Dalle sezioni del PCL

25 anni fa: minatori sovietici attaccavano la burocrazia usurpatrice in putrefazione

21 Luglio 2014

Alla fine di luglio del 1989 si diffusero gli scioperi selvaggi dei minatori sovietici dalla Siberia all’Ucraina (Donbass), da Karaganda in Kazakistan a Vorkuta negli Urali. Fu la più grande esplosione della lotta di classe operaia nello Stato operaio burocratico degenerato e una pietra miliare storica per la classe operaia di tutto il mondo. Alexander Kusaimov, uno dei capi dei minatori in lotta, intervistato dalla stampa disse: “Finalmente, è arrivato il momento per noi di fare la guerra con i burocrati. Nelle miniere, burocrati sono inutili, sanno solo prendere, prendere, prendere”. Le rivendicazioni dei minatori non erano, solamente economiche, ma anche politiche. Il movimento di sciopero adottò subito misure di democrazia rivoluzionaria contro la burocrazia: perquisizioni nelle case dei burocrati. Il movimento dei minatori sul piano politico rivendicò le dimissioni del governo, la soppressione di tutte le organizzazioni del PCUS dalle fabbriche, dalle scuole, dall’esercito, dal KGB e dal Ministero degli Interni, la nazionalizzazione delle proprietà del PCUS. L’assenza in Urss del partito della rivoluzione politica antiburocratica fu la causa della sconfitta di quel movimento. Sconfitta che accelerò il processo di restaurazione del capitalismo iniziato con Gorbaciov.
Oggi i minatori del Donbass sono un’avanguardia della lotta di classe mondiale: la lotta contro gli oligarchi ucraini è una lotta immediata contro il Fondo Monetario Internazionale, contro il capitalismo mondiale. Della lotta dei minatori del Donbass si possono dire le stesse cose che diceva Trotsky all’ultrasinistro olandese Herman Gorter sulla lotta operaia nell’ex impero zarista: “ Noi [i comunisti dell’ex impero zarista] ci troviamo, sia da un punto di vista geografico che da un punto di vista sociale, nel centro di separazione tra i paesi colonizzatori e i paesi colonizzati. Eravamo colonizzati nel senso che le più grandi fabbriche di Pietrogrado e di mMosca ci erano fornite dalla finanza europea e americana che ne ricavavano plusvalore. Il fatto che il capitalista industriale russo fosse in soltanto, in realtà, il terzo intermediario del capitale finanziario internazionale conferisce al proletariato russo una portata rivoluzionaria internazionale”.
Una delle lezioni più importanti per l’estrema sinistra nello stato italiano che viene dalla guerra civile dei minatori del Donbass è la smentita definitiva l’ideologia, più che quarantennale, dei “nuovi soggetti rivoluzionari” propria degli “operaisti”. Negri può difendersi tirando fuori il carattere puramente ‘resistenziale’ della lotta dei minatori: non si trova nei ‘punti alti dello sviluppo’ da lui immaginati e desiderati. Agli operaisti non è mai passato per la testa che il periodo da loro vissuto e studiato è quello della decadenza, dello stadio supremo del capitalismo. Mario Tronti considerava la definizione di Lenin dell’epoca imperialista “espressione priva di senso”. La realtà è che i crolli economici nell’epoca dell’imperialismo sono le tappe della precipitazione nella barbarie e non di un capitalismo titanico sempre capace di ristrutturarsi.
La risposta alla “globalizzazione” non è venuta dalle ‘moltitudini’ né tantomeno dal“proletariato cognitivo”. Questo settore del lavoro salariato, ma non produttore di plusvalore, non ha nessuna tradizione solida di lotta antipadronale e anticapitalistica e la sua crescita rivoluzionaria può avvenire sotto la direzione operaia.
L’unica risposta sociale che ha fatto tremare i polsi all’aristocrazia finanziaria internazionale è quella operaia, proprio quella dell’operaio massa: gli scioperi degli operai egiziani, le lotte operaie in Cina, gli scioperi degli operai e dei minatori del Sudafrica, le battaglie dei minatori delle Asturie, le lotte dei metalmeccanici e dei siderurgici in Francia ed in Belgio,ed in ultimo la guerra civile di classe dei minatori in Ucraina. La classe operaia non è solo ‘composizione di classe’ ma, nella sua totalità, è una formazione storica vivente. Gli operaisti non vedevano e non vedono la classe operaia reale che è, anche, il prodotto di lotte politiche, di vittorie e di sconfitte delle frazioni del movimento operaio internazionale in lotta per l’egemonia. In tutto il pensiero di Negri e degli operaisti non c’è alcuna riflessione sulle scelte strategiche che si sono combattute nel movimento operaio internazionale dopo il 1924.
Il capitalismo degli operaisti non è altro che un Dioniso, l’eterno dio fanciullo. Una vera e proprio apologia del capitalismo. Gli operaisti in comune con i riformisti hanno in comune l’ideologia anticatastrofista. In questa catastrofe inarrestabile, realmente mondiale, solo la classe operaia industriale mondiale può battere il capitalismo. Gli operaisti subiscono di volta in volta l’egemonia di quelli che loro ritengono dei raffinati ideologi della borghesia(iniziò tronti con Max Weber). Al contrario di quanto immaginano gli operaisti non ci sarà nessun rilancio del capitalismo. L’unico ‘rilancio’ possibile del capitalismo è il trionfo della Controrivoluzione.

Gian Franco Camboni sezione di Sassari del PCL

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