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Sulle elezioni in Turchia
11 Agosto 2014
E’ importante diffidare dal tentativo di esagerare l’importanza della vittoria di Erdogan nelle elezioni presidenziali di ieri.
1) Il dato chiave di queste elezioni è quello dell’astensione. E’ il tasso più alto degli ultimi tre decenni! Un buon 26 per cento dell’elettorato si è tenuto distante dalle urne. Numero che va confrontato con una cifra di solito oscillante intorno al 15 per cento, caduta all’11 per cento delle elezioni locali del 30 marzo di quest’anno.
2) Il motivo per cui il tasso d’astensione è un elemento così importante è da ricercarsi nel fatto che ha sfavorito molto il principale avversario di Erdogan, cioè il candidato che gli è stato opposto dal partito CHP (cosiddetto socialdemocratico) e dal MHP (fascista, ma che in questi giorni ha reso più tenue la sua politica). E’ un intellettuale conservatore, islamista “soft”, segretario generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica negli ultimi otto anni. Alle elezioni di ieri ha raggiunto il 38 per cento. Il suo background gli ha allontanato una parte considerevole dell’elettorato del CHP, che ha disertato le urne. Se l’astensione fosse rimasta ai soliti livelli, avrebbero votato fra i sei e i dieci milioni di elettori in più, fortemente orientati verso il CHP. Ciò significa che il “candidato ombrello” conservatore, che avrebbe dovuto attrarre una parte dell’elettorato dell’AKP, ha finito per perdere, al contrario, un notevole settore dell’elettorato del CHP!
3) Questo è ciò che ha reso possibile la vittoria di Erdogan fin dal primo turno delle presidenziali. Il suo punteggio finale non è stato quello che i suoi sostenitori si erano aspettati. Nonostante il numero totale degli elettori sia cresciuto del 5,6 per cento, arrivando a quasi 56 milioni, egli ha ricevuto 20,8 milioni di voti, seicentomila in meno dei voti dell’AKP nel 2011, con soli 53 milioni di elettori.
4) Il candidato curdo, Selahattin Demirtaş, ha ricevuto un numero di voti abbastanza alto in confronto ai risultati precedenti del suo partito, l’HDP, cioè quasi il 10 per cento. Ma è comunque il segno del potenziale sprecato da quel partito con la scelta di aver proposto per presidente il suo leader. Al momento dell’annuncio del “candidato ombrello” del CHP e dell’MHP, il DIP propose all’HDP (che, avendo un gruppo parlamentare, era l’unica forza di sinistra in grado di presentare un candidato, stanti le procedure elettorali antidemocratiche) di presentare un attivista o un sindacalista in grado di parlare ai cuori e alle menti delle avanguardie lavoratrici arrabbiate per l’avvenimento di Soma e della base del CHP che non avrebbe votato un islamista soft. Milioni di Aleviti, donne e giovani, per citare solo tre fra differenti esempi, erano alla ricerca di un candidato da votare. L’HDP ignorò la nostra proposta, presentando invece il suo leader. I pregiudizi di larga parte dell’elettorato contro il politici curdi hanno impedito di votare a milioni di persone scontente di Erdogan.
Nonostante la ribellione di Gezi Park, nonostante l’emergere, lo scorso dicembre, della corruzione sua e del suo governo, e nonostante lo shock del disastro di Soma, in primavera, Erdogan è stato capace di resistere alla tempesta e di raggiungere il suo obiettivo di entrare alla Çankaya, il palazzo presidenziale. Comunque, questo sarà davvero il punto di svolta. D’ora in avanti, all’orizzonte c’è la discesa, avendo egli già fatto uso della sua arma più forte: il sostegno degli strati conservatori della società. D’ora in avanti, dovrà fronteggiare le contraddizioni portate allo scoperto dalla serie di episodi che ha indebolito il suo supporto da parte dell’imperialismo e della borghesia turca. La battaglia sta per cominciare solo adesso.








