposito, lo sciopero politico territoriale è un mezzo attraverso il quale si ha la possibilità di unire diversi ambiti sui quali viene esercitato il conflitto sociale e le cui realtà politiche partecipanti possano proporre unitariamente una piattaforma rivendicativa avanzata che non si limiti alle rivendicazioni di settore e alle loro sommatorie senza un progetto politico di prospettiva. La convocazione di sciopero è estremamente importante perché offre la possibilità di continuare a battere un sentiero di lotta, intrapreso qui a Parma e non solo, che ha visto unitariamente partecipi più soggetti dell'area di "movimento" (sindacati di base, formazioni studentesche, gruppi libertari e marxisti rivoluzionari) in lotte per il diritto alla casa, contro il lavoro domenicale, contro il neofascismo, in difesa dello s.p.a. "Sovescio". Solo attraverso una mobilitazione vera che si esprima durante l'attività produttiva e amministrativa, sintesi delle particolari esperienze di lotta intraprese da quest'autunno ad oggi, si può dare continuità alla ricomposizione di classe e politica che si è venuta a creare attorno ad iniziative di lotta che si ponevano in aperta rottura con l'ordine costituito.
Prospettive
• Costruzione di un metodo di lotta comune che abbia come scelta di linea tattica il fronte unico.
• Inserimento della lotta antifascista all'interno del conflitto generale di lotta di classe.
• Abbattimento della società capitalista.
• Controllo popolare dei mezzi di produzione.
• Collettivizzazione dei servizi pubblici.
Azione Proletaria